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lettera prof ex studente bes

Ansia, paura, senso di inadeguatezza. Nel corso della loro carriera scolastica gli studenti hanno a che fare con un vortice di emozioni negative che pregiudicano il loro percorso di vita. Nel caso degli alunni con Bisogni Educativi Speciali (i cosiddetti BES) la questione è ancora più accentuata. Molti di loro vivono la vita scolastica letteralmente 'sospesi', cercando di non rimanere indietro, facendo sempre uno sforzo in più degli altri pur di arrivare all'obbiettivo.

A volte però il carico da sostenere è davvero troppo pesante. Quando poi la scuola non riesce a garantire quell'attività di supporto e monitoraggio fondamentale per lo sviluppo di questi studenti, è facile capire come molti di loro si sentano in qualche modo esclusi dal mondo scuola che invece dovrebbe essere il loro primo rifugio. L'inclusione tra i banchi è ancora un miraggio, e quando emergono storie come quella di Davide non possiamo che scontrarci con la realtà dei fatti. Il giovane - che si è tolto la vita a un passo dalla laurea – era uno di quegli studenti bisognosi di supporto, attenzioni, protezione, lasciato in disparte a scuola. Lo spiega la sua ex insegnante, Chiara Carabelli, che saputo della morte dello studente gli ha scritto una commovente lettera.

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La scuola dovrebbe mettere gli studenti con BES nelle condizioni di potere rendere al meglio, senza farli sentire fuori luogo. Più facile a dirsi che a farsi in un sistema scolastico, come quello italiano, ancora troppo ancorato ai vecchi dettami del secolo scorso. Uno di questi è l'intramontabile slogan “se non sei portato per lo studio vai a lavorare”. Il punto è con quali criteri si stabilisce se un giovanissimo è portato o meno per lo studio. Perché se questo dipende da un semplice voto, allora forse metà della popolazione italiana (chi non ha mai preso un brutto voto?) non è portata per lo studio

Piuttosto bisognerebbe cercare di fare quel salto che in tanti ancora chiedono: passare da una didattica obsoleta a un modello personalizzato, che tenga davvero conto dei bisogni di ognuno. Altrimenti, di storie come quella di Davide ne sentiremo ancora purtroppo. Di seguito la commovente lettera scritta dall'insegnante Chiara Carabelli.

“Davide, ad un passo dalla Laurea, ha deciso di porre fine alla sua vita. Ho conosciuto Davide perché lui frequentava l’Istituto dove io ero referente per gli alunni con bisogni particolari, che incontravo per capire come la scuola potesse metterli in grado di dare il meglio di sé senza farli continuamente sentire sbagliati. Con Davide non ci sono mai riuscita: lui non voleva essere “diverso” non voleva “privilegi”. Voleva essere IL migliore, non il privilegiato. Sì perché la scuola fa sentire così coloro che usano misure dispensative e compensative. I loro risultati sono sempre considerati frutto di un privilegio, di una mappa in più, di un esercizio in meno, di una programmazione delle verifiche. A scuola il momento della verifica DEVE fare paura, perché se hai paura studi come un matto, se hai paura ti impegni al massimo. Questo, forse, pensano gli insegnanti. Questo, forse, hanno vissuto loro per primi da studenti.

Davide ha subito questa scuola, non ha mai voluto sottrarsi da queste dinamiche perché questo era l’unico modo per negare i piccoli deficit che lo rendevano Davide, insieme ai suoi pregi. Lo ricordo come un ragazzo teso, che non mollava mai il controllo, che non voleva aiuto, che non voleva “si sapesse”, ma in ogni incontro con lui sentivo la stanchezza, per quella lotta incessante. Avevo paura che un giorno sarebbe crollato, perché un essere umano non può combattere se stesso se non … facendosi fuori.

Ho scelto la pensione anticipata perché in 20 anni non sono riuscita a seminare nulla a scuola, visto che il clima relazionale docenti/alunni è sempre lo stesso. Ci sono ovunque buoni, ottimi insegnanti, ma nessuno diventa sale, la scuola contiene in sé gli anticorpi, permette a quegli insegnanti di essere bravi all’interno del mondo chiuso delle loro aule, ma i Collegi docenti, i Dirigenti, il MIUR anestetizzano, se non addirittura uccidono, chi vorrebbe riportare l’insegnamento al luogo fecondo dell’apprendimento: la relazione.

Enrico Galliano, Alessandro D’Avenia, Daniela Lucangeli, Andrea Canevaro, Luisa Re, Tito Olivato, Laura Taccone, Elide Casati e tanti altri, insegnanti noti e meno noti, amati, seguiti, alcuni come fossero star Hollywoodiane…. Dove vanno a finire le loro parole dopo che milioni di insegnanti le hanno ascoltate… dopo che centinaia di colleghi hanno condiviso lo stesso collegio docenti?

Ernestina Morello, a Torino, in un liceo, ha scelto di non dare i numeri ai suoi alunni, ma di aiutarli a leggere le loro performance, a comprendere gli errori più che a sottolinearli, a cercare dentro l’errore la chiave del suo superamento. Accompagna gli alunni nella loro crescita senza che loro debbano sopportare l’ansia di un numero che non potrà mai contenere tutto quello che di quell’alunno/persona c’è in una verifica. La scuola ha “accettato” che LEI operasse così, e per questo si arriva a definire la Dirigente che glielo permette, “illuminata”. Se l’ansia schiaccia e non fa germogliare gli alunni di Ernestina, di Alessandro, di Enrico, perché è accettabile pensare che gli altri studenti, di altri prof, debbano esserne condizionati? Ah… già, la libertà di insegnamento!

Ciao Davide, non verrò al tuo funerale, non ce la faccio… la tua morte ha portato a galla, una volta di più, il dolore per tutto il dolore che la scuola provoca, che non si compensa con la felicità, l’entusiasmo, la crescita, fa forza, che riesce a dare… perché tutto questo dovrebbe essere normalità, mentre ancora è eccezione”.

Chiara Carabelli

 

Data pubblicazione 9 Maggio 2024, Ore 8:24
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