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E' ciò che è accaduto anche a Giorgia quando, a 13 anni, alle scuole superiori hanno iniziato a bullizzarla. Quel brutto periodo della sua vita ha avuto ripercussioni che combatte ancora oggi e che l'hanno portata ad assumere un pessimo rapporto con il cibo. Un'ossessione malsana verso l'attività fisica e la ricerca di una perfezione che le hanno provocato un profondo disturbo alimentare. Oggi, a distanza di otto anni, la sua vita è cambiata: ha iniziato un percorso terapeutico e ha scelto di diventare volontaria di Animenta, l'associazione no-profit che si occupa di sensibilizzare la popolazione sui disturbi provocati da una cattiva relazione con il cibo.
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Bullismo a scuola: "Ho iniziato a odiarmi"
Per Giorgia tutto è iniziato a 13 anni quando, al primo anno di scuola superiore, hanno iniziato a deriderla e ad allontanarla solo perché ritenuta "strana": molto alta, il suo fisico era più "cresciuto" rispetto a quello delle altre compagne. "Non ho mai conosciuto persone che mi accettassero e amassero realmente per ciò che ero: il loro fine era diverso, non avevano minimamente interesse nel conoscere Giorgia, volevano usare il mio corpo solo come divertimento o riversare su di me le loro problematiche" - ha raccontato Giorgia. Questa difficile situazione vissuta a scuola e nel gruppo dei pari ha portato la ragazza a odiarsi: troppo sensibile di fronte alle critiche dei coetanei, ha iniziato a provare vergogna di se stessa.
"Mi sfogavo sul cibo e ho anche tentato il suicidio"
E' in questo momento che il rapporto con il cibo prende il sopravvento: "Riversavo il mio sfogo sul cibo, punendomi per ogni pasto piacevole che riuscivo a dedicarmi, pentendomene subito dopo e passando le ore davanti allo specchio. Ho sviluppato una tendenza all’autodistruzione. Mi infliggevo colpe in continuazione e mi vergognavo della mia emotività". Le cose continuavano a peggiorare e, all'età di 15 anni, Giorgia aveva persino pensato di farla finita a seguito di un episodio che l'aveva segnata oltremodo: "Una violenza fisica con continue minacce per svariato tempo, durate circa 3 anni. Ho passato gli anni del liceo alla ricerca di comprensione e di compagnie che potessero ascoltarmi e accettarmi". Ma la paura di essere giudicata e non le ha mai permesso di confidarsi, nemmeno con la sua famiglia.
La ricerca della perfezione fisica come cura per il tormento dell'anima
Con l'arrivo all'università, la situazione si fa ancora più complessa. Giorgia ha iniziato ad andare alla ricerca spasmodica della perfezione fisica: "Ricercavo un controllo maniacale di tutto ciò che ingerivo, contando le calorie e allenandomi duramente ogni giorno". Puntava a un benessere fisico che, nel suo immaginario, avrebbe voluto significare anche benessere mentale. Se da un lato, quindi, perseguiva una realtà illusoria, dall'altro, la vita universitaria da fuori sede le aveva permesso di cominciare una nuova vita, con amici e colleghi disposti a conoscere la vera Giorgia.
Il Covid ha distrutto ogni barlume di speranza: Giorgia inizia a rifiutare il cibo
Una situazione che è riuscita a durare giusto il tempo di un giro di ruota. A mettersi in mezzo a questo piccolo spiraglio di luce ci ha pensato la pandemia, e il lockdown. Giorgia, una volta a casa sua, è ritornata nel vortice dei disturbi alimentari: "Sono tornata a richiudermi in me stessa, nella mia camera, allenandomi, studiando e contando le calorie in maniera ancora più ossessiva. Con il tempo ho iniziato ad eliminare i cibi elaborati, riducendomi a mangiare solo pochi alimenti, per privarmi alla fine anche di questi". Fino ad arrivare a una situazione di non ritorno: "Ho ricominciato ad avere ancora più paura della vita rifiutando la fonte primaria di sostentamento, ovvero il cibo".
La scelta di iniziare un percorso terapeutico: Giorgia adesso è volontaria Animenta
Solitudine, depressione, attacchi di panico, rifiuto del cibo: Giorgia era caduta in un tunnel devastante e aveva portato con sé, senza volerlo, anche i suoi genitori che, vedendola in quelle condizioni, soffrivano terribilmente insieme a lei. Dopo un breve percorso ambulatoriale, non andato a buon fine, la ragazza è stata poi ricoverata d'urgenza e ha iniziato un percorso specializzato in una comunità terapeutica. "Mi ricordo le lacrime versate dalla mia famiglia sul letto del mio ospedale, pregandomi di reagire. Ho deciso di porre fine alla sofferenza dei miei cari proseguendo con il percorso terapeutico, nonostante io non ne avessi la minima convinzione". Ma poi la svolta: ritrovarsi insieme ad altre ragazze con il suo stesso problema e vedere la loro volontà e forza hanno portato Giorgia a voler lottare e a trasmettere finalmente messaggi positiva a chi, come lei, stava e sta lottando contro un DCA."Ho finalmente raggiunto quella leggerezza d’animo che ho sempre ricercato, non più con la paura del cibo. Ho smesso di privarmi di ciò che più mi faceva sentire viva. Ho imparato ad ascoltare i miei bisogni". Adesso Giorgia sta proseguendo il suo percorso terapeutico e ha deciso di diventare volontaria di Animenta, "un modo per poter essere di aiuto anche ad altre ragazze e ragazzi nella mia stessa condizione".
Maria Zanghì