
Meglio il silenzio del rumore, o anche una candela accesa sul balcone di casa, per onorare la memoria di Giulia Cecchettin.
Niente minuto di rumore, dunque, nel liceo di Padova dove la giovane aveva studiato: studentesse e studenti avrebbero voluto dedicarle quel gesto che ormai è un po' il simbolo di protesta degli studenti contro la violenza di genere, ma il dirigente scolastico si è opposto.
Ne è nato uno scontro tra il corpo studentesco e la dirigenza, destinato a durare anche nei prossimi giorni.
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Minuto di rumore vietato nella scuola di Giulia Cecchettin
Il minuto di rumore funziona più o meno così: ci si accorda con l’istituto per un orario in cui si deve suonare la campanella e, da quel momento, per un minuto, tutti gli studenti iniziano a fare rumore sbattendo sui tavoli chiavi, borracce, penne e righelli, con lo scopo di esprimere rabbia e indignazione.
Ma ieri, in occasione dell'anniversario della morte di Giulia Cecchettin, non è stato così.
Nei giorni scorsi, con una circolare, il preside aveva espressamente vietato la protesta: “Proprio perché è necessario interiorizzare questo evento, credo che la nostra strada debba essere quella del silenzio” si legge nello stralcio di circolare ripreso oggi da La Repubblica.
Gli studenti promettono battaglia al preside
Nel documento si invitavano poi ragazze e ragazzi ad accendere una candela sul balcone della propria camera, lasciandola consumare fino alla fine.
E magari fare una foto, da inviare a un indirizzo mail creato appositamente.Tutto, fuorché far sentire il proprio disappunto. E, nemmeno a dirlo, molti studenti si sono opposti al diktat del preside: “Ben 17 classi hanno trasgredito a questo ordine e adesso stiamo organizzando qualche forma di protesta per i prossimi giorni” rivela Viola Carollo, della rete degli studenti medi del Veneto.
La rappresentante degli studenti ha le idee abbastanza chiare su quello che è successo: “C’è paura di esporsi in quello che viene visto solo come un tema politico e non come un problema sociale”, dice la rappresentante degli studenti che aggiunge: “Non c’è una presa di responsabilità da parte dell’educatore, che sembra non aver compreso il senso di un anno di dibattiti. La matrice è molto chiara: non si vuole usare la parola patriarcato”.