
Salute, ambiente, infrastrutture, ma anche scuola: la legge mira ad attribuire alle regioni la facoltà di esercitare in piena autonomia la potestà su alcune di queste materie. Il ddl attualmente è ancora in fase embrionale, il testo sottoposto al vaglio del CdM infatti è una legge di principio: non delinea cioè gli accordi specifici tra Stato e Regioni, ma si limita a stabilire alcuni nodi cruciali. Ma nonostante non si sia ancora arrivati in Parlamento, la bozza del ddl fa discutere soprattutto nel mondo scolastico: cosa accadrebbe se la scuola diventasse una competenza esclusiva delle regioni? In merito, gli esperti non hanno dubbi.
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DDL Autonomia Differenziata: i nodi cruciali della bozza
Il disegno di legge presentato dal Ministro Calderoli si articola in 10 articoli. L'articolo 1 della bozza stabilisce il trasferimento delle funzioni da Stato a Regioni: questo avverrà solo quando saranno fissati i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni). Facciamo qui un passo indietro: cosa sono i LEP? Spiegato in modo semplice, significa garantire stessi diritti sociali e civili per tutta la cittadinanza. In altre parole tutti i cittadini – da Nord a Sud – devono poter godere in maniera egualitaria dei servizi base, come ad esempio la salute e la scuola. L'articolo 3 del testo della riforma li definisce infatti nucleo invalicabile per il ”pieno superamento dei divari tra Nord e Sud”. I LEP ”sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri”, ma al momento il testo non indica come concretamente i Lep saranno finanziati.
Un altro nodo cruciale della riforma emerge nell'articolo 5. Qui si legge infatti che ”le risorse umane, strumentali, e finanziarie necessarie per l'esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia" saranno determinate da una Commissione paritetica Stato-Regioni. Spiegato in modo semplice, si tratta della distribuzione delle risorse – sia economiche ma anche umane (come i funzionari pubblici) – alle Regioni nell'esercizio delle nuove funzioni. Non sarà quindi il Parlamento ad intervenire, ma una Commissione composta da un rappresentante del ministro per gli Affari regionali e l’Autonomia, un rappresentante del ministero dell’Economia e Finanze, e un altro a seconda della materia trattata; mentre per le Regioni, siederanno al tavolo i corrispondenti esponenti.
Venendo poi al punto, la domanda sorge spontanea: in quali materie le Regioni potranno chiedere l'autonomia? L'articolo 2 non attribuisce limiti: ”Gli atti di iniziativa delle Regioni possono riguardare una o più materie, o più ambiti di materie”. Tradotto, significa che ciascuna Regione potrà chiedere e ottenere l'esercizio esclusivo su più o meno tutte le materie di interesse: dalla salute ai trasporti, dall'energia alla scuola. E – a proposito di scuola – sono in molti tra gli addetti ai lavori ad aver lanciato l'allarme negli ultimi giorni: le Autonomie rischierebbero infatti di aggravare un divario – già ampio – tra Nord e Sud, ma non solo.
Autonomie, cosa cambia per la scuola? I pareri degli esperti: dal welfare contrattuale per i docenti, al divario tra Nord e Sud
"Autonomia e scuola non sono due parole che, accostate, sono sinonimo di risultati ottimali per gli studenti. Da quando è stata introdotta l'autonomia scolastica - secondo alcuni peraltro una riforma a metà - abbiamo visto aumentare drasticamente le differenze di qualità tra scuola e scuola nello stesso territorio e, purtroppo, anche di regione in regione. L'INVALSI già oggi ci dice che gli studenti più indietro in termini di competenze di base sono sopratutto quelli delle regioni del Sud Italia. Quindi l'introduzione di ogni altra forma di autonomia nell'ambito dell'istruzione va attentamente ponderata"chiarisce il direttore di Skuola.net Daniele Grassucci, che da sempre si occupa di scuola e di studenti. Dello stesso tenore i commenti di altri personaggi che hanno fatto della scuola il loro settore di occupazione o di studio.”Per quel che ci riguarda, il sistema di istruzione deve essere nazionale e pubblico. Certamente con il concorso di organismi statali e paritari, ma la regia deve restare in capo allo Stato” parole queste di Ivana Barbacci, segretaria generale di CISL scuola, intervistata da 'Avvenire'. La leader sindacale spiega come già oggi alcune misure rispondono delle esigenze del territorio. Un esempio in questo senso è il reclutamento docenti: avviene su base nazionale, ma le risorse sono regionali. ”Ma si può pensare a una contrattazione di secondo livello, una sorta di welfare contrattuale, che nella scuola ancora non c’è, propone Barbacci. Anziché costringere i lavoratori a restare per anni in un territorio si possono studiare degli incentivi a rimanere, un sistema premiale che vada a beneficio non soltanto degli insegnanti ma di tutti i lavoratori della scuola”.
Ad agitare però il mondo scuola è soprattutto il rischio di ampliare ulteriormente il divario tra Nord e Sud sull'istruzione. L'ultimo rapporto di Save The Children dipinge un quadro molto grave nel Sud della penisola: a fronte di una dispersione scolastica nazionale media del 12,7%, la Sicilia raggiunge il 21,1% e la Puglia il 17,6%; al contrario in Lombardia è all’11,3%. ”Per quel che sappiamo finora, non ci sembra che il progetto di autonomia differenziata segua la logica perequativa indicata dall’articolo 3 comma 2 della Costituzione. Cioè dare di più a chi parte con meno” fa notare Marco Rossi Doria, Presidente di “Con i bambini”, sull' 'Avvenire'. Rossi Doria invita poi alla prudenza: ”La spesa sociale dei Comuni è molto diversa a seconda dei territori. L’Italia è lunga e complessa: bisogna fare prima la mappa delle perequazioni e poi ragionare sugli assetti. Se, invece, si fa il contrario si rischia di aumentare i divari e proteggere sempre gli stessi”.
Ancora più dura è la sociologa Chiara Saraceno che ha condannato con forza le autonomie regionali, frutto della riforma del Titolo V del 2005. Negli ultimi decenni infatti non si è ancora riusciti a definire i Lep, ovvero i livelli essenziali delle prestazioni a garanzia di una cittadinanza comune, mentre la litigiosità sui rispettivi poteri di stato e regioni è cresciuta senza alcun vantaggio per i cittadini” ha spiegato la sociologa a 'Linkiesta'. Tra le vittime di questa diatriba finirà (anzi già c'è finita) anche la scuola. Non è possibile secondo la Saraceno lasciare la regolamentazione della scuola agli enti locali, proprio per la differenza nella disponibilità delle risorse. Già oggi è evidente un netto divario territoriale nell'ambito della didattica: ”Esiste una differenziazione ingiusta delle risorse educative pubbliche offerte sul territorio nazionale, non solo tra regioni, ma anche all’interno delle stesse regioni e città: nidi, scuole per l‘infanzia, tempo pieno nella scuola dell’obbligo, disponibilità di palestre e laboratori, effettiva disponibilità di scelta tra più indirizzi di scuola secondaria di secondo grado, differiscono a seconda di dove si vive e cresce”. Diseguaglianze destinate a crescere se la scuola dovesse diventare una competenza esclusiva delle Regioni. Lo fa notare anche l'associazione “EducAzioni”: la realizzazione di un sistema scolastico differenziato andrebbe a pesare non solo sull'offerta della didattica, ma anche su risorse e strumenti, nonché su reclutamento e formazione docenti.