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Tra i settori maggiormente colpiti dalla pandemia c'è sicuramente quello dell'istruzione e della formazione. La scuola, in particolare, ancora non vede la luce in fondo al tunnel e prosegue con chiusure a ripetizione.

Qualcosa di simile è avvenuta nelle università. Una situazione con cui stanno combattendo tantissimi Paesi d'Europa e del Mondo ma che, in Italia, rischia di avere effetti devastanti nei prossimi anni. Innestandosi su un terreno piuttosto pericolante già prima dello scoppio dell'emergenza. A certificarlo è l'Istat nel suo ultimo Rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile in Italia), appena diffuso, che sintetizza le principali indagini condotte negli ultimi tempi e le mette a sistema. Tre, in particolare, gli aspetti da tenere d'occhio nei prossimi anni: le conseguenze del massiccio ricorso alla Didattica a distanza, l'andamento della curva della dispersione scolastica (esplicita e implicita), i livelli d'istruzione raggiunti dalla popolazione presa nel suo complesso. Quelli che, in pratica, ci potranno dire in che stato di salute versa il nostro Paese. Ma le premesse, già possiamo anticiparlo, non sono buone.

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Iniziamo dalla strettissima attualità: la Didattica a distanza. Le scuole vanno verso una nuova chiusura quasi generale. Non proprio l'ideale visto che la recente indagine Istat sull’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola statale e non statale - a cui hanno risposto le scuole nell’anno scolastico 2019/20 - ha evidenziato come è vero che gli istituti scolastici, sin dalle prime settimane dallo scoppio della pandemia, si sono attrezzati con varie forme di Dad. Nonostante ciò, però, l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da qualsiasi attività 'a distanza' e non ha preso parte alle video-lezioni con la classe. Una quota che, tra gli alunni disabili, schizza addirittura a quasi 1 studente su 4 (il 23%).

Un Paese scarsamente digitalizzato

A tagliare fuori una parte consistente della popolazione scolastica è stata, specie nella prima fase dell'emergenza, l'assenza di dispositivi (Pc, tablet, ecc.) e di connessioni Internet all'altezza della situazione. Laddove, proprio il possesso di un computer e di una buona connessione, sottolinea l’Istat, aiutano nello sviluppo delle competenze: 59% di probabilità in più rispetto a chi non ce l’ha. Ma le disuguaglianze erano già in essere, con l'Italia che presenta tassi tra i più bassi d'Europa riguardo le competenze digitali della popolazione; cioè l’essere in grado di svolgere diverse attività nei 4 domini dell’informazione, della comunicazione, nel problem solving e nella creazione di contenuti. Nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni, soltanto il 22% ha dichiarato di avere competenze digitali elevate (contro una media dell’ Unione Europea a 27 Paesi del 31%). La maggioranza degli individui è in possesso di competenze basse (32%) o di base (19%), mentre il 3,4% ha competenze praticamente nulle e il 24% dichiara di non aver usato internet negli ultimi 3 mesi. Con l’età che rimane un fattore importante: i giovani di 20-24 anni hanno livelli avanzati di competenze nel 41,5% e i ragazzi di 16-19 anni nel 36,2%. Numeri non proprio esaltanti.

Un terzo degli italiani non raggiunge livelli d'istruzione accettabili

Parallelamente alla 'povertà' tecnologica il nostro Paese paga anche un ritardo sul livello culturale generale dei suoi cittadini. Per averne un'idea chiara basta osservare due indicatori: la quota di persone di 25-64 anni con almeno il diploma superiore e la quota di persone di 30-34 anni che hanno conseguito un titolo universitario o altro titolo terziario. Sebbene, infatti, questi due indicatori siano costantemente in crescita, appare evidente come l’Italia non riesca a recuperare la differenza rispetto alla maggior parte dei paesi dell’Unione Europea. Nel secondo trimestre 2020, in Italia solamente il 62,6% delle persone tra i 25 e i 64 anni ha almeno il diploma superiore (rispetto a una media europea del 79%), 16 punti percentuali in meno. Percentuali più basse si registrano solo a Malta (57,4%) e in Portogallo (55,2%). Inoltre, la quota di giovani che a 30-34 anni ha conseguito un titolo universitario o terziario si ferma al 27,9% (rispetto al 42,1% della media europea), collocandoci al penultimo posto in graduatoria, prima solo della Romania (25,2%) e a una distanza di 14 punti dall’Europa.

Tra il Nord e il Sud la differenza culturale è abissale

Per non parlare, poi, delle annose e drammatiche differenze territoriali. In Sicilia e Puglia, ad esempio, la quota di persone di 25-64 anni con almeno il diploma superiore, nel secondo trimestre 2020, arretra al 52%, 10 punti percentuali in meno rispetto alla media italiana e circa 20 punti in meno rispetto alle regioni con i valori più elevati (come le province autonome di Bolzano e Trento, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Umbria), dove cioè si supera il 70%. Parallelamente, la quota di persone di 30-34 anni che, nel secondo trimestre 2020, risultano in possesso di un titolo universitario è circa il 33% nel Centro, il 30,9% nel Nord e solo del 21,7% nel Mezzogiorno.

Tornano a crescere i Neet

Infine, il parametro a cui badare forse di più in prospettiva futura: la dispersione scolastica e formativa. E anche qui non siamo messi bene: la quota di coloro che non studiano e non lavorano (i NEET) tra i giovani di 15-29 anni rimane alta e torna a crescere, dopo alcuni anni di diminuzioni, fino a interessare il 23,9% di giovani nel secondo trimestre 2020 (era il 21,2% nel secondo trimestre del 2019). A incidere particolarmente, per i più grandi, la lunga all’inattività, specie nelle regioni del Centro-Nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia di COVID-19. Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). Nel secondo trimestre 2020, in Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni, valore che risulta stabile rispetto al secondo trimestre del 2019.

Determinante il contesto socio-economico

Il fenomeno dell’uscita dal sistema di istruzione e formazione preoccupa, soprattutto, in termini di disuguaglianze. Attraverso l’esame dei dati del 2019, con i quali è possibile avere una fotografia delle caratteristiche di chi lascia la scuola prematuramente, emerge come la prosecuzione nel percorso formativo, le competenze apprese e le scelte successive sono determinate ancora in maniera elevata dal contesto socio-economico di provenienza. Il titolo di studio dei genitori condiziona fortemente la riuscita scolastica e la permanenza nel sistema di istruzione e formazione. I figli di genitori con al massimo il diploma di scuola secondaria inferiore hanno un tasso d’uscita dai percorsi di istruzione e formazione del 24%, che si riduce al 5,5% tra i figli di genitori con il diploma di scuola secondaria superiore e all’1,9% tra i figli di genitori con almeno la laurea. Analogamente, i figli con almeno un genitore occupato in professioni qualificate e tecniche abbandonano gli studi nel 2,5% dei casi rispetto al 24% dei figli di genitori occupati in professioni non qualificate.

Dispersione implicita: c'è ma non si vede

Ma l’abbandono della scuola è soltanto la punta di un iceberg. La difficoltà di alcuni ragazzi/e a proseguire in maniera soddisfacente il percorso scolastico e formativo inizia precocemente all’interno della scuola. Si tratta della cosiddetta 'dispersione implicita', con i livelli di competenza che vengono influenzati in maniera diseguale da alcune caratteristiche: genere, cittadinanza, condizione socioeconomica e culturale della famiglia. Le competenze inadeguate si perpetuano negli anni e condizionano la scelta del percorso scolastico, l’apprendimento e, in ultimo, la decisione di abbandonare la scuola. Nell’anno scolastico 2018/19 la quota di ragazzi del secondo anno delle scuole di secondo grado, che non hanno raggiunto un livello di competenza alfabetica sufficiente, è stata del 30,4%, con variazioni molto ampie sul territorio, passando dal 41,9% nel Mezzogiorno al 20,7% nel Nord.

Indirizzo di studio e cittadinanza: due variabili decisive

Le disuguaglianze sono ampie anche per genere, classe sociale e cittadinanza, con il 34,4% di insufficienti nelle competenze alfabetiche tra i ragazzi contro il 26,3% tra le ragazze; il 54,2% tra i ragazzi stranieri di prima generazione, rispetto al 27,8% tra i ragazzi nati in Italia da genitori italiani, e il 46,5% tra i ragazzi appartenenti al quartile socioeconomico e culturale più bassi, rispetto al 19,4% tra coloro che vivono in famiglie più agiate. Inoltre, la quota di insufficienti è più elevata tra gli studenti degli istituti professionali (66,7%) che tra gli studenti dei licei (16%). La competenza matematica inadeguata riguarda un collettivo di ragazzi più ampio (37,8% in media in Italia) e ricalca le caratteristiche emerse nelle competenze alfabetiche.