Imma Ferzola
Autore
lettera sfogo

“Sono stanca di non essere vista come una persona, ma come un voto che sembra valere più del mio nome”: uno tono lucido che denuncia la fatica quotidiana vissuta tra banchi e verifiche. È questo il cuore della lunga lettera-sfogo inviata alla redazione del 'Corriere della Sera' da una studentessa del quarto anno di un liceo classico calabrese, che ha aperto una riflessione sul carico mentale vissuto dagli studenti nelle nostre classi. 

Indice

  1. È possibile amare la scuola, ma esserne stanchi?
  2. Pressione, verifiche e identità schiacciata
  3. L'impossibilità di conoscere se stessi
  4. Il testo integrale della lettera

È possibile amare la scuola, ma esserne stanchi?

La giovane apre il suo sfogo chiarendo ciò che considera essenziale come premessa: “Amo lo studio, la cultura, i libri e la conoscenza in tutte le sue forme”. Ma nella lettera scrive anche di non essere interessata ai confronti con la “scuola di una volta”, sottolineando come nel 2025, “quasi 2026”, sia inutile prendere a modello metodi rigidi che mortificavano gli studenti. Ciò che chiede, ribadisce, è soprattutto ascolto: “Sono stanca. E so per certo che non sono l’unica”.

Pressione, verifiche e identità schiacciata

Il succo del suo discorso, però, è quello che va a toccare un tema ricorrente nel dibattito scolastico: la percezione di non essere riconosciuti come individui, ma come risultati su un registro. “Sono stanca di non essere vista come una persona, ma come un voto che sembra valere più del mio nome”, scrive la studentessa, raccontando di un carico di verifiche che già a novembre risulta soffocante.

La scuola, aggiunge la ragazza, assomiglia sempre meno al luogo di crescita che dovrebbe essere e sempre più a un ambiente di pressione continua. Anche attività che dovrebbero essere un piacere, come leggere per interesse personale, a suo parere diventano “impossibili”.

L'impossibilità di conoscere se stessi

La ragazza non mette in discussione il valore dello studio in sé, ma denuncia un sistema che lascia poco spazio ai ritmi individuali e alla scoperta delle proprie inclinazioni. Tra compiti e programmi serrati, osserva, non c'è “nemmeno il tempo di fermarsi a chiedere a noi stessi cosa ci piace davvero”.


Una condizione che, secondo la studentessa, contribuisce anche al tasso di abbandono scolastico: “Come possiamo meravigliarcene, se la scuola smette di essere un luogo in cui si cresce e diventa un luogo da cui scappare?”.

Il testo integrale della lettera

Di seguito il contenuto completo dello sfogo inviato al giornale:

“Sono una studentessa del quarto anno di un liceo classico in Calabria. Prima di iniziare, vorrei chiarire una cosa: amo lo studio, la cultura, i libri e la conoscenza in tutte le sue forme. Lo scrivo perché troppo spesso, quando un adolescente prova a criticare il sistema scolastico, viene liquidato con frasi come “voi giovani non avete voglia di studiare” o “la scuola di una volta era diversa, che ne sapete voi”.

A me non interessa della scuola di una volta, perché credo che nel 2025, quasi 2026, non si possa ancora fare il confronto con metodi rigidi che mortificavano gli studenti, e prenderli come esempio. 

Io sto cercando ascolto e comprensione.
 Sono stanca. E so per certo che non sono l’unica.

Sono stanca di non essere vista come una persona, ma come un voto che sembra valere più del mio nome. Sono stanca di affrontare già a novembre così tante verifiche ogni giorno. Sono stanca di vivere la scuola come un luogo di pressione costante, invece che come un luogo di crescita e confronto.

Studiare è fondamentale, ma nessuno parla del fatto che, schiacciati dal carico di compiti, non abbiamo nemmeno il tempo di fermarci a chiedere a noi stessi cosa ci piace davvero. Perfino il semplice piacere di leggere qualcosa che non sia un compito assegnato, diventa impossibile.

Ci stupiamo quando ci dicono che l’Italia è il quinto tra i Paesi europei con il tasso più alto di abbandono scolastico precoce. Ma come possiamo meravigliarcene, se la scuola smette di essere un luogo in cui si cresce e diventa un luogo da cui scappare?

Questo sistema ha bisogno di essere rinnovato. Perché noi studenti non siamo macchine che devono memorizzare informazioni: siamo adolescenti che hanno il diritto di studiare, dobbiamo imparare, ma dobbiamo anche vivere, mentre impariamo.”

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