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Anno scolastico 2006/2007 Giorgia Sinibaldi, IIIA

“LA BRUTTEZZA e l’uomo”

(di Giorgia Sinibaldi)

Perché?

Lo spunto è venuto dall’ascolto di alcune canzoni della cantante Björk, canzoni caratterizzate da sonorità stranianti,

disarmoniche, talvolta addirittura stridenti che concorrono a creare una musicalità che, per il suo infrangere le

canoniche regole, appare “anticlassica”, se non addirittura brutta. E così la bruttezza diviene arte.

Il bue squartato , Rembrandt

“E’ l’immagine più carica di dolore umano che la pittura del Seicento abbia prodotto […]

davanti a quel corpo umiliato e sanguinante Rembrandt ha avuto la rivelazione improvvisa

della propria condizione umana, del proprio essere e del proprio destino […] questo quadro è,

spiritualmente, un autoritratto”

[Giulio Carlo Argan, studioso di storia dell’arte]

E così ha inizio il mio percorso nel mondo della bruttezza, un percorso sul filo delle immagini,

che è dovuto alla convinzione che la potenza espressiva della raffigurazione sia in qualche

modo maggiore rispetto a quella della scrittura.

La scrittura è un’arte temporale: le parti del brutto in essa introdotte vengono per così dire,

dissolte, ingerite, metabolizzate nel tempo, rese accettabili. Invece il brutto è più difficile da

accogliere in pittura perché essa è l’arte della simultaneità, in quanto in un colpo d’occhio si

possono cogliere tutte le parti del quadro, le quali non scompaiono una dopo l’altra come le

parole.

La bruttezza nelle arti figurative pone così lo spettatore davanti ad un confronto impossibile da

rimandare.

All’interno della dialettica artistica il concetto di bruttezza, fin dall’antichità, è assimilabile

all’idea di non-essere, all’idea di negazione del concetto stesso di bellezza e dell’universo di

senso ad essa collegato.

E così ecco presentarsi a noi le statue ellenistiche, come per esempio quella raffigurante

l’anziana donna ubriaca,

la quale infrange la nostra togata idea di classicità tramite una

posa scomposta, travolta dall’ebbrezza alcolica, che avvilisce

le membra e che, poiché ricorda il suo contrario ideale, si fa

caricatura, grottesca comicità.

Ma in una società come quella antica che Dodds definisce

“civiltà della vergogna” , dove quindi il principio etico è esterno

al singolo e dove sono l’appartenenza ad una comunità ed il

riconoscimento da essa tributato a definire l’identità

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