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Università, professore bestemmia in aula e viene sospeso

Il collegio dell’Università D’Annunzio, di Chieti-Pescara, non ha potuto fare altrimenti: una volta valutata la questione, ha richiesto e ottenuto, ai danni del prof, la sanzione di 5 mesi di sospensione dall’insegnamento, a cui si aggiunge lo stop allo stipendio.

Come riporta ‘Il Messaggero’, il docente ha ammesso la paternità delle bestemmie e si è giustificato facendo riferimento alla situazione problematica del periodo pandemico.

Bestemmie del prof: le registrazioni come prova schiacciante

I fatti risalgono al periodo del lockdown, quando il Rettore dell’Università era un altro. Il docente, finito nel mirino, pare abbia sottolineato più volte le difficoltà legate alla didattica a distanza (Dad) attivata durante la pandemia, quando l’Ateneo ha dovuto interrompere le lezioni di stampo tradizionale. Una situazione che non avrebbe pesato solo sulla carriera universitaria e sul rendimento degli studenti, ma anche sul lavoro del docente stesso. Da qui il gesto inopportuno. Anzi, i due gesti.

Sì, perché due sono le segnalazioni arrivate alla scrivania del Rettore, il quale non ha potuto ignorare la vicenda, visto che lede il codice deontologico interno nonché l’immagine stessa dell’Ateneo e degli altri docenti. Inoltre, le prove sono schiaccianti: le due bestemmie pronunciate dal prof in questione sarebbero infatti state registrate dalle apparecchiature utilizzate per le lezioni online. Non sorprende allora che l’insegnante abbia ammesso la sua responsabilità nella vicenda. La mancata contestazione di ciò che gli veniva imputato, fa sapere ‘Il Messaggero’, ha quindi portato il collegio a richiedere e ottenere la sanzione: cinque mesi di sospensione senza stipendio, pur continuando l’erogazione dell’assegno alimentare. Il docente, in sua difesa, sembra che si sia limitato a giustificare la propria condotta alla luce delle circostanze, e quindi della situazione precaria e problematica legata alla pandemia. L’unica via che resta al prof, adesso, è quella di fare ricorso davanti al giudice del lavoro.

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