
Un professore, durante una lezione, si è lasciato scappare una parola di troppo nei confronti di un suo studente. Non una cosa da poco, soprattutto quando si ricopre un ruolo educativo che rappresenta anche un punto di riferimento per i giovani.
L'episodio, accaduto nel 2019 presso un istituto di Sassuolo, come riporta ‘La Gazzetta di Modena’, ha scatenato una serie di eventi che hanno portato il docente, all'epoca con un contratto a tempo determinato, a finire dritto nei guai.
La vicenda è arrivata fino ai massimi livelli della giustizia italiana, con la Corte di Cassazione che ha messo la parola fine alla questione.
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La dinamica dei fatti: l’offesa allo studente
Tutto è iniziato in una mattina apparentemente normale. Non è chiaro cosa abbia provocato la reazione del professore, ma a un certo punto questo si sarebbe rivolto a un suo alunno chiamandolo "cretino".
Un termine pesante, specialmente se pronunciato da un insegnante. L'episodio non è passato inosservato e ha subito innescato un meccanismo che ha portato a conseguenze disciplinari.
L'espressione non è stata solo confermata dall’alunno, ma è stata anche ammessa dallo stesso docente. Questo ha reso la sua posizione decisamente più complicata fin dall'inizio del procedimento.
Le conseguenze per il prof
Il dirigente scolastico non ha esitato e ha subito disposto la sanzione disciplinare della censura nei confronti del professore. Ma il docente non si è arreso e ha deciso di fare ricorso. La vicenda ha così attraversato tutti e tre i gradi di giudizio.
Dopo il rigetto del ricorso da parte del tribunale di Modena, il professore ha deciso di andare in Appello. Nel 2021, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la legittimità della sanzione, ritenendo il fatto contestato provato.
Anche l'archiviazione di una denuncia querela in sede disciplinare è stata ritenuta “irrilevante”. Nonostante tutto, il professore ha continuato la sua battaglia legale, arrivando fino in Cassazione.
Ricorso inammissibile
Il docente non si è dato per vinto e ha presentato ricorso in Cassazione contro il Ministero dell'Istruzione. La sua tesi sosteneva che il giudice di primo grado avrebbe confuso i fatti, considerando due insulti “di cui uno ad un solo alunno (parola “cretino” ammessa) ma l’altro (mai avvenuto) all’intera compagine degli studenti “maiali” o “animali”: il giudice ha confuso i termini”.
In pratica sosteneva che, se l'errore fosse stato notato, la sanzione sarebbe stata attenuata. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile.
I giudici hanno ribadito che in Cassazione si può impugnare solo la sentenza d'Appello, e non quella di primo grado. E così, anche per il vizio procedurale evidenziato, non c'è stato niente da fare: ricorso inammissibile e sanzione confermata.