In un liceo nel quartiere Trieste di Roma, nel bagno dei ragazzi del secondo piano, è comparsa una scritta sui muri agghiacciante: “Lista stupri”, seguita da un elenco di nomi e cognomi di studentesse che frequentano l'istituto.
La denuncia, immediata, è arrivata dal collettivo studentesco "Zero Alibi" e l'episodio, venuto alla luce a pochi giorni dalla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, ha riacceso il dibattito su quanto sia urgente affrontare il tema della violenza di genere e della cultura patriarcale. Anche e soprattutto in ambito scolastico.
È proprio su questo punto che gli studenti hanno voluto insistere nella loro segnalazione: “Un muro può essere cancellato, ma la cultura alla base del messaggio no, va combattuta; questo gesto, oltre a essere di una gravità inconcepibile, dimostra la società patriarcale in cui ancora oggi noi tutti viviamo”.
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La "lista stupri" a scuola: i corpi come bersagli
Il messaggio lasciato sul muro, purtroppo, va analizzato per quello che rappresenta: un simbolo di una mentalità tossica.
Il collettivo "Zero Alibi" ha voluto chiarire l'importanza delle parole usate: “Usare la violenza sessuale come arma, come minaccia o scherno, significa alimentare ed essere parte attiva della stessa cultura che ogni giorno uccide, ferisce, opprime, umilia e zittisce le donne”.
Questo tipo di azione, secondo gli studenti: "Significa sentirsi autorizzati a trattare i corpi femminili come oggetti, come bersagli, come ‘componenti di una lista’ e questo è intollerabile”.
L’episodio non è comunque passato inosservato e, in segno di solidarietà, i collettivi degli altri principali licei di Roma hanno subito rilanciato la notizia.
L'appello per l'educazione sessuo-affettiva
Il caso del "Giulio Cesare" - questa la scuola in questione - ha spinto, poi, le ragazze e i ragazzi di "Zero Alibi" a ribadire con forza una rivendicazione che da tempo è al centro del dibattito studentesco: la necessità dell’educazione sessuo-affettiva a scuola.
Questo tipo di episodi, dicono gli studenti: “Non possono passare inosservati, sono sintomo del patriarcato, di un sistema oppressivo che silenziosamente controlla e condiziona le nostre vite. Nessuna di noi può permettersi di restare indifferente, di voltarsi dall'altra parte: perché chi è indifferente è complice”.
La lotta è chiara e mira a una trasformazione culturale radicale: “Continueremo a pretendere un'educazione sessuo-affettiva, a esigere che nella nostra scuola come in Italia venga fatto un percorso che lavori alla radice del problema".
Per questo, il collettivo ha anche convocato un’assemblea per oggi, venerdì 28 novembre, proprio per discutere del fatto. “Non ci stancheremo mai di dirlo, saremo sempre dalla parte giusta, saremo sempre transfemministe”, gridano i rappresentanti del gruppo.
Gli altri casi denunciati a Roma
Purtroppo, quando accaduto nel liceo romano non è un caso unico. Le denunce di casi di sessismo e violenza digitale nelle scuole della Capitale (e di tutta Italia) sono tutt'altro che rare. Lo scorso gennaio, ad esempio, il collettivo "Assange" del liceo Netwon aveva raccontato di un caso gravissimo di revenge porn e violazione della privacy.
Le foto di quattro studentesse, di cui una minorenne, e di un’insegnante della scuola erano state modificate tramite un programma di Telegram per farle apparire nude, per poi essere mostrate ad altri studenti.
E, poco prima ancora, un altro caso aveva coinvolto il liceo "Ripetta", dove un componente del personale Ata (tecnico, amministrativo e ausiliario) avrebbe inviato alcuni messaggi sessisti a una studentessa, rivolgendosi in modo offensivo alle sue amiche.
Le frasi riportate erano: “Altro che caruccia, le darei du b***e”, “Ma quando me la fai s*****e”.
Un quadro che conferma l'urgenza di intervenire.