Concetti Chiave
- Il sonetto di Gioacchino Belli utilizza il dialetto romanesco per rappresentare la società romana del XIX secolo, evidenziando la sua attualità.
- Il testo descrive l'arroganza dei potenti e il servilismo del popolo attraverso un linguaggio violento e un apologo fiabesco.
- Il sonetto evidenzia il carattere dell'Ancien régime nella Roma papale, dominato da potere assoluto e arbitrio dei nobili.
- L'editto del re viene comunicato dal boia, simbolo di umiliazione estrema, sottolineando la sottomissione remissiva del popolo.
- Belli critica sia i nobili per i loro abusi che i sudditi per la loro accettazione passiva, che legittima l'oppressione.
Il Potere Assoluto del Re
C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete un ****,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénnevea ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo».
Co st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: «È vvero, è vvero».
21 gennaio 1832
L'Editto e la Sottomissione
C’era una volta un Re che dal suo palazzo
Emise questo editto rivolto ai sudditi:
“Io sono io, e voi non valete nulla,
Signori mascalzoni e imbroglioni, e non osate replicare
Quello che storto lo faccio diventare dritto e viceversa:
posso vendervi tutti a un tanto a peso:
Io, se vi faccio impiccare non vi rendo alcun torto,
perché vi ho dato la vostra vita ed i vostri beni in affitto.
Colui che abita in questo mondo senza il titolo
O di Papa o di Re, o di Imperatore,
non può avere mai voce in capitolo
Con questo editto il boia se ne andò come portavoce
Ponendo la domanda sulla veridicità della questione;
e tutti risposero: “È vero, è vero”.
La Critica Sociale di Belli
Con il dialetto romanesco, Gioacchino Belli ci rappresenta la realtà sociale del suo tempo, in modo molto efficace e a volte anche pregiudicato.
La concezione del mondo che ne deriva e l’immagine della società romana della 1.a metà del XIX secolo è ancora molto attuale. Il sonetto definisce il carattere fondamentale del mondo vecchio, cioè dell’ Ancien régime che nella Roma papale era molto vigoroso e dominato dalla violenza, dai soprusi, dal potere assoluto e dall’arbitrarietà della classe nobiliare. Per descrivere l’arroganza dei potenti ed il servilismo del popolo, il poeta ricorre ad un apologo, con un incipit del tutto fiabesco (C’era una volta un re), ma subito il lettore viene trasportato all’interno del problema che sta a cuore al Belli con un linguaggio molto violento. La conclusione è particolarmente amara: l’editto viene portato a conoscenza dei sudditi dal boia e non da un banditore secondo la consueta prassi (una forma di umiliazione estrema) ed il popolo prende atto della comunicazione del re in modo remissivo, come se volesse legittimare i soprusi e l’arbitrio a cui esso è costantemente sottoposto senza mai opporre resistenza. Quindi la critica non è solo rivolta ai nobili, ma anche ai sudditi, alla cui supina sottomissione, il re trae forza per perpetare i propri abusi.Domande da interrogazione
- Qual è il tema principale del sonetto di Gioacchino Belli?
- Come viene descritto il potere del re nel sonetto?
- Qual è il ruolo del boia nell'editto del re?
- Qual è la critica sociale espressa da Belli nel sonetto?
Il tema principale è la critica al potere assoluto e all'arroganza dei nobili, nonché alla sottomissione del popolo, rappresentata attraverso un apologo in dialetto romanesco.
Il re è descritto come un sovrano assoluto che può fare ciò che vuole, manipolando la giustizia e trattando i sudditi come proprietà, sottolineando la sua autorità incontrastata.
Il boia funge da portavoce dell'editto, un atto di umiliazione estrema per i sudditi, che accettano passivamente la comunicazione del re, legittimando così i soprusi.
Belli critica non solo l'arroganza dei potenti, ma anche la sottomissione del popolo, che accetta passivamente l'autorità e gli abusi, permettendo al re di perpetuare il suo potere arbitrario.