Imma Ferzola
Autore
vendita online

Con la diffusione di piattaforme come Vinted, Wallapop, Subito.it ed eBay, vendere abiti o oggetti che non si utilizzano più è diventato per molte persone un gesto quotidiano.

Ma dietro l’apparente semplicità del “second hand” online si nasconde una questione fiscale tutt’altro che secondaria. In alcuni casi, infatti, il Fisco può considerare queste attività come vere e proprie imprese, con l’obbligo di aprire partita Iva e pagare le tasse sui guadagni.

Indice

  1. Vendite occasionali o attività d’impresa?
  2. Il caso delle scarpe vendute online
  3. La direttiva europea DAC7 e i nuovi obblighi
  4. La posizione del Fisco e i controlli in arrivo
  5. Quando serve la partita Iva?
  6. Un confine sempre più sottile

Vendite occasionali o attività d’impresa?

Diciamolo subito: la maggior parte delle vendite online sono soggette a tassazione. Chi vende saltuariamente qualche vestito o oggetto usato non deve pagare imposte né adempiere ad obblighi fiscali.

Il problema nasce quando le transazioni diventano numerose e costanti nel tempo: in questo caso, anche senza partita Iva, il Fisco può considerare l’attività come imprenditoriale.


A confermarlo è la sentenza n. 7552 del 21 marzo 2025 della Corte di Cassazione, che ha stabilito che un venditore privato, se supera un certo numero di vendite online in un anno, può essere considerato a tutti gli effetti un imprenditore e, quindi, soggetto a tassazione.

Il caso delle scarpe vendute online

Il caso analizzato dai giudici è emblematico: un profilo che aveva venduto 1.211 paia di scarpe in un anno e 418 l’anno successivo. Numeri che, secondo la Corte, dimostrano la natura non occasionale dell’attività. Il commercio sul web, in questo caso, è stato qualificato come attività d’impresa, con conseguente obbligo di dichiarare i redditi e pagare le imposte dovute.


Una decisione che cristallizza quanto già previsto dalla normativa europea DAC7, in vigore dal 1° gennaio 2023, che obbliga le piattaforme digitali a trasmettere alle autorità fiscali i dati relativi ai propri utenti venditori.

La direttiva europea DAC7 e i nuovi obblighi

La direttiva DAC7, attiva in Italia da marzo 2023, impone ai siti di compra-vendita di comunicare i dati degli utenti che offrono beni o servizi. Le informazioni vengono trasmesse ogni anno all’amministrazione fiscale del Paese in cui il venditore è residente.


L’obbligo di comunicazione, però, scatta solo se vengono superate determinate soglie: 30 o più vendite in un anno solare oppure un valore complessivo superiore a 2.000 euro. Chi rientra in questi parametri e non fornisce le informazioni richieste rischia la chiusura del proprio account o la sospensione dei pagamenti.


La posizione del Fisco e i controlli in arrivo

Secondo l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, molti venditori si registrano come “occasionali” pur svolgendo di fatto un’attività continuativa. L’Eurispes segnala che sono già state avviate diverse indagini per individuare i falsi venditori privati, invitando chi opera regolarmente come "negoziante" a iscriversi come professionista e dichiarare le somme percepite.


L’Agenzia delle Entrate, una volta ricevuti i dati dalle piattaforme, verificherà se le vendite effettuate possono essere considerate abituali o meno. Nel caso in cui emergano attività professionali non dichiarate, scatteranno gli accertamenti fiscali con la richiesta delle imposte evase e delle relative sanzioni.

Quando serve la partita Iva?

In Italia, ricordiamo, l’apertura della partita Iva è obbligatoria quando l’attività di vendita non è sporadica ma continuativa. In questo caso, il venditore viene trattato come un’impresa e deve versare contributi e imposte sui ricavi. Diversamente, chi vende occasionalmente e non supera le soglie previste non è soggetto a tassazione.


L’obiettivo della normativa, nel caso dell'e-commerce, è distinguere tra chi utilizza le piattaforme per svuotare l’armadio e chi, invece, sfrutta questi spazi digitali per condurre una vera e propria attività commerciale.

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