
Nei dibattiti riguardo il clima se ne parla davvero poco, eppure l'impatto di internet sul riscaldamento globale sta assumendo dei risvolti inaspettati e per nulla incoraggianti. Si perché i cloud, ovvero i giganteschi data center dentro ai quali migrano i dati di tutto il mondo, oggi assorbono l’1% della domanda globale di energia.
E il consumo si traduce ovviamente in emissioni: è quanto emerge da un'indagine del “Corriere della Sera”. Infatti, un solo server produce in un anno da 1 a 5 tonnellate di CO2 equivalente, e ogni gigabyte scambiato su internet emette da 28 a 63 g di CO2 equivalente.
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La parola d'ordine è non sperperare
Tralasciando un attimo le promesse delle grandi multinazionali del settore, come Amazon e Google, e sperando che vengano messe in pratica, cosa possiamo fare per limitare il consumo di dati e, quindi, di CO2? La parola d'ordine è “non sperperare”; quante volte visitiamo un sito e poi ci dedichiamo ad altro, lasciando quella pagina aperta? Quel sito continuerà a scambiare dati con il nostro computer, con relative emissioni prodotte. Una buona soluzione potrebbe essere quella di visionare i siti in 'modalità stamina', cioè risparmio energetico. A farlo è il sito italiano di Suzuki che ha stimato un risparmio del 20% rispetto ad un computer che lavora a pieno regime. Sembra poco ma non è così; infatti se i 100 maggiori siti italiani, per traffico, adottassero questa strategia si risparmierebbero 15.625 tonnellate di CO2 l'anno.