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lavoro giovani

Partiamo dai numeri. Secondo i dati Eurostat, periodo di indagine 2014, soltanto un italiano su due trova un lavoro entro i tre anni dal conseguimento della laurea. Siamo al 49,6 per cento, quasi trenta punti dietro la media della Ue, che registra un 78,2, soddisfacente se si tiene conto della crisi economica.

E in effetti, dal 2008 a oggi, il tasso dei giovani occupati è sceso un po' ovunque – mediamente di otto punti – ma da noi è proprio crollato: siamo passati dal 65,2 al 45, che fanno venti punti in meno in sei anni. Il confronto con i nostri paesi di riferimento ci avvilisce: se la Francia è passata dall'83,1 al 75,2, dunque tenendo botta alla recessione, nel Regno Unito la percentuale è rimasta praticamente stabile, dall'83,6 all'83,2. Addirittura impietoso è il rapporto con i tedeschi. Neanche a dirlo, nello stesso periodo in Germania l'occupazione è cresciuta: lì oggi lavorano nove ragazzi su dieci, e nel 2008 erano già l'86,5. Insomma, una consuetudine annosa: nell'Unione Europea a 28 nazioni siamo i penultimi, peggio di noi fa soltanto (e anche qui come al solito) la disastrata Grecia. Gli ellenici sono fermi al 45 per cento. Neanche tanto distanti.

TUTTA COLPA DELLA CRISI? - Date le cifre, ecco le interpretazioni. La prima: c'è la giustificazione della crisi, che certo ha inciso e non poco sugli affari e le nuove assunzioni; ma come detto c'è chi altrove ha limitato i danni e chi è proprio passato indenne. Un'altra: l'accesso alla pensione, in molti casi rimandato, che ha tenuto occupate fasce di età che piuttosto pensavano, e speravano, di ritirarsi a vita domestica. Il caso esemplare, dunque, della coperta corta: in un mercato del lavoro saturo e vessato dalla recessione, nessuno entra se qualcuno non esce.

BAMBOCCIONI: E SE FOSSE VERO? - Ci sono poi due altre letture, più sociali a voler dire, che un poco vanno a temperare le statistiche Eurostat. In Italia, dati Eurispes al 2013, due giovani su tre vivono ancora con mamma e papà. Sono il doppio rispetto a Francia e Gran Bretagna, e oltre 17 punti sopra la media Ue. In numeri spicci, parliamo di sette milioni di maggiorenni fino ai 34 anni che hanno meno impellenza di trovare un lavoro, perché, rispetto per esempio ai coetanei danesi (quelli a casa con i genitori sono appena il 15,8%), una camera e un frigorifero sicuro ce l'hanno. Sarà quindi una certa comodità, la tradizione per la famiglia, saranno pure le proverbiali mamme italiane, fatto è che tornano in mente certi frasi e giudizi di ministri passati sulla propensione al sacrificio, scarsa, che la gioventù porta in dote. Magari è così, ma non solo. Perché certo i giovani non sono favoriti, tanto per dire, dai costi degli affitti (per una stanza singola non si scenda mai sotto i 300 più spese), e a sbrigare qualche attività ci pensano o ci hanno provato.

LAVORO: INCUBO ITALIANO - Nel 2014, stesso anno delle cifre Eurostat, in Italia un giovane su tre ha lavorato, sì, ma senza diritti. Lo ha detto lo scorso anno sempre l'Eurispes, chiarendo che la fascia compresa tra i 25 e i 35 anni, decennio nel quale si colloca la quasi totalità dei laureati, è quella con meno tutele e garanzie. Tradotto: sfruttati e in nero sono circa il 33 per cento dei nostri giovani. Una percentuale bulgara, se non fosse che in Bulgaria sembra che stiano meglio di noi. E sempre nello stesso rapporto era evidenziato come i lavoratori italiani siano il ritratto della scontentezza, anche quelli assunti a tempo indeterminato. Perché una volta impegnati, crolla il tempo per sé stessi (68%) e per la propria famiglia (52%). Più in generale e stando alle rilevazioni, il lavoro è quel pendolo filosofico che oscilla tra la noia (assenza di stimoli professionali nel 46,6% delle circostanze) e il dolore (pesanti carichi professionali nel 44,5% delle situazioni). Ma quando non c'è, è un guaio.

Alessio Nannini