Concetti Chiave
- Il capitolo si concentra sull'episodio che porta alla disfida, evidenziando la complessità della storia al di là del semplice sottotitolo "Disfida di Barletta".
- Diego Garcìa de Paredes è descritto come un guerriero di grande audacia e integrità, che tratta i prigionieri francesi con rispetto, nonostante il loro status.
- La tensione tra italiani e francesi cresce durante una cena, dove insulti e accuse reciproche portano a una sfida per lavare l'onore offeso.
- Ettore Fieramosca emerge come un eroe romantico, lodato per le sue virtù militari e morali, incitando rispetto e ammirazione.
- Il capitolo si chiude con Inigo che riflette sull'imminente sfida, sostenendo che chi combatte per l'onore della patria non può essere sconfitto.
• Diego Garcìa de Paredes
• I tre prigionieri francesi : Jacques de Guignes, Giraut de Forses, La Motte.
• l’oste, detto Veleno
• Inigo
• Azevedo
• Segredo
Indice
L'episodio della disfida
Il secondo capitolo è tutto incentrato intorno all’episodio che darà occasione alla disfida. È un capitolo fondamentale perché i rimanenti, fino al XIX, in cui avviene lo scontro, ad altro non servono che a raccontare le vicissitudini romanzesche di Ettore Fieramosca. Per questo motivo, il sottotitolo “Disfida di Barletta” è veramente secondario in rapporto alla complessità della vicenda narrata.
L'arrivo degli spagnoli
Verso le due di notte il drappello di Spagnoli annunciato dal messaggero entra nell’osteria, dove l’oste, Veleno, ha imbandito la tavola con un’inconsueta diligenza: tovaglia di bucato, stoviglie strofinate di fresco, bicchieri appena lavati su cui brillano ancora delle gocce d’acqua e qua e là piattini e foglie di viti su cui porre i boccali. Il primo ad entrare è Diego Garcia di Paredes seguito dai tre prigionieri francesi: Jacques de Guignes, Giraut de Forses e La Motte. Lo scrittore si sofferma a descrivere l’aspetto fisico ed il temperamento di Diego Garcia. È un uomo nato per fare la guerra, il più audace dell’esercito e forse di tutta l’Europa. Molto robusto e muscoloso, il continuo movimento a cui era sottoposto, gli aveva tolto ogni pinguedine in tal modo da farlo somigliare ad un’antica scultura, dalle forme atletiche e molto belle. Il suo volto era virile, ma non arrogante, anzi, dal viso traspariva semplicità, lealtà ed onore.
La cena e la tensione
Deposta l’armatura, egli si rivolge ai suoi prigionieri, con cui condivide il pasto, facendo notare loro che il dolore si sopporta meglio di fronte al cibo e ricordando che l’indomani sarà affrontata la questione della taglia. Nei confronti dei tre francesi, Diego Garcia non è né arrogante, né sprezzante. A lui si oppone il cavaliere La Motte, che è colui che con le sue parole offensive sarà la causa della disfida. Nella sua superbia, egli non può accettare che colui che lo ha catturato lo tratti con gentilezza e cerca di rispondere a Diego in modo più gentile possibile. Addirittura, don Diego ed altri due soldati spagnoli cedono ai tre francesi le proprie spade in segno di fiducia e di promessa che essi lasceranno Barletta soltanto dopo che il riscatto sarà pagato. Nel frattempo, entra Veleno, portando un catino ricolmo di carne d’agnello con cipolle e legumi vari. La cena inizia. Diego Garcìa è seduto a capotavola e ha ai suoi lati La Motte e De Guignes. Nei confronti nel gruppo spagnolo, d’Azeglio esprime un suo parere di ordine morale (= sono pronti ad aiutarsi l’un l’altro); molti scrittori dell’Ottocento hanno fatto la stessa cosa con più o meno garbo e discrezione, sempre attenti a cogliere l’opportunità di inserire nel racconto un riflesso della loro coscienza sia umana che cristiana.
Il cavallo di Inigo
Man mano che il tempo passa e la cena volge verso la fine, la conversazione e le risa si fanno più rumorosa e tutti sembrano essere più contenti sia del pasto che delle fatiche di guerre della giornata. Soltanto un giovane cavaliere spagnolo, Inigo, non riesce trovare un momento di serenità. Egli è triste perché pensa al suo cavallo sul cui il nemico ha inferito, anche se ormai non restava altro che fuggire. Infatti, a quel tempo, era buona regola non cercare di uccidere il cavallo dell’avversario, per non creare, in tal modo disparità di condizione e di forze. Addirittura, Inigo dice che avrebbe preferito che l’avversario francese gli avesse rotto la spada sulla sua testa piuttosto che prendersela con il suo cavallo Castagno; in questo modo, almeno si sarebbe comportato più lealmente. A questo punto, interviene Sagredo che, comprendendo il sentimento che prova Inigo, esprime, commuovendosi, delle parole di affetto e di rimpianto per il suo cavallo, compagno inseparabile di tante gesta eroiche che tutti i presenti ascoltano con attenzione. Il francese Jacques de Guignes interviene per sottolineare che quanto è successo al cavallo di Inigo non sarebbe successo in Francia dove le buone usanze esigono rispetto per il cavallo del nemico, cosa che invece è molto attuale presso i Mori. Infatti, era buona regola della cavalleria non cercare di uccidere il cavallo dell’avversario, per non creare, in tal modo, una disparità di condizione e di forze. Controbatte Inigo affermando che, invece, non successe così a Benevento nei confronti di Manfredi, dietro ordine di Carlo d’Angiò. Questa precisazione colpisce nel segno l’orgoglio francese ed inizia così una serie di stoccate fra Italiani e Francesi, fra cui l’insulto di mancanza di lealtà rivolto da La Motte agli Italiani. Inigo è in procinto di rispondere a tali accuse, ma si trattiene, mentre, invece La Motte rincara la dose, ricordando tutta una serie di personaggi quali Ludovico il Moro, il Papa o Cesare Borgia, famosi per i loro atti scellerati e tradimenti.
La sfida di Inigo
Alla fine, egli ricorda il caso di Ginevra di Monreale, conosciuta personalmente nel 1492 quando egli era di passaggio a Roma, sottolineando che essa fu fatta avvelenare dal Valentino (= Cesare Borgia) per punirla della sua onestà. La Motte aggiunge di aver incontrato recentemente un giovane, Ettore Fieramosca, un tempo innamorato di Ginevra di Monreale che molti, non vedendolo più dopo la morte della donna credevano che si fosse suicidato. Prende allora la parola Inigo, amico di Ettore Fieramosca, per lodarne sia la bellezza che le virtù morali e militari. Interviene anche Segredo che conosce Ettore e che, a differenza dei giovani della sua età, lo ha sempre visto triste e malinconico, mentre Azevedo ha le prove che il giovane di sera, prende il battello e va in mare per piangere colei che non c’è più. Si tratta di un primo ritratto di Ettore Fieramosca, uomo che riscuote la stima di tutti per le sue indiscutibili virtù militari, e molto sensibile al richiamo dell’amore, come un generoso eroe dei tempi passati. Ai giovani romantici, una figura come Ettore Fieramosca piaceva molto perché incarna l’ideale della perfetta cortesia e del valore. L’intervento dei tre francesi è sprezzante ed offensivo ed introdotto da un sorriso ironico e di compassione ed è a questo punto che essi si scagliano con maggior veemenza contro gli Italiani, tacciandoli di poltroni e traditori più avvezzi a adoperare i pugnali ed il veleno che non le armi. La reazione di Inigo, in virtù della sua amicizia con Fieramosca e degli Italiani in genere, è immediata e si concretizza nel lanciare una sfida, con l’intento di lavare l’offesa ricevuta. La Motte, dopo aver precisato di non poter accettare sfide in quanto prigioniero, conferma le offese rivolte precedentemente agli Italiani, accusandoli di nuovo di essere più abituati ai tradimenti che alla guerra. Tuttavia, La Motte si toglie una croce d’oro che portava sul petto e su di essa e con l’aiuto di Saint Denis, patrono della monarchia di Francia, proclama di voler dimostrare quanto i Francesi siano superiori alle canaglie degli Italiani. Lo stesso fa Inigo, togliendosi dal collo l’immagine della Vergine di Montserrat. I due pegni sono dati in custodia a Diego Garcia. Vengono poi stabiliti i termini e le modalità della sfida: indipendentemente dal numero dei partecipanti, si tratterà di un duello senza via di mezzo, cioè che dovrà concludersi o con la morte o con la resa, cioè esso avrà termine quando tutti i combattenti saranno morti, catturati oppure si ritireranno.
La riflessione di Inigo
Il capitolo termina sulla figura di Inigo che riflette, preoccupato, sulle capacità di utilizzare le armi da parte dei francesi. Nonostante questo, non si pente di aver lanciato la sfida ed aver preso le parti degli italiani, anche perché le ingiurie erano state troppo pesanti e rivolte ai suoi amici, per altro assenti. Passa la notte pressoché insonne e per l’indomani decide di incontrare Ettore Fieramosca per raccontagli l’accaduto. Una frase significativa è la riflessione fatta da Inigo alla fine del capitolo “e come potrebbe essere vinto chi combatte per l’onor della patria?”. Si tratta di un monito esplicito agli Italiani dell’Ottocento che dovevano aver fiducia nel buon esito delle loro giuste rivendicazioni patriottiche per la bontà stessa della causa risorgimentale.
Domande da interrogazione
- Qual è l'importanza dell'episodio della disfida nel contesto del racconto?
- Come viene descritto Diego Garcia di Paredes?
- Qual è il ruolo di Inigo nella cena e nella successiva sfida?
- Quali sono le accuse mosse dai francesi contro gli italiani durante la cena?
- Qual è la riflessione finale di Inigo riguardo alla sfida?
L'episodio della disfida è fondamentale perché funge da catalizzatore per le vicende romanzesche di Ettore Fieramosca, rendendo il sottotitolo "Disfida di Barletta" secondario rispetto alla complessità della narrazione.
Diego Garcia di Paredes è descritto come un uomo nato per la guerra, audace e robusto, con un aspetto atletico e un volto che esprime semplicità, lealtà e onore.
Inigo è un giovane cavaliere spagnolo che, turbato per il trattamento riservato al suo cavallo, si trova coinvolto in una disputa con i francesi, culminando nel lancio di una sfida per difendere l'onore degli italiani.
I francesi, in particolare La Motte, accusano gli italiani di essere poltroni e traditori, più inclini a usare pugnali e veleno piuttosto che le armi, provocando la reazione di Inigo.
Inigo riflette preoccupato sulle capacità dei francesi, ma non si pente di aver lanciato la sfida, convinto che chi combatte per l'onore della patria non possa essere sconfitto, un monito agli italiani dell'Ottocento per avere fiducia nelle loro rivendicazioni patriottiche.