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Genitori trasferiscono quattro alunni in un’altra scuola perché in classe ci sono troppi stranieriIn classe ci sono troppi stranieri, per questo i genitori di quattro bambini della scuola primaria Don Bosco di Bari hanno optato per il trasferimento dei propri figli. E non si tratta di casi isolati.
Anche altri genitori si sarebbero lamentati per la composizione “troppo multietnica” delle classi, anche se poi hanno fatto un passo indietro.

A spiegare la situazione è il preside Duse Gerardo Marchitelli, intervistato da ‘La Repubblica’. “Guarda quei bambini che si rincorrono nel cortile”, ha detto il preside, con lo sguardo rivolto verso il cortile. “Pensi che a loro importi se l’altro abbia la pelle, i capelli o qualche altro tratto differente?”.

Una questione di pelle

Per alcuni genitori la situazione è diventata insostenibile. Il razzismo è più endemico di quel che si pensa, ed emerge soprattutto in circostanze che ci riguardano da vicino. Se poi ci sono di mezzo i figli, allora tutto si fa ancora più amplificato. “Mio figlio non può stare in classe con uno ‘gnoro’”, avrebbe detto una madre al preside, come riportato da ‘La Repubblica’. Peccato che, stando al registro, i ragazzini iscritti alla scuola sono quasi tutti nati a Bari. Si tratta quindi, in definitiva, di una “questione di pelle”.

L’istituto, non a caso, si trova in uno dei quartieri più multietnici di Bari, la Libertà. E infatti le aule registrano un 48% di bambini con background migratorio. I quattro bambini facevano parte della stessa classe, ovvero una prima elementare con molti alunni di origine africana o sud-asiatica. Tutti bambini di 5 o 6 anni. Tempo un giorno di scuola e i genitori hanno immediatamente chiesto il trasferimento in un’altra classe. “Le iscrizioni ora avvengono online”, ha spiegato Marchitelli, il preside 60enne che ricopre la carica dal 2007. “Addirittura gli stranieri vanno a farle al Caf, dato che a volte non hanno rete a casa. Per la formazione delle classi, quindi, tutto va bene fin quando i genitori non le vedono il primo giorno di scuola, quando la maestra le accoglie e chiama a sé gli alunni. Alla vista di quelli stranieri, molte famiglie mi hanno chiesto il cambio classe. Il risultato non sarebbe mutato, dato che ci sono anche nelle altre classi. Inizialmente avevano nascosto la motivazione, fin quando poi è venuto fuori che era proprio per la loro presenza”.

Il cambio di scuola

Il punto è che tra i banchi non si sarebbe verificato nessun episodio che avrebbe potuto portare al cambio di classe. Si tratta di una posizione di semplice razzismo, a cui la scuola ha risposto con fermezza: “Ho detto loro che l’unica possibilità che avevano era chiedermi il nulla osta e andare via. Ci sono alcuni valori su cui la scuola non può transigere e non può essere ricattabile”. E così è stato.

Il preside parla di un vero e proprio “terremoto”, andato avanti fino al 20 settembre, giorno in cui i genitori hanno appunto ottenuto il nullaosta per procedere con l’iscrizione in un’altra scuola. Anche altri genitori avrebbero fatto timidamente un passo avanti, salvo poi ritrattare la decisione. Naturalmente, ha sottolineato il preside, ai bambini non è stato spiegato il motivo che ha portato al trasferimento dei quattro alunni dopo appena pochi giorni dall’inizio delle lezioni.

Il preside: “Scuola come un porto in cui tutti possono trovare accoglienza”

Vero è che già gli scorsi anni ci sono state un paio di lamentele e di richieste di questo tipo, che però non si sono mai concretizzate. A preoccupare è l’escalation di questa annata scolastica. Tutto questo mi ha mortificato e ferito, ha dichiarato il preside. “Bisogna capire che la scuola sia un porto dove tutti possono ormeggiare, tutti trovano accoglienza. E questo è il punto di forza della scuola Don Bosco. Ritengo che ancora molti muri siano da abbattere, è più facile vedere diversità rispetto a costruire ponti. La Don Bosco nel suo piccolo è quella casa comune nella quale queste differenze si animano e arricchiscono tra loro. E qui non accettiamo alcuna arroganza culturale, di appartenenza o ceto sociale”.

Per il preside, insomma, manca un’educazione pedagogica di base, che permetta di vedere le persone semplicemente come esseri umani, indipendentemente da fattori come il colore della pelle. I muri da abbattere, in effetti, sono ancora molti: “Gli enti, da quelli scolastici al Comune, lavorano per questo, ma non possono prevedere poi queste singole azioni. Credo che lo straniero sia accettato solo se serve. E questo non accade soltanto a Bari”.