
Ambiziosi e desiderosi di formarsi al meglio, pronti al sacrificio e con lo sguardo rivolto oltre i confini nazionali (ma non necessariamente per andare via). È questo, a grandi linee, l’identikit dello studente universitario italiano di oggi, così come delineato dall’ottava Indagine Eurostudent 2016-2018, la ricerca periodica finanziata dal Miur e condotta dal Centro Informazioni Mobilità Equivalenze Accademiche (Cimea). Caratteristiche che, complice la crisi economica che ha colpito il nostro Paese nell’ultimo triennio, ha permesso ai nostri ragazzi di competere e, in alcuni casi, di superare gli standard delle principali nazioni europee. Ecco i dati principali.
Universitari italiani più studiosi di molti ‘colleghi’ europei
Dall’analisi dei dati raccolti, ad esempio, emerge come gli universitari italiani impegnino nello studio quasi 44 ore settimanali, il 30% in più della media calcolata in Europa. Ma gli studenti iscritti ai corsi della macro area tecnico-scientifica vanno anche ben oltre. Più della metà, inoltre, non vuole accontentarsi di una ‘semplice’ laurea ma intende proseguire gli studi e la formazione dopo il titolo. Per farlo, però, non vuole pesare troppo sul bilancio famigliare. Così, parallelamente agli studi accademici, molti di loro si ritagliano del tempo per svolgere piccoli lavori part time.
Con l’Erasmus provano a sconfiggere la disoccupazione
Come detto, l’assenza di confini – fisici e mentali – è un’altra delle caratteristiche dell’universitario del terzo millennio. Circa il 20% di quelli attualmente iscritti a una laurea magistrale, infatti, ha già partecipato a progetti di mobilità internazionale: una percentuale non lontana dalla media complessiva europea. Forse perché, come sottolineano i dati della Commissione europea, hanno capito che per trovare lavoro un’esperienza di studio o lavoro all’estero può dare una spinta decisiva: il tasso di disoccupazione a lungo termine degli ex allievi Erasmus, infatti, si ferma al 2% (la metà esatta di quello registrato fra gli studenti che non hanno partecipato al programma: 4%).
Atenei promossi per la teoria, rimandati per la pratica
Luci e ombre, invece, per il sistema universitario. Almeno secondo il giudizio dei ragazzi. Otto studenti su dieci (il 79%), infatti, promuovono la preparazione teorica data dall’università e oltre sei su dieci si dicono soddisfatti per la sostenibilità del carico di lavoro (il 63%). Ma quasi la metà (45%) chiede di poter avere una maggiore preparazione pratica, soprattutto nei corsi delle lauree giuridiche (il 27,6%); mentre (pollice in su per il 70% degli studenti).
L’università non è più considerata un ‘ascensore sociale’
L’Indagine Eurostudent allarga poi il campo di osservazione al quadro economico e sociale di provenienza degli universitari. Gli studi dopo il diploma rappresentano ancora, per le famiglie italiane, le fondamenta su cui costruire il futuro dei propri figli, anche se non sono più riconosciuti un “ascensore sociale” come accadeva fino ad alcuni anni fa. La scelta del percorso è perciò legata soprattutto al contesto socio-economico: i ragazzi che provengono dalle famiglie meno agiate, pur di arrivare con profitto al titolo di studio, tendono a fare scelte compatibili con le proprie risorse (come, ad esempio, atenei o corsi disponibili nel proprio territorio di residenza).
La struttura perfetta? Quella che offre più servizi
Un altro aspetto che viene messo in luce, infine, è che a rendere attraente un’università non è tanto la sua fama, quanto la capacità di sostenere gli studenti nel loro percorso. I giovani, infatti, scelgono l’ateneo soprattutto in base all’offerta di borse di studio e di servizi per la didattica, meglio ancora se sono inseriti in contesti urbani e sociali che favoriscono in cui è più facile trovare un lavoro che aiuti a mantenersi.