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del sentimento è il caso-limite della mantide femmina, che divora il maschio dopo
l’unione sessuale, o la triste constatazione che la donna, dopo aver generato e
allevato i figli, avendo assolto alla sua funzione, perde ben presto bellezza e
attrattive.
Come è facile comprendere, all’interno di un siffatto quadro concettuale e
speculativo, il matrimonio viene ridimensionato e ricondotto al rango di utile
artificio di cui fa uso l’istinto. Con esso niente hanno più a che fare i cosiddetti
valori spirituali, ma neppure i sentimenti, dal momento che tutto è ridotto ad essere
guidato dal genio della specie: non ha alcun senso parlare di unioni felici, e
Schopenhauer non esita a ricordarlo nel modo più aspro e disincantato. Ecco
perché l’amore altro non è che un disgraziato strumento di perdizione, una terribile
tirannia che si prende gioco di tutto e tutti, fino a giungere a quegli esiti tragicomici
così spesso ricorrenti nelle vicende sentimentali, dovuti al fatto che il singolo
diventa una sorta di burattino nelle mani dello spirito della specie: è per questo,
secondo il filosofo, che per amore si muore, si uccide e si compiono scelte e azioni
che mai l’uomo si sognerebbe di fare se non fosse abbagliato dall’illusione: “La
brama dell’amore, l’ìmeros, che i poeti di tutti i tempi hanno cercato di
esprimere in innumerevoli modi, senza mai esaurire l’argomento… questa
brama e questo dolore dell’amore non possono trarre la loro essenza dai
bisogni di un individuo effimero, ma sono il sospiro dello spirito della
specie”(3).
“Una ‘perla’ d’amore”
Tale visione fa rabbrividire perché ci apre gli occhi sugli abissi metafisici della
nostra esistenza; ribadisco comunque che la creatura umana, pur nella sua
innegabile dimensione effimera, non può essere considerata solo un mezzo adatto
alla continuazione dell’esistenza: l’idea di essere manovrati da “fili” invisibili che
dettano legge e calcolano in anticipo ogni nostra mossa non riesco a sopportarla.
Cosa ne sarebbe di tutte le palpitazioni emozionali che proviamo ogni giorno e che ci
concedono uno “spiraglio di luce” in questa realtà così monotona e ripetitiva? E’ mai
possibile che anche le passioni, ingredienti principali della nostra capacità di
relazione e di stare al mondo, siano frutto di un’illusione e, per di più, di una
manovra invisibile? No, ho troppa fiducia nella forza dell’amore e nella sua concreta
possibilità di cambiare lo stato delle cose e assicurarci una speranza nell’avvenire,
per essere persuasa dalla dottrina schopenhaueriana, che è comunque da
considerarsi una “perla” (come afferma lo stesso autore a proposito della sua
“Metafisica dell’amore sessuale”) nel campo culturale mondiale.
“Il vero amore: la pietà” 4
L’amore procreativo è inconsapevolmente avvertito come “peccato” e “vergogna”,
dato il maggiore dei delitti compiuto mediante la perpetuazione di altre creature
destinate a soffrire (analogamente a quanto sottolinea il poeta Pascoli ne “Il
“due infelicità che si
gelsomino notturno”). Ma se esso è nient’altro che
incontrano, due infelicità che si scambiano ed una terza infelicità che si
prepara” (3), l’unico sentimento di cui si può tessere l’elogio non è l’eros ma quello
“ogni puro e sincero amore è pietà”
caritas):
disinteressato della pietà (agàpe, (4),
ovvero l’impulso di totale solidarietà con il prossimo, di una piena condivisione del
dolore e delle sofferenze che, di certo, non potrà mai sradicare l’inestirpabile male
che avvolge l’umana esistenza, ma sarà in grado di produrre un lenimento
nell’animo altrui e persino un pianto sincero, come descritto in modo suggestivo dal
“Supplementi”.
filosofo anche nei
Questo secondo genere di amore diviene tutt’uno con la compassione e fornisce, a
mio parere, un invito a sperimentare la fratellanza quale modo per alleviare i mali
personali e collettivi, a cogliere il dolore del prossimo per riscoprire e riaffermare la
“sentimento più alto e universale, capace veramente di
nostra umanità:
dissolvere anche le radici più profonde dell’egoismo… piena identificazione
della nostra sorte con le sofferenze delle altre creature” . (4)
Una “bella di Apuleio
fabella”
Anche nella letteratura latina ritroviamo affascinanti storie di passione amorosa che
travolge e trasforma i protagonisti, plasmando il loro destino. Una delle opere più
“Metamorfosi” libri”)
interessanti a riguardo sono le (“Metamorphoseon di Lucio di
Apuleio (Madaura, 125 d.C.-180 d.C. circa), parzialmente autobiografiche e
composte da undici libri, noti fin dall’antichità anche con il nome di “Asinus
aureus” (“L’asino d’oro”): il genere cui il testo rimanda, definito “romanzo”, manca in
realtà di una fisionomia definita e appare come il risultato di stili diversi cui si
fabulae Milesiae
aggiunge l’indispensabile rapporto con le per quanto concerne il
carattere erotico-licenzioso di alcuni episodi. Vi sono anche sottotrame nate da
leggende popolari e l’elemento magico con il quale si scontra e viene ribaltata la
logica di vita dei singoli personaggi. 5
Il protagonista narra la sua trasformazione in asino: l’intera vicenda assume i
caratteri del racconto esemplare; perciò Apuleio, apprezzabilmente, non calca mai la
mano su quanto vi è di scabroso nel suo romanzo. Prova della serietà moralistica
curiositas
dell’opera è la funzione di elemento strutturante svolta dalla di Lucio che
conduce il personaggio alla rovinosa trasformazione, dalla quale sarà liberato solo
dopo una lunga espiazione, culminata in un drastico cambiamento di vita.
e Psiche",
Emblematico è il caso della bella favola di "Amore che occupa addirittura
due libri; essa assume un valore fondamentale nei confronti del destino di Lucio e,
come il resto delle Metamorfosi, ha un significato allegorico: Cupido (identificato con
il greco Eros, signore dell'amore e del desiderio), unendosi a Psiche (cioè l'anima), le
dona l'immortalità; la donna, per giungervi, deve affrontare innumerevoli prove, tra
cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi. Anche la posizione centrale della
favola nel testo originale aiuta a capire ciò che lega questo "racconto nel racconto"
con l'opera principale; è infatti facile scorgere in tale favola una "versione in
miniatura" dell'intero romanzo, offrendone la corretta decodificazione: come Lucio,
anche Psiche è una persona "simplex et curiosa" che compie un'infrazione, viene
duramente punita, e solo in seguito a molte peripezie potrà raggiungere la salvezza.
Appena sono contaminate dall’esperienza parallela di Psiche, le metamorfosi del
giovane devono essere lette come prove cui è sottoposto un essere che, dopo un
tempo di alienazione e di errabonde peripezie, è fin dall’inizio promesso alla salvezza
voluta dalla dea signora delle trasformazioni. Ma la favola appare isolata dal
contesto in cui è collocata ed è destinata momentaneamente a fallire: la sua
struttura di salvazione a lieto fine sarà riattivata e portata a compimento col
chiudersi della narrazione. 6
Tale storia esposta da Apuleio,
nonostante la sua tradizione
millenaria, conserva intatto il suo
fascino e ci fornisce l’esempio di
un amore vissuto al massimo
della potenza e dell’intensità: i
due protagonisti sono attratti da
una forza irresistibile e divengono, a mio vedere, l’emblema del sentimento puro cui
tutti dovremmo ispirarci.
Psiche è una bellissima principessa che causa l'invidia di Venere; quest’ultima invia
suo figlio Eros perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della Terra:
Psiche doveva essere coperta dalla vergogna di questa relazione. Il Dio Amore, però,
s’innamora della mortale, la trasporta al suo palazzo e le impone che gli incontri
avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre. Ogni notte Eros va alla
ricerca di Psiche: i due bruciano la loro
passione in un amore che mai mortale aveva
conosciuto.
Psiche è dunque prigioniera nel castello di
Eros, legata da un tormento che le travolge i
sensi. Una notte, istigata dalle sorelle e pronta
a tutto, la donna decide di vedere il volto del
“Sed cum
suo amante mentre egli dorme:
primum luminis oblatione tori secreta
claruerunt, videt omnium ferarum
mitissimam dulcissimamque bestiam,
ipsum illum Cupidinem formonsum deum
formonse cubantem, cuius aspectu
lucernae quoque lumen hilaratum
increbruit” (“Ma non appena il lume
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rischiarò l'intimità del letto nuziale, agli occhi di lei apparve la più dolce e
la più mite di tutte le fiere, Cupido in carne e ossa, il bellissimo iddio, che
soavemente dormiva e dinanzi al quale la stessa luce della lampada brillò
più viva”) (5). È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale; una goccia cade
dalla lampada e ustiona il suo sposo, il quale va via mentre Venere scaglia la sua
audax et temeraria
punizione,sottoponendo Psiche a diverse prove: “Hem
lucerna et amoris vile ministerium, ipsum ignis totius deum aduris, cum te
scilicet amator aliquis, ut diutius cupitis etiam nocte potiretur, primus
invenerit” (“Ohimè audace e temeraria lucerna indegna intermediaria
d'amore, proprio il dio d'ogni fuoco tu osasti bruciare quando fu certo un
amante ad inventarti per godersi più a lungo, anche di notte il suo
desiderio”) (5). L' ultima e la più difficile consiste nel discendere negli inferi e
chiedere alla dea Proserpina un' pò della sua bellezza: Psiche medita addirittura il
suicidio, ed arriva molto vicina a gettarsi dalla cima di una torre. Improvvisamente,
però, la costruzione si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il
ritorno, mossa dalla curiosità a lei tanto cara, aprirà l'ampolla (datale da Venere)
“Cupido..diutinam
contenente il dono di Proserpina, ovvero il sonno più profondo:
suae Psyches absentiam tolerans per altissimam cubiculi quo cohibebatur
elapsus fenestram refectisque pinnis aliquanta quiete longe velocius
provolans Psychen accurrit suam detersoque somno” (“Cupido… non
sopportando più a lungo la lontananza di Psiche, era fuggito da un'altissima
finestra della stanza dove lo tenevano rinchiuso e, volando più veloce del
solito sulle ali rinvigorite dal lungo riposo, accorse dalla sua Psiche”)(5).
Ancora una volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglierà dopo aver rimesso a
posto la nuvola soporifera. Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche
riceve l'aiuto di Giove. Mosso da compassione, il Dio fa in modo che gli amanti si
riuniscano: Psiche diviene una Dea e sposa Amore. Il racconto termina con un
grande banchetto con tutti gli dei invitati, al termine del quale i due giovani godono
dei piaceri amorosi; da tale unione nasce un figlio, Piacere, identificato dai latini
Sic rite Psyche convenit in manum Cupidinis et nascitur illis
con Volupta: “
maturo partu filia, quam Voluptatem nominamus”. (“Così Psiche andò sposa
a Cupido, secondo giuste nozze e, al tempo esatto, nacque una figlia, che noi
chiamiamo Voluttà”) (5).
“La passione assoluta”
La favola di Amore e Psiche è stata variamente interpretata nel corso del tempo: il
cristiano Fulgenzio ne trasse il mito dell’incontro tra l’Anima e il Desiderio. Apuleio
era, però, un aspro critico dell’ebraismo e non poteva aver costruito una storia
cristianeggiante: maggior fondamento storico sembrerebbe avere la visione della
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favola come mito filosofico di matrice platonica e soprattutto quella di racconto di
iniziazione al culto di Iside e Osiride, divinità egizie. Tuttavia, dato che gli elementi
sono abbastanza confusi e sfumati tra loro, è preferibile valorizzare le delicate e
complesse funzioni letterarie che la favola acquista nella struttura del romanzo.
e Psiche”
Tocca proprio al racconto secondario “Amore il ruolo di rendere più
complessa la prima lettura di avventure di Lucio, attivando una seconda linea
tematica (quella religiosa) che piega tutta l’opera verso un senso mistagogico;
l’evidente significato allegorico nulla toglie alla leggerezza del racconto, in cui si