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smartphone a scuola

Proprio qualche giorno fa il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha presentato una proposta formale alla Commissione Europea per vietare l'uso degli smartphone fino ai 14 anni in tutte le scuole dell'Unione Europea.

Cosa che già è operativa da qualche mese nei nostri istituti e che, dopo il tentativo di "esportazione" da parte del responsabile del MIM, sta trovando un grande sostegno negli altri paesi della UE.

Ma questo divieto è un paradosso per molti studenti, perché il cellulare è ormai uno strumento utile a livello didattico e spesso anche indispensabile. Secondo uno studio dell'Università Bicocca, come riporta ‘La Repubblica’, si parla di "schizofrenia digitale": da un lato si demonizza lo smartphone, dall'altro lo si rende fondamentale nella routine scolastica.

Il problema, però, si ripresenta e si accentua quando c’è un abuso di questi dispositivi. Specie se a restare con la testa fissa sullo schermo non sono solo gli studenti ma anche i professori.

Indice

  1. Anche i prof usano lo smartphone?
  2. Dipendenti dallo schermo anche accanto agli studenti più fragili
  3. Il cellulare "babysitter digitale" durante la ricreazione

Anche i prof usano lo smartphone?

Un docente anonimo ha confessato proprio questo, basandosi sulla esperienza:

Diciamolo chiaramente, in classe il cellulare ce l’abbiamo anche noi. E ci restiamo attaccati spesso. Non solo per questioni personali, ma perché il preside o il coordinatore scrivono nelle chat anche durante le lezioni. Allora un’occhiata alle notifiche diventa la norma per non perdere un messaggio urgente – che non è mai urgente, un cambio orario, una nota improvvisa che riguarda un laboratorio o un corso. Anche mentre si spiega. Anche mentre si ascolta uno studente”. 

Dipendenti dallo schermo anche accanto agli studenti più fragili

La situazione si fa ancora più delicata quando di mezzo ci sono gli studenti più fragila: “Ci sono colleghi – continua il docente – che siedono accanto a un ragazzo con disabilità, magari durante un esercizio o un momento di difficoltà, e mentre lui cerca di concentrarsi o ha bisogno di supporto, loro hanno lo sguardo fisso sul telefono: leggono messaggi WhatsApp, rispondono nelle chat della scuola, scorrono i social, controllano il tracking di un pacco. Tutto mentre il ragazzo accanto cerca una parola, fatica su un esercizio, aspetta una spiegazione, uno sguardo, una presenza reale”.

E ancora: “Lo fanno quasi senza rendersene conto, perché ormai l’uso del cellulare è stato sdoganato. È entrato in classe in punta di piedi, ma adesso c’è sempre. E nessuno dice nulla. È diventato normale. Ma così la relazione si spezza. Il ragazzo si sente trasparente, ignorato. Capisce che quello schermo viene prima di lui. Un muro invisibile che si alza proprio nel momento in cui dovrebbe esserci il massimo della vicinanza. E quando succede con studenti fragili, che avrebbero più bisogno di presenza, attenzione e parola, l’effetto è devastante”.

Un racconto allarmante che ci fa capire quanto sia fondamentale la presenza e l'attenzione, soprattutto per chi è più vulnerabile.

Il cellulare "babysitter digitale" durante la ricreazione

E non finisce qui. Il cellulare diventa protagonista anche nei momenti di pausa, per tenere a bada gli alunni: “Durante l’intervallo, e anche durante il pranzo in quelle scuole dove non c’è la mensa ma si mangia in classe si mettono film, cartoni, video su YouTube”, racconta ancora l'insegnante.

“Succede soprattutto nella scuola primaria. E lì il confine tra uso e abuso si fa davvero sottile. Diventa una babysitter digitale, una toppa emotiva, un modo per tenere buoni i bambini. O meglio – come cantavano i Måneskin – per tenerli ‘zitti e buoni’. Ma il silenzio, a scuola, non sempre è un segnale di ordine. Spesso è solo un sintomo di resa”.

Un uso dunque che, se da un lato sembra pratico, dall'altro solleva interrogativi sulla qualità delle relazioni e sull'effettiva attenzione ai bisogni dei più piccoli.