
Schernito da alcuni bulli, preso di mira da alcuni docenti per l’eccessivo - a loro modo di vedere - attivismo della sua famiglia nel denunciare le ingiustizie - o che tali erano percepite - subite, un solo amico con cui condividere questo ‘calvario’ iniziato in quinta elementare.
Basterebbe solo questo per capire l’incubo che Paolo Mendico ha vissuto a partire dalla quinta elementare - quando ha subito la prima aggressione, fisica con tanto di minaccia di morte - fino alla prima superiore.
Skuola.net insieme all’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche (Di.Te.) ha raccolto le parole dei genitori Giuseppe e Simonetta, che hanno voluto lanciare attraverso la testata specializzata un appello accorato a studenti, genitori e docenti perché tragedie come questa non accadano più.
Rivelando anche dettagli inediti della vicenda che chiamano pesantemente in causa alcuni comportamenti che, pur non configurando motivo di negligenza, col senno del poi erano quantomeno evitabili.
Perché se un docente sceglie di minimizzare, di normalizzare ciò che andrebbe invece riconosciuto e sanzionato - anche solo con un’insufficienza in condotta - e i genitori dei bulli non intervengono sui loro figli ma si scagliano contro la famiglia delle vittime per aver sollevato la questione, il messaggio che passa è uno soltanto: tutto è permesso.
Configurando, nel caso di Paolo, anche un’ulteriore umiliazione: lui rimandato a scuola, per un 6 scarso in matematica nel bel mezzo di una pagella piena di 7 e 8, mentre i suoi bulli venivano promossi, addirittura con un voto in condotta immacolato.
Indice
- Dalle elementari l’inizio di un incubo
- Il trasferimento alle medie: un’accoglienza ostile
- Alle superiori arrivano i soprannomi: “Paoletta, Nino D’Angelo, nano…”
- Un’altra ferita dal sapore amaro: “Lui rimandato, i bulli promossi”
- Segnalazioni inascoltate, un supporto psicologico inefficace
- “Un solo compagno al funerale”: la solitudine e l’appello dei genitori
Dalle elementari l’inizio di un incubo
Questa combinazione di aggressioni e vittimizzazione secondaria è iniziata presto e (purtroppo) si è spesso ripetuta. “Tutto è iniziato addirittura in quinta elementare, quando Paolo venne aggredito proprio da un bambino della sua stessa età con un cacciavite di plastica dicendo che voleva ammazzarlo”, spiega Giuseppe Mendico, il papà di Paolo, che sottolinea: “In quel momento la maestra era assente e, al suo rientro in classe, anziché placare gli animi, si è messa a incitare alla rissa”.
Dopo questo episodio - il primo di una lunga serie - il genitore spiega di avere denunciato le stesse maestre, scatenando involontariamente un secondo, inquietante, episodio di maltrattamento ai danni del figlio: “Un altro insegnante chiudeva Paolo in una stanza e cercava di capire cosa volessimo fare (riguardo la denuncia, ndr), imponendogli inoltre di non parlare con noi del tutto”, dice infatti Simonetta La Marra, madre di Paolo. Una vicenda, questa, che alla fine fu archiviata, come se niente fosse successo.
Il trasferimento alle medie: un’accoglienza ostile
Si arriva così alle scuole medie, dove gli episodi di bullismo non fanno che intensificarsi. A metà del secondo anno Giuseppe racconta di aver dovuto trasferire Paolo in un altro istituto, sempre per via delle vessazioni subite.
Ma al trauma del cambio di scuola si aggiunge un’ulteriore difficoltà: l’inserimento in una classe del tutto nuova, senza nessun volto amico. “Venne messo in una sezione dove non conosceva nessuno”, ricorda il padre, “perché la preside aveva pensato bene di non assegnargli l’indirizzo che aveva scelto, parlando di incompatibilità”.
Alla fine, fu proprio Paolo a “pagare” le conseguenze del primo episodio di bullismo subito alle elementari. Per questo, racconta Simonetta, il ragazzo fu assegnato a una classe diversa da quella che aveva scelto: “Mio figlio voleva seguire il corso prolungato di inglese e spagnolo, invece gli fu imposto quello di francese. Senza nemmeno chiedere il suo parere, lo presero e lo misero lì, così, di punto in bianco”.
Dopo questo episodio, Paolo, catapultato suo malgrado in un ambiente completamente ostile, ha dovuto fare i conti con numerosi altri atti di bullismo. Come quando sulle porte e nei bagni furono trovati insulti scritti contro di lui, con tanto di nome e cognome.
Per questo motivo, Giuseppe e Simonetta hanno sempre segnalato quanto accadeva, vedendo però i loro appelli cadere nel vuoto: “Mi è stato detto che mio figlio doveva abituarsi a queste cose - racconta il padre -. Ma mio figlio non si è mai abituato”.
Alle superiori arrivano i soprannomi: “Paoletta, Nino D’Angelo, nano…”
Alle scuole superiori la situazione non è di certo migliorata. Paolo, che aveva scelto l’indirizzo Informatica, dopo appena quindici giorni di lezione tornò a casa sfogandosi con il padre per i soprannomi che gli erano stati affibbiati: “Paoletta, Nino D’Angelo, nano… - ricorda Giuseppe - Mio figlio si era trovato in un ambiente nuovo, ma la situazione non era cambiata”.
Inutili, anche in questa fase, i continui confronti con il preside. Fino all’ultimo episodio, il più degradante: “Un giorno Paolo mi raccontò che alcuni compagni gli avevano preso a calci lo zaino, sbattendolo contro il muro. A quel punto sono tornato ancora una volta a scuola, ma anche in quell’occasione il mio appello non venne recepito dall’insegnante”, aggiunge Giuseppe.
Ecco cos’è il bullismo. Non un episodio eclatante, ma una serie di piccoli atti che portano la persona a sentirsi sempre minacciata e sotto attacco.
Un’altra ferita dal sapore amaro: “Lui rimandato, i bulli promossi”
Nella scuola di Paolo, va detto, si è cercato di fare qualcosa, ma i risultati non sono stati apprezzabili: “Nell’ennesimo incontro con la dirigenza, la preside mi promise che avrebbe convocato un Consiglio d’Istituto straordinario ma, che noi sappiamo, non c’è mai stato”, dice il papà.
Ma è al termine del primo anno delle superiori che, probabilmente, arriva la mazzata finale. Oltre ai danni già subiti, la beffa. Nessuno dei suoi bulli è stato bocciato né penalizzato in condotta, mentre per lui arriva il debito scolastico: “Venne rimandato in matematica - spiega il papà -. A quel punto chiamai la vicepreside per chiedere le motivazioni di questa sospensione del giudizio, visto che parliamo di un ragazzo che aveva tutti buoni voti, a parte quel 5 in matematica: mi sembrava una vera e propria punizione”.
È la miccia che innesca un altro episodio, legato proprio alla stessa insegnante che lo aveva rimandato: “Anche il primo giorno in cui mio figlio va a fare il corso di recupero a scuola - racconta il padre -, appena si siede, lei lo rimprovera. A suo dire la colpa era di Paolo che avrebbe dovuto svolgere delle ripetizioni private durante l’anno, come lei stessa gli aveva suggerito. L’insegnante insisteva ossessivamente sul fatto che Paolo dovesse fare il recupero fuori dalla scuola. E io al colloquio le ho risposto chiaramente: mio figlio non farà alcun recupero fuori, mio figlio deve poter imparare qui, dove dovrebbe sentirsi protetto”.
Segnalazioni inascoltate, un supporto psicologico inefficace
Tutto questo, intanto, stava contribuendo a un netto cambiamento di umore di Paolo, appesantendo ulteriormente la sua condizione emotiva. Oltre al fatto che - aggiunge Simonetta - “lui doveva faticare per i voti mentre si è visto superare da persone che non facevano mai i compiti, avevano una sfilza di 4 ma poi se la cavavano con un 6”.
Spesso, di fronte a sviluppi del genere, le famiglie o le vittime non parlano, non si rivolgono alla scuola. Ecco, nel caso di Paolo le cose sono andate in maniera completamente diversa. Fin dal primo episodio grave della quinta elementare, Giuseppe e Simonetta sono stati presenti, hanno scritto email, pec. Ma non è bastato. Purtroppo, al di là delle rassicurazioni o al di là dei singoli interventi, le cose non si sono mai realmente risolte.
Specialmente perché tutti gli adulti coinvolti in questa storia non sembrano avere svolto un ruolo positivo. Anzi, i genitori dei bulli si sono lamentati sul gruppo della chat di classe proprio per via delle segnalazioni di Giuseppe.
Anche il supporto psicologico offerto dalla scuola, raccontano i genitori, non si è rivelato all’altezza del compito. Durante gli incontri si parlava spesso di bullismo, ma senza alcun risvolto concreto. Anzi: “C’era caos, confusione, litigi, conflitti - continua Simonetta - che lei stessa (la psicologa, ndr) non riusciva a placare. Tanto è vero che, al termine del percorso, ha deciso di andarsene, ammettendo di non essere riuscita a raggiungere l’obiettivo”.
“Un solo compagno al funerale”: la solitudine e l’appello dei genitori
In quel buio, però, c’era una piccola luce. Nella classe di Paolo, infatti, c’era anche chi gli voleva bene: “Un solo compagno, lo stesso che è venuto al funerale con i genitori e l’unico che mi ha dato le condoglianze, l’unico”.
Proprio per evitare che altri ragazzi si trovino soli di fronte a queste situazioni, Giuseppe e Simonetta adesso vogliono stimolare un cambio di passo deciso: “Alle istituzioni chiediamo di intervenire subito, al primo segnale di allarme, coinvolgendo tutti gli esperti competenti. Non è nascondendo i fatti che si affronta il problema, ma analizzando l’anomalia che ha generato quel fenomeno”.
Un cambio di passo che vuole simbolicamente iniziare con una fiaccolata in ricordo di Paolo, che si terrà nel suo paese sabato 20 settembre a partire dalle 19.30.