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di paolodifalco01
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Aurora Caporossi

Ventisei anni e un'anoressia nervosa alle spalle che le ha fatto capire l'importanza di parlare di disturbi alimentari non come mode passeggere o capricci ma vere e proprie malattie. Lei si chiama Aurora Caporossi ed è la co-founder di Animenta, associazione che si occupa di disturbi del comportamento alimentare in tutta Italia.

Aurora nella nuova puntata del podcast di Skuola.net, #FuoriClasse, ci ha parlato di cosa voglia dire affrontare un disturbo alimentare e di come sia essenziale avere la forza di chiedere aiuto per superarlo. Se ti piacciono storie come questa, segui la nostra playlist su Spotify.

L'anoressia nervosa durante il liceo

All'età di 16 anni si hanno tanti pensieri in testa, tante idee irrealizzabili su cose da fare e tante porte da varcare. Alla porta di Aurora però, durante il terzo anno di liceo classico, è venuta a bussare l'anoressia nervosa. "Uno dei disturbi alimentari più noti che si caratterizza per un rifiuto del cibo, per un'ossessione per le proprie forme corporee, per l'attività sportiva..." Sostanzialmente "i disturbi alimentari sono l'espressione in realtà di un dolore molto più profondo che tu a parole non riesci ad esprimere e così lo comunichi attraverso questo rapporto molto complesso con te stesso, con il corpo, con il cibo e con il peso. Io non ho mai avuto la percezione di aver sofferto di un disturbo alimentare, nel senso che non sapevo di essermi ammalata". Ad accompagnarsi ai disturbi alimentari, nel caso di Aurora, c'è stato anche un disturbo ossessivo compulsivo ovvero "la dispercezione corporea per cui tu non hai una reale immagine di te stessa allo specchio. È come se indossassi degli occhiali che però ti raccontano una realtà che è un po' diversa, a volte anche molto distante dal tuo corpo".

Lo sviluppo della consapevolezza a partire dalla danza

Per superare un disturbo alimentare quindi è necessario che si sviluppi, innanzitutto, la consapevolezza di esserne affetti. "Quest'ultima nel mio caso è nata paradossalmente grazie alla danza. Utilizzo il termine paradossalmente perché a volte sappiamo che da tantissime storie la danza, così come altre discipline sportive, può essere un fattore di rischio per l'insorgenza o per il mantenimento di una malattia di questo tipo, soprattutto lì dove c'è un'estrema attenzione al corpo e alla sua forma". "Io credo che la differenza in un ambiente sportivo, così come in tantissimi altri ambienti, la fa chi ti insegna quella disciplina. La mia insegnante, per esempio, è stata sempre molto concentrata non sulla forma del corpo ma sulla forma del movimento. E questo ha permesso ad ogni bambina, con un corpo più o meno conforme, più o meno adatto alla danza secondo quelli che sono gli stereotipi, di continuare a sognare di diventare una ballerina in futuro".

La nascita di Animenta

Dopo esserne uscita però "per anni ho fatto finta di non averne mai sofferto. Chiunque ne parlava mi dava profondamente fastidio, era un tema dal quale fuggivo compulsivamente. Questo forse anche un po' per i sensi di colpa che spesso una persona si fa per l'aver causato tanto dolore alle persone che ti stanno accanto. Poi ti capita di scoprire che nessuno sceglie di ammalarsi e quindi non c'è colpa nell'aver affrontato questo percorso...Solo che a volte nessuno te lo dice". "Così sono riuscita a scoprire che io non dovevo vergognarmi di nulla, che non avevo fatto nulla di male. E quindi durante il Covid è nata un po' la necessità di dover rispondere non solo a quel passato ma anche di iniziare a raccontarlo". E qui arriviamo ad Animenta, realtà che dal 2021 si occupa di disturbi del comportamento alimentare in tutta Italia. Quest'ultima nasce proprio "dalle tantissime esperienze, dalle tantissime voci con l'obiettivo non solo di dare un supporto concreto ma di trovare nuove parole, nuove immagini con cui raccontare una malattia che purtroppo ancora oggi è fortemente stereotipata, poco conosciuta ma anche poco riconosciuta come malattia visto che spesso si pensa sia soltanto un capriccio, una moda". Paolo Di Falco