
Magari ci metteranno qualche mese in più per prendere la laurea ma, da lì in poi, per loro la strada è tutta in discesa. Sono i ragazzi che decidono d’iscriversi a una delle facoltà cosiddette STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica); indubbiamente i profili più ricercati dal mondo del lavoro.
Tanto è vero che, a pochi anni dal titolo, quasi tutti hanno un’occupazione. Cosa che per gli altri laureati è sempre più un miraggio. Ma quali sono le caratteristiche dello studente STEM medio? Ce lo dice il Rapporto 2018 sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati del Consorzio Interuniversitario Almalaurea, elaborato analizzando il percorso di 73.000 laureati di primo e secondo livello che hanno conseguito nell’anno 2017 un titolo universitario in un percorso STEM.
Facoltà STEM: le sceglie solo 1 studente su 4
Iniziamo col dire che, attualmente, circa 1 laureato su 4 in Italia (26,5%) esce da questo segmento didattico. Ma la cosa che balza subito agli occhi è la loro regolarità negli studi, decisamente inferiore rispetto ai colleghi ‘non STEM’: solo il 44% dei laureati nelle facoltà tecnico-scientifiche riesce a laurearsi ‘in corso’ (contro il 54% degli altri). Un dato che, probabilmente, è il frutto della maggiore difficoltà di questo tipo di percorsi. Anche se, poi, l’età media di conseguimento del titolo è in linea con quella degli altri laureati. Anzi, è leggermente inferiore: 25,6 anni per gli STEM, 26 anni per i non STEM. Questo perché, specie nelle facoltà umanistiche, in tanti si immatricolano all’università dopo essersi presi uno o più anni sabbatici: sono il 23,3% contro il 20,7% dei laureati scientifici.
Con una laurea tecnico-scientifica il lavoro è assicurato
La vera distanza tra i due universi, semmai, si crea al momento di gettarsi nella mischia, di cercare un lavoro. Per i laureati non STEM spesso si traduce in un incubo, per gli STEM è quasi una passeggiata. In questo caso il Rapporto Almalaurea prende in considerazione i laureati magistrali, quelli che proseguono gli studi dopo il titolo di primo livello (tra gli STEM sono la maggioranza: 58,6%). Ebbene, tra gli oltre 30mila studenti ‘tecnici’ censiti (usciti dall’università nel 2012 e intervistati nel 2017), quasi 9 su 10 – l’89,3% - hanno un’occupazione (oltre 4 punti percentuale in più rispetto ai laureati non STEM). Con performance ancora più elevate nei gruppi economico-statistico (94,8%) e ingegneria (94,6%).
Contratti stabili e stipendi elevati
Il lavoro autonomo riguarda il 20,4% dei laureati in ambito STEM (per i laureati non STEM è pari al 22,8%); per ovvi motivi tale quota sale sensibilmente tra i laureati del gruppo architettura (raggiungendo il 50,3%). I contratti di lavoro a tempo indeterminato caratterizzano invece il 55,6% degli occupati STEM (46,4% per i non STEM). Il lavoro non standard (in prevalenza a tempo determinato) caratterizza il 15,9% degli occupati in lauree STEM (contro il 19,5% dei laureati non STEM). Ottime prospettive anche sul fronte dei guadagni. A cinque anni dal titolo, i laureati in discipline tecnico-scientifiche dichiarano, in media, di percepire una retribuzione mensile netta pari a 1.571 euro (il 16,4% in più rispetto ai laureati non STEM, che in media guadagnano 1.350 euro).
Differenze di genere: troppo poche le ragazze STEM
Unica nota dolente riguarda la presenza femminile nel mondo STEM: scarsa a livello universitario, tendenzialmente marginalizzata sul lavoro. Ad esempio, le laureate (di I primo livello) nella facoltà non tecniche rappresentano circa i due terzi del totale; nelle discipline scientifiche si riducono al 41%. Componente maschile che è ancora più accentuata nei gruppi ingegneria (le laureate sono appena il 26%) e scienze (31,6%). Un vero peccato, vista loro riuscita negli studi anche in questi ambiti: le donne STEM arrivano a ottenere voti di laurea mediamente più alti dei maschi (rispettivamente 103,6 su 110 contro 101,6) e risultano molto più regolari (tra le ragazze, il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti, tra i ragazzi ci si ferma al 42,7%).