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Realismo, Naturalismo, Verismo
L’epoca del grande romanzo realista, su cui influisce in seguito la nascita del Naturalismo francese e del Verismo italiano, è da collocarsi nella seconda metà dell’Ottocento. Sorto come conseguenza della crisi del Romanticismo, con lo scopo di dare importanza esclusivamente ai fatti concreti, esso abbandona i problemi metafisici e gli idealismi ma anche i languori sentimentali. Il realismo vuole fotografare la realtà per poterla correggere; nasce la figura dell’intellettuale scienziato. Al suo sorgere favorirono cause storiche, filosofiche e scientifiche. Le cause storiche vanno ricercate nel fallimento dei moti insurrezionali del 1848 e, per quanto riguarda l’Italia, nel fallimento della prima guerra d’indipendenza, conclusasi con la sconfitta di Novara. Questi fatti dissolsero gli entusiasmi del Romanticismo e richiamarono gli uomini alla dura realtà dei complessi problemi politici, economici e sociali. Erano molti i problemi di quel periodo: lo sviluppo dell’agricoltura e dell’industria, la costruzione di strade e ferrovie, l’analfabetismo, il brigantaggio, la questione meridionale, la necessità di una legislazione sociale per combattere la miseria e l’arretratezza delle classi più umili. Inoltre, in questo periodo si diffusero le teorie di Lamarck, Darwin e Spencer, secondo le quali tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo, sono determinati nella loro esistenza da fattori biologici ereditari, ambientali e storici. La nuova scienza fa sorgere il Positivismo (tutto può essere migliorato, bisogna partire dall’elemento concreto, reale). L’ottimismo della scienza passa alla letteratura; poiché l’uomo è una creatura come tutte le altre, la letteratura che lo rappresenta deve essere, come la scienza, realistica. Deve attenersi al concreto, a ciò che è oggettivo, reale.Il nuovo pensiero scientifico e filosofico influì sulla poetica della letteratura contemporanea, che in Francia andò sotto il nome di Naturalismo e in Italia sotto il nome di Verismo. I Naturalisti, di cui ricordiamo soprattutto Emile Zola, propongono una letteratura non di intrattenimento ma di denuncia, nata dall’esigenza di rappresentare le contraddizioni sociali. I Naturalisti francesi ritraggono prevalentemente la vita degli ambienti periferici delle grandi metropoli e dei bassifondi di Parigi, dove vive tanta gente emarginata, depravata, abbruttita dalla miseria, dall’alcool o dal vizio, in contrasto con lo sfarzo della borghesia. I Veristi italiani ritraggono invece la vita stentata e primitiva della piccola borghesia e delle classi più umili: contadini, minatori, pastori. I Naturalisti hanno una visione negativa della realtà sociale accompagnata però da una fiducia nella scienza come strumento per l’emancipazione dell’uomo. I Veristi, invece, hanno una visione negativa della realtà sociale ma priva della fiducia sulle possibilità della scienza.
Il Verismo italiano, seppur influenzato dal Naturalismo, presenta come visto delle differenze. Il Verismo costituisce un fenomeno regionale: gli scrittori analizzano e descrivono nelle loro opere le proprie realtà regionali in modo crudo e drammatico. I principi fondamentali del Verismo sono: rottura con la letteratura romantica e il suo sentimentalismo; ambientazione rurale dei racconti; raccontare il presente partendo dal documento umano; letteratura come strumento di documentazione e denuncia dei problemi postunitari; elaborazione di un linguaggio nuovo, che aderisce completamente, nella sintassi elementare e nella forma essenziale, alla cultura arcaica del mondo che viene rappresentato.
Poetica di Giovanni Verga
Giovanni Verga è il principale esponente del Verismo. Egli respinge la fiducia positivista nel progresso umano e il concetto di evoluzione verso un equilibrio capace di annullare le diseguaglianze. Considera una società caratterizzata da un continuo progresso, dietro cui si celano drammi e scacchi individuali e collettivi.Prima di approdare al Verismo, però, si dedica ad altri tipi di romanzi. Appoggia l’Unità d’Italia, arrivando ad arruolarsi nella Guardia Nazionale: scrive romanzi patriottici. Il trasferimento a Firenze e poi a Milano determina un cambiamento di temi: inizia a descrivere l’ambiente modano che egli stesso frequenta, trattando di amori impossibili, suicidi per amore e adulteri. Il contatto con queste città e la crescente sfiducia verso la vita mondana e i sui ambienti, determinano un ritorno alle sue radici. Sente un senso di appartenenza alla sua patria e si interessa alla questione meridionale. La svolta la si ha con Nedda (1874), che ha per protagonista una raccoglitrice di olive, la quale perde prima l’amato e poi la figlia.
Per descrivere un mondo come quello siciliano, Verga scegli di adottare una scrittura oggettiva, che rientra all’interno della poetica dell’impersonalità (secondo cui l’artista deve ritrarre il vero in modo distaccato, impersonale, analogo a quello con cui gli scienziati descrivono un fenomeno della natura), che vuole guardare il mondo dei contadini e dei pescatori da una certa distanza, al fine di restituirne le verità, usando le parole della narrazione popolare e mettendo al centro il fatto nudo e crudo. Con Verga si parla di artificio della regressione: lo scrittore mette da parte sé stesso, le sue conoscenze, il suo mondo e regredisce fino a calarsi all’interno dei suoi personaggi, parla con le loro parole e vede il mondo dai loro occhi. In questo modo l’autore ci presenta la realtà del mondo che rappresenta, sottolineando l’alterità rispetto alla vita moderna. Per Verga, il progresso e la modernità sono come un fiume in piena (fiumana del progresso) che scorre velocemente trasportando il mondo verso nuovi traguardi, ma allo stesso tempo travolge e distrugge le vite di coloro che non riescono ad adattarsi in tempo alle novità e alla velocità che il progresso impone. È così che il progresso lascia indietro una scia di vittime, i vinti (umili di Manzoni/vinti di Verga, cambia l’atteggiamento dell’autore: Verga è distaccato, Manzoni no). Di questi personaggi Verga decide di parlare nei suoi romanzi e nelle sue novelle. Verga crede nell’immobilismo sociale, cioè nell’impossibilità di cambiamento: l’autore non concede possibilità di riscatto o liberazione ai propri personaggi.
Il narratore si manifesta attraverso lo straniamento: la voce narrante presenta come normali e accettabili comportamenti e modi di pensare che non lo sono affatto. L’ambientazione delle sue opere è la Sicilia mitica e arcaica. Verga presenta il cosiddetto “ideale dell’ostrica”: un tenace attaccamento della povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere . Se sì accetta di vivere nelle condizioni in cui il destino ci ha fatto nascere, si può condurre un’esistenza , se non felice, almeno serena. La povera gente sceglie di rimanere il più possibile attaccata al proprio nucleo familiare. L’individuo che si allontana dalla famiglia e dall’ambiente d’origine, rifiutando tradizioni e principi secondo cui è stato educato, è destinato a fallire e a perdersi. Il mondo di Verga finisce per essere guidato solo da una logica economica, universalmente accettata. Nei personaggi di Verga si nota un attaccamento eccessivo alle piccole proprietà di famiglia, alla roba appunto. Nessuno riesce a sottrarsi al culto della roba: la proprietà dei beni materiali diventa l’unico fine dell’esistenza umana. Verga coglie ciò che vi è di negativo nella realtà esistente e rappresenta con grande acutezza l’oggettività delle cose. È uno scrittore scomodo, aspro e sgradevole: non diffonde miti, semmai li distrugge.
Dal punto di vista delle tecniche narrative, le principali adottate da Verga sono: eclissi dell’autore (a raccontare i fatti sono gli stessi personaggi che esprimono, secondo il loro punto di vista, idee, sentimenti e passioni); la regressione; lo straniamento; il discorso indiretto libero (tecnica attraverso la quale nella narrazione vengono inseriti direttamente pensieri e parole dei personaggi; gli elementi grammaticali distintivi sono: assenza di verbi dichiarativi (es. dire, chiedere, pensare) e congiunzione “che”, presenza di punti interrogativi, esclamativi e di sospensione e uso della terza persona per indicare chi parla e chi pensa); linguaggio (espressione dei personaggi narrati; assume spesso la forma di proverbi, detti popolari ed espressioni colloquiali; è schietto e semplice. Vi è pluralità dei registri linguistici in accordo con i livelli culturali dei diversi personaggi).
Verga pre-verista: romanzi patriottici e mondani. “Nedda”: svolta
Vita dei campi (1880): segna l’inizio della stagione verista. Si compone di 8 testi (Fantasticheria, Cavalleria rusticana, L’amante di Gramigna, Jeli il pastore, La lupa, Rosso Malpelo, Guerra di Santi, Pentolaccia), ambientati nelle campagne siciliane. I personaggi sono estranei alle situazioni artificiali della vita cittadina e sono dominati da passioni elementari. Essi sono raccontati dai loro stessi fatti, vissuti in una Sicilia drammaticamente vera. È un mondo fondato sulla ripetizione di ritmi sempre uguali fatto di lavoro, miseria, violenza, egoismo, nel quale non c’è pietà per i deboli. Si fa strada il tema del diverso, che non accetta la morale della comunità, anche se a essa non si ribella apertamente e viene per questo estromesso fino al finale spesso tragico (è il caso ad esempio di Rosso Malpelo). La voce narrante spesso descrive i personaggi con sarcasmo e aggressività.Novelle rusticane (1883): raccolta di 12 novelle che hanno per protagonisti nobili decaduti. Il mondo descritto in queste novelle si basa sul possesso della “roba”, della ricerca della ricchezza, unica ragione di vita che logora i personaggi.
Ciclo dei Vinti: ciclo di 5 romanzi rimasto incompiuto. Esso prevedeva la stesura di: I Malavoglia Mastro Don Gesualdo, La duchessa di Leyla (incompiuto, L’onorevole Scipioni (non scritto), L’uomo di lusso (non scritto). Qui, Verga studia le conseguenze del progresso sui diversi ceti sociali, dai più bassi ai più alti e pone attenzione nei confronti dei vinti. Il progetto avrebbe dovuto avere uno sviluppo genealogico.
• I Malavoglia (1881): ambientato nel paesino siciliano di Aci Trezza dal 1865 al 1877. Padron ‘Ntoni è il capofamiglia e l’unità e l’economia familiare sono garantite dalla Casa del Nespolo e dal peschereccio, chiamato “La Provvidenza”, ma una serie di disastri colpirà la famiglia. Il giovane ‘Ntoni, nipote di Padron ‘Ntoni, deve partire per il militare e la famiglia è costretta ad assumere un lavoratore. A ciò si aggiunge una cattiva annata per la pesca e il bisogno di una dote per Mena, la figlia maggiore, che si deve sposare. Padron ‘Ntoni decide allora di tentare la via del commercio, ma la Provvidenza (carica di merce), naufraga e muore Bastianazzo, figlio di Padron ‘Ntoni. Questo evento causa la rovina economica dei Malavoglia, che perdono anche la Casa del Nespolo. Poco dopo il colera uccide la madre. La Provvidenza, che era stata riparata, naufraga di nuovo, i membri della famiglia rimangono senza lavoro e sono costretti ad arrangiarsi. Intanto il giovane ‘Ntoni, finito il servizio militare, si rifiuta di tornare a casa e decide di dedicarsi al contrabbando e a una vita dissipata; finisce in carcere dopo una rissa con la guardia che aveva tentato di sedurre la sorella Lia. Successivamente, muore l’altro nipote, Luca. Lia, dopo l’episodio con la guardia, si sente disonorata e fugge a Catania, dove finisce per lavorare come prostituta. A causa di questo Mena non può più sposarsi. Il nucleo familiare è completamente distrutto e Padron ‘Ntoni si avvicina alla morte. Dopo tanti sacrifici, l’ultimo nipote, Alessi, riesce a ricomprare la Casa del Nespolo e tenta di ricostruire il nucleo familiare senza però riuscirci: Padron ‘Ntoni muore, mentre il giovane ‘Ntoni, uscito dal carcere, abbandona per sempre il paese natale.
Le sventure della famiglia sono dovute all’irruzione della storia e del progresso che mettono in crisi il mondo tradizionale arcaico. Nel romanzo ci sono varie opposizioni. Possiamo distinguere due filoni principali, che presentano due strutture narrative diverse: il filone delle vicende di ‘Ntoni, che si dispone secondo una struttura lineare (parte per il servizio militare, torna al paese, ma poi riparte definitivamente); il filone delle vicende della famiglia, che ha una struttura circolare imperfetta (inizia con la rottura dell’equilibrio preesistente, da cui derivano una serie di sventure, fino a una ricomposizione parziale dell’equilibrio, ma non si tratta di un circolo perfetto, perché la situazione di partenza non coincide con quella di arrivo). Anche il tempo assume nel romanzo due configurazioni differenti, che riflettono il conflitto tra mondo tradizionale e mondo moderno: il tempo circolare della natura, fatto di ritmi che si ripetono sempre uguali e il tempo rettilineo della storia, scandito dagli eventi che modificano il mondo e il destino dei Malavoglia. Anche lo spazio raccontato nel romanzo si suddivide in due luoghi in lotta tra di loro: spazio interno al villaggio, che è conosciuto e rassicurante, caratterizzato da elementi ricorrenti come il rumore del mare e che corrisponde al tempo ciclico; spazio esterno al villaggio, indeterminato e minaccioso, che corrisponde al tempo lineare della storia.
• Mastro Don Gesualdo: Gesualdo Motta, muratore di umili origini, è riuscito a elevare la propria condizione e a diventare proprietario terriero. La sua ascesa sociale è suggellata dal matrimonio con Bianca, una nobile decaduta. Gesualdo non ama la moglie e sa che Isabella, nata pochi mesi dopo le nozze, non è figlia sua. La convivenza tra i coniugi è fonte di delusioni e amarezze. Isabella si vergogna delle umili origini del padre e invaghitasi del cugino scappa di casa. Per rimediare alla compromissione della figlia e sempre alla ricerca di un’ulteriore affermazione sociale, Gesualdo dà Isabella in sposa al Duca di Leyra, nobile squattrinato che dissipa la dote della ragazza. Deluso e malato Gesualdo muore, mentre assiste impotente allo spreco del patrimonio per il quale ha lottato.
Rosso Malpelo (da Vita dei Campi)
Nella scelta dell’ambientazione e del tema l'autore si ispira a un dibattito molto attuale nella società dell’epoca, quello sulle condizioni di lavoro nelle miniere e sullo sfruttamento del lavoro minorile.La novella inizia con la presentazione del personaggio di Malpelo, un giovane che lavora in una cava di sabbia siciliana e che è ritenuto da tutti essere malvagio a causa dei suoi capelli rossi. Per questo motivo il giovane è malvoluto dalla sua famiglia, che si vergogna di lui, e maltrattato dai suoi compagni di lavoro. Nel racconto si racconta che lo tenevano a lavorare lì solo perché il padre era morto nella cava (momento a cui lo stesso Malpelo assiste e che viene raccontato: Malpelo è stato l’unico ad aver provato a salvarlo). Gli vengono affidati tutti i lavori più duri e pericolosi e il ragazzo sfoga la sua rabbia contro un vecchio asino. Entra in scena un altro personaggio, il giovane Ranocchio, momentaneamente zoppo dopo un incidente. Malpelo inizia a tormentare il ragazzo, ma in questo comportamento si cela il suo modo di essergli amico e di prepararlo per il mondo. Viene descritto anche un ritorno a casa del protagonista, che si reca dalla madre e la sorella, che però si vergognano di lui. Successivamente viene ritrovato il cadavere del padre, evento che sconvolge moltissimo Malpelo. Anche l’asino che Malpelo usava picchiare viene trovato morto e il suo cadavere viene mangiato dalle bestie. Il protagonista porta Ranocchio a vedere la scena per dargli una lezione sulla vita, ma quest’ultimo si ammala poco dopo e Malpelo fa appena in tempo ad andare a trovarlo prima che muoia. Nel finale Malpelo viene mandato in esplorazione in una zona pericolosa della cava e non fa più ritorno, presumibilmente morto nel labirinto dei cunicoli.
Malpelo è un emarginato, rifiutato dalla famiglia e dai compagni di lavoro. La sua diversità si riconosce nei suoi capelli rossi, in cui il popolo vede un segno di malvagità. Per Malpelo la vita si configura come un’eterna lotta per la sopravvivenza dominata dalla legge del più forte. Lo vediamo anche negli insegnamenti che dà a Ranocchio, il cui fine è fargli capire che la vita è una lotta in cui dominano il male e l’ingiustizia. La concezione della vita di Malpelo è priva di speranza. Per questo motivo egli decide di non ribellarsi contro le ingiustizie che subisce. A volte sogna un destino diverso, ma subito ne comprende l’impossibilità e torna alla realtà. Per quanto riguarda lo stile, il narratore regredisce a livello dei personaggi, assumendo acriticamente (senza giudizio) i pregiudizi e la mentalità. Ricorrendo allo straniamento, Verga non intende accreditare la fondatezza del pregiudizio del popolo, ma al contrario mostrarne l’ottusità e l’ignoranza. Per quanto riguarda la lingua, è una forma mista di italiano colto ed espressioni dialettali; utilizza il discorso indiretto libero.
La roba (da Novelle rusticane)
La roba racconta la vicenda di Mazzarò, un uomo che passa dalla condizione di bracciante povero, sfruttato e maltrattato, a quella di ricchissimo latifondista. Con enormi sacrifici fatti di durissimo lavoro e privazioni, con le sue forze fisiche e la sua intelligenza tese soltanto a riscattarsi dalla miseria e a possedere la “roba”, egli diventa padrone di terre immense, uliveti, vigne e fattorie. Ma la “roba” diventa per Mazzarò la ragione stessa della sua vita, un’ossessione che lo perseguita: non ha tempo per gli affetti né per godersi la sua agiatezza, ma solo per pensare a come accumulare altre ricchezze. Così, quando la morte lo sorprende, ha un moto di ribellione (urlando “Roba mia, vienitene con me” e ammazzando a colpi di bastone le sue bestie), perché morire significa abbandonare la roba che gli è costata tanta fatica.A differenza dell' “oppresso" Rosso Malpelo, che la società condanna alla marginalità, Mazzarò è un "oppressore", ma eroe di un mondo che ne riconosce i valori e per questo lo rispetta e lo ammira. Ciò spiega perché Verga scelga, per raccontarne le imprese, la voce di un narratore complice, che aderisce alla sua mentalità e alla sua visione della vita. Perfino la considerazione della morte della madre come fardello economico viene ritenuta del tutto normale. È il lettore a dover cogliere, dietro all’impersonalità di Verga, il dramma di un uomo che, per dedicare alla roba la propria vita, finisce per essere travolto dall'inutilità dei suoi sforzi.
La famiglia Malavoglia (da I Malavoglia)
Nell'aprire il romanzo, Verga evita accuratamente di introdurre gli avvenimenti: la vicenda è collocata in un passato indefinito e quasi astorico e raccontata attraverso la voce di un narratore popolare che si pone sullostesso piano dei protagonisti. I personaggi sono presentati secondo un ordine gerarchico: su tutti campeggia la figura patriarcale di padron 'Ntoni, l'instancabile lavoratore del mare, il garante della tradizione e della religione di famiglia, che comanda sul figlio Bastianazzo, sulla nuora Maruzza e sui cinque nipoti. La sua autorità è indiscutibile ed è suggellata dalla conoscenza dei proverbi. La smania di adeguarsi al progresso e alla modernità porterà i Toscano alla lunga e drammatica discesa agli inferi che tocca tutti coloro i quali, invece di accontentarsi di ciò che hanno, inseguono il miraggio del benessere. La regressione del narratore si coglie immediatamente quando i Toscano vengono indicati come “Malavoglia": un soprannome offensivo, usato per sottolineare il difetto opposto alla qualità posseduta di famiglia laboriosa. La mentalità espressa dalla comunità non viene messa in discussione né tanto meno è riprodotta con atteggiamento di superiore paternalismo: tra il modo di esprimersi dei personaggi e quello del narratore c'è una perfetta fusione.