matteobortone
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abolizione esame maturità

L'esame di Maturità: un rito di passaggio, la fine di un ciclo, l'inizio di un nuovo capitolo. O, almeno, questo è ciò che dovrebbe essere. Negli ultimi anni, però, si è parlato sempre più spesso della sua reale utilità. Un professore di Storia e Filosofia di un liceo romano ha deciso di non tirarsi indietro e ha scritto una lettera aperta al Ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara.

Il suo scopo è quello di chiedere apertamente di "proporre in Parlamento una riforma scolastica che abolisca l’Esame di Stato conclusivo del corso di studio di istruzione secondaria superiore, oggi diventato una inutile formalità e uno spreco di risorse pubbliche".

Una richiesta forte, arrivata proprio nel momento in cui le commissioni d'esame si insediavano in tutta Italia, sottolineando l'urgenza di una riflessione su questo tema.

Indice

  1. Il significato sociale perso
  2. Le prime riforme 
  3. Un esame senza domande
  4. Il caso assurdo dello scorso anno
  5. Uno dei problemi sono le famiglie
  6. Stipendi fermi, caldo e differenze regionali

Il significato sociale perso

Per capire dove stiamo andando, a volte, è fondamentale sapere da dove veniamo. Il professore spiega, così, che l'esame che oggi chiamiamo "Maturità" non è sempre stato tale. La sua nascita è legata a due giganti del pensiero italiano del Novecento: Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Furono loro, quasi un secolo fa, a volere un esame che chiudesse il ciclo liceale. Croce, pur non riuscendoci nel 1920-21, diede l'input, ma fu il suo amico Gentile, da Ministro del primo Governo Mussolini nel 1923, a istituire la celebre Riforma Gentile.

Quel primo esame era una vera "prova di forza": quattro scritti e un orale su tutte le materie degli interi anni di studio, con commissioni composte solo da docenti esterni, spesso professori universitari.

I numeri parlano chiaro: nell'anno scolastico 1924/25, circa il 59,5% dei maturandi del classico e il 54,9% di quelli scientifici furono promossi. Un esame "davvero serio, probabilmente troppo", ma che aveva un significato sociale profondo: standardizzare l'istruzione e "nazionalizzare" il sapere. Un significato che, come sottolinea il professore, si è oggi "del tutto perso".

Le prime riforme 

L'eccessiva selettività dell'esame voluto da Gentile, continua il docente,  fu notata quasi subito. Nonostante fosse stata definita dal Duce come "la più fascista delle riforme", Gentile non fu riconfermato Ministro. Il regime fascista, infatti, iniziò a modificare la riforma per renderla meno esclusiva, cercando di ampliare l'accesso all'istruzione media e superiore anche alla piccola e media borghesia, una base sociale importante per il consenso.

Nel 1939, con "La carta della scuola" di Giuseppe Bottai, si tentarono ulteriori riforme, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ne impedì la completa attuazione.

Tra il 1952 e il 1969, con l'avvento della Repubblica, si assistette a un vero e proprio smantellamento della riforma originale. I ministri democristiani si impegnarono a semplificare l'esame per bilanciare selettività e inclusività. Fu così che vennero introdotti i commissari interni, ridotte le prove scritte, limitato l'orale a meno materie e concentrato lo scibile al solo ultimo anno.

Le riforme del XXI secolo, complice anche la pandemia di Covid-19, a detta del docente hanno ulteriormente "annacquato la prova". I dati utilizzati per avvalorare la sua tesi sono lampanti: negli ultimi dieci anni, gli ammessi all'esame sono stati in media il 96,2%, mentre i promossi addirittura il 99,8%. Quel minuscolo 0,2% di respinti? Si tratta di chi non si è proprio presentato, non di chi non ha superato la prova.

Un esame senza domande

Un altro aspetto su cui pone l’attenzione il prof, sembra quasi un paradosso, ma negli ultimi anni è diventata una tendenza piuttosto diffusa: presidenti di Commissione che sostengono che i commissari non debbano nemmeno fare domande ai maturandi. L'idea sarebbe quella di lasciare i ragazzi "liberi di parlare in un monologo", partendo da un'immagine o un testo proposti dalla commissione, e di fare le proprie associazioni con le varie materie. Il tutto, però, "senza che i commissari possano porre quesiti o esprimere correzioni".

Ma come si fanno a "verificare" conoscenze e competenze senza fare domande? Il professore ironizza: "Un’arte divinatoria che si baserà sulle capacità telepatiche dei commissari, immagino". Accertare senza interagire sembra, a dir poco, contraddittorio. Un atteggiamento "lassista, pensato per non avere nessun tipo di problema", che, purtroppo, è "relativamente diffuso".

Il caso assurdo dello scorso anno

Le situazioni paradossali non sono solo ipotesi, ma purtroppo realtà vissuta. Il docente racconta un episodio che lo ha lasciato basito. Un anno fa, come membro esterno di una commissione, si è trovato di fronte a una studentessa che, per raggiungere il voto minimo di 60/100, aveva bisogno di ben 18 punti all'orale. La sua prova fu "assai mediocre", e la commissione, all'unanimità, concordò un voto equo di 8 o 10 ventesimi, il che avrebbe significato una bocciatura certa.

Ma ecco il colpo di scena: "Le tre commissarie interne chiesero 'Quanto le manca al 60? 18 punti? Bene, diamole 18'". Il professore e l'altro membro esterno misero a verbale il loro dissenso e inviarono una PEC agli ispettori del MIM, "naturalmente senza alcuna risposta, perché il problema è ovunque: nelle commissioni come tra gli ispettori del Ministero che preferiscono, anch’essi, 'troncare, sopire'".

Fuori dall'aula, i genitori della ragazza "accolsero la figlia con fiori e bottiglie di spumante. Perché è il segreto di Pulcinella: tutti sanno che se sei ammesso alla Maturità, sei automaticamente promosso, no?". Un episodio che evidenzia quanto sia diventata una farsa l'intera procedura.

Uno dei problemi sono le famiglie

La critica nella lettera si sposta, quindi, su uno dei nodi cruciali della questione, che è l'attuale atteggiamento delle famiglie. Viviamo in una società "allergica ai 'no' e agli ostacoli da parte delle istituzioni repubblicane". Sembra che le famiglie di oggi abbiano sempre più difficoltà ad accettare un rifiuto o una valutazione negativa per i propri figli. Questo rende estremamente difficile proporre un esame più rigoroso e selettivo, perché le proteste e i ricorsi sarebbero all'ordine del giorno.

Di fronte a questa realtà, la proposta del professore diventa ancora più radicale e, a suo dire, "logica": se non è possibile ripristinare la serietà dell'esame, allora è meglio abolirlo del tutto. Un gesto che riconoscerebbe apertamente che la Maturità, nel suo formato attuale, non ha più la forza di selezionare e valutare in modo efficace.

Stipendi fermi, caldo e differenze regionali

Oltre agli aspetti pedagogici e sociali, ci sono anche motivazioni pratiche ed economiche che spingono il professore a chiedere l'abolizione dell'esame. Una di queste riguarda le retribuzioni dei commissari e dei presidenti, ferme "a 18 anni fa".

Il decreto interministeriale del 24 maggio 2007 stabilisce importi che oggi appaiono a dir poco irrisori: "circa 399 euro lordi per i commissari interni, 911 euro lordi per i commissari esterni e 1.249 euro lordi per i presidenti di commissione". Cifre che, come sottolinea il professore, sono "ridicole e offensive". Se non ci sono fondi sufficienti per retribuire dignitosamente il lavoro, allora "si tagli tutto".

Inoltre, si domanda il docente, ha senso "ordinare a circa 91.000 docenti italiani di prendere parte, col caldo estivo a un percorso d’esame che vede la promozione di tutti coloro che si presentano alla Maturità? Sa di presa in giro".

Infine, vengono menzionate le fortissime differenze regionali nelle valutazioni, con il Meridione che concede "100" e "100 e lode" a pioggia e il Nord che tenta di riservare l'eccellenza a chi la merita, annullano completamente l'idea di "standardizzazione e nazionalizzazione tanto care a Croce e Gentile".

Data pubblicazione 23 Giugno 2025, Ore 13:33 Data aggiornamento 23 Giugno 2025, Ore 13:35
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