
La scuola, per lei, era una vera e propria fonte da usare per i propri interessi privati. Così veniva interpretato il proprio lavoro da una dirigente scolastica (ora ex) in servizio a Crotone. Ma, forse, il "gioco" non ha dato i risultati sperati. Visto che, alla fine, la preside si è ritrovata agli arresti domiciliari, assieme a un imprenditore della zona.
L'accusa nei loro confronti è di corruzione, truffa e di una serie di reati contro la pubblica amministrazione. L'indagine dei Carabinieri ha svelato un "business criminale" che toccava ogni aspetto della vita scolastica, e non solo: dagli appalti truccati ai concorsi "aggiustati", fino all'appropriazione indebita di oggetti molto particolari, come un calcio balilla e dei tavoli da ping pong.
Un sistema incredibile che ha trasformato l'istruzione in un vero e proprio affare illecito.
Indice
Gli arresti domiciliari
I destinatari delle misure cautelari sono una donna di 69enne, già dirigente scolastica di un istituto superiore di Crotone, e suo genero, un 40enne titolare di un centro che offre corsi di formazione scolastici e universitari nella stessa città.
Il provvedimento è stato disposto dal Tribunale del capoluogo calabrese. Dopo che le indagini hanno permesso di ricostruire una serie di condotte illecite che si sarebbero consumate nell'esercizio delle rispettive funzioni.
I reati contestati
L'elenco dei reati contestati ai due indagati, come anticipato, è lungo e complesso. Vengono accusati, a vario titolo, di tentata concussione, induzione indebita nel dare e promettere utilità, falsità ideologica e materiale (commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici), truffa, peculato, corruzione, oltre a rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio.
Queste accuse sono il risultato di una articolata attività investigativa che ha svelato un sistema di abusi che si è sviluppato per anni.
Le accuse alla preside: dalle ristrutturazioni ai biliardini
La figura centrale delle indagini è proprio l’ex preside che, secondo gli accertamenti dei carabinieri, avrebbe utilizzato la sua posizione per "scroccare ristrutturazioni gratis" per la casa del figlio e "traslochi gratis" a ditte legate all’istituto.
Non solo: si sarebbe mossa per "piazzare amici e parenti fra i supplenti", "taroccare documenti" per favorire altri familiari e "aggiustare (a pagamento) concorsi" per l'erogazione di crediti Tfa (necessari per l'insegnamento).
Il GIP ha definito la scuola come una “succursale della famiglia” utile per “appropriarsi indebitamente dei beni e delle risorse economiche”. Tra le cose di cui si è appropriata nel tempo, ci sarebbero stati anche tavolini da ping pong, un calcio balilla e un paio di poltrone.
Per l’ex preside, l’istituto era anche un regno per costruire “un vasto e consolidato circuito clientelare, foriero di continue richieste di aiuti e favoritismi”. Alla sua porta bussava chiunque, dal vescovo al parente in cerca di un posto.
Le accuse al 40enne: la frode processuale
Per quanto riguarda invece il 40enne, titolare di un centro di formazione, le contestazioni principali riguardano la corruzione con modalità analoghe a quelle della preside e, in particolare, la frode processuale.
Dopo il sequestro del suo cellulare da parte degli investigatori, l’uomo avrebbe infatti ottenuto una nuova scheda SIM con lo stesso numero di quella sequestrata. L’obiettivo sarebbe stato quello di accedere al proprio profilo Telegram per cancellare alcune chat, alterando così lo stato delle cose e cercando di compromettere le prove a suo carico.
L’istruzione come business criminale
Questo, secondo le risultanze delle indagini, non era un caso isolato ma un vero e proprio metodo che ha trasformato l’istruzione in un "business criminale". Un sistema che, a quanto pare, la preside intendeva monetizzare anche dopo la pensione, grazie ai "legami opachi" e al giro di clientele costruito.
L’ex dirigente, come riporta ‘la Repubblica’, aveva le idee molto chiare sul futuro: “Ho un potenziale che mi proviene da anni ed anni, che posso sbancare quando io mi fermo. Sbanco più così che qui”, hanno segnalato i carabinieri. Più che un progetto, suona come una confessione.
Il business si concentrava in larga parte sulla formazione a pagamento, in particolare per l'acquisizione dei crediti Tfa. Per aggirare la legge, bastava "oliare il commissario designato per il concorso con una generosa somma di denaro ed ecco spuntare in anticipo le domande per il test".
L'obiettivo era espandere questa rete illecita coinvolgendo dirigenti e docenti "compiacenti" di varie università, incaricati di vigilare sulle procedure d'esame. Questi favori venivano ottenuti tramite "cene, regali e buste" spesso consegnati, secondo quanto emerso dalle carte, durante le visite alle sedi centrali di atenei, prevalentemente online, dove gli investigatori affermano che i due indagati avevano "entrature ad alto livello tra il personale docente e direttivo”.