Redazione
8 min
Autore
Studente traumatizzato

La scuola non lascia segni solo nei voti o nei diplomi. Lascia tracce più sottili, spesso invisibili, che riemergono anni dopo: nel modo in cui affrontiamo un colloquio, chiediamo aiuto, reagiamo a una critica, misuriamo il nostro valore. 

Non parliamo di grandi traumi, ma di piccoli scarti quotidiani, frasi dette senza pensarci, dinamiche ripetute per anni, che finiscono per modellare il rapporto con l’autorità, con l’errore e con noi stessi.

Riconoscerli può essere utile a capire da dove arrivano certe insicurezze e, soprattutto, a non scambiarle per limiti personali. Perché molti dei blocchi che ci portiamo dietro da adulti nascono proprio tra i banchi.

Indice

  1. Essere etichettati presto
  2. L’umiliazione pubblica in classe
  3. Il voto come giudizio sulla persona
  4. Il confronto costante con il compagno “bravo”
  5. Il talento ignorato perché non scolastico
  6. L’ansia da prestazione normalizzata
  7. L’ingiustizia percepita e mai riparata
  8. Essere invisibili
  9. L’idea che sbagliare sia pericoloso

Essere etichettati presto

Succede spesso all’inizio del percorso scolastico: qualcuno decide che sei “bravo”, “scarso”, “svogliato”, “non portato”. Etichette pronunciate magari con leggerezza, ma ripetute abbastanza a lungo da diventare identità.

In altre parole, crescere con un’etichetta addosso significa iniziare a comportarsi come se fosse vera. Se sei “negato per la matematica”, smetti di provarci davvero. Se sei “quello intelligente”, vivi ogni errore come una minaccia. 

Da adulti, questo si traduce spesso in autolimitazioni automatiche: scelte non fatte, strade evitate, competenze mai esplorate. Non perché manchino le capacità, ma perché qualcuno ha deciso prima chi dovevi essere.

L’umiliazione pubblica in classe

Essere corretti davanti a tutti è una cosa. Essere esposti, ridicolizzati o messi sotto pressione davanti ai compagni è un’altra. 

L’umiliazione pubblica non passa quasi mai dal contenuto, ma dal contesto: il tono ironico, la risata trattenuta, l’errore trasformato in spettacolo.

E per molti studenti quello è il momento in cui il “provare” diventa pericoloso. Parlare, rispondere, esporsi smette di essere un atto neutro e diventa un rischio. 

Da adulti, questa ferita può trovare molti possibili sbocchi: come paura di parlare in pubblico, blocco davanti alle domande, difficoltà a sostenere un’opinione. Questo perché il corpo ricorda cosa succede quando sbagli davanti agli altri.

Il voto come giudizio sulla persona

Il voto dovrebbe misurare una prova. Spesso, però, viene vissuto come una valutazione globale del proprio valore. Non “questa verifica è andata male”, ma “io non valgo abbastanza”. 

Quando lo schema si ripete per anni, il numero sul registro smette di essere uno strumento e diventa un’etichetta emotiva.

Il risultato è che, una volta usciti da scuola, si continuano a cercare i voti, anche dove non esistono: approvazione, like, feedback continui. Oppure, al contrario, si evita ogni contesto valutativo per la onnipresente paura di fallire. 

Il confronto costante con il compagno “bravo”

“Perché non sei come lui?” è una delle frasi più corrosive che uno studente possa sentire. Il confronto continuo con il compagno modello non stimola, schiaccia. Sposta l’attenzione dall’apprendimento alla competizione, dalla crescita al paragone.

Il problema è che quel confronto raramente tiene conto delle differenze: tempi diversi, interessi diversi, modi diversi di capire. 

Da grandi, questa dinamica sopravvive sotto forma di autosvalutazione cronica: qualcuno sembra sempre più avanti, più veloce, più adatto. E invece di chiedersi “sto crescendo?”, ci si chiede solo “sono abbastanza rispetto agli altri?”.

Il talento ignorato perché non scolastico

La scuola valorizza ciò che può misurare facilmente. Tutto il resto spesso resta ai margini: creatività, capacità comunicative, intuizione, empatia, pensiero laterale. 

Crescere con un talento che non trova lo spazio né il linguaggio giusto porta a una sensazione precisa: “quello che so fare non conta”.

E così molti faticano a riconoscere le proprie competenze proprio perché non sono mai state nominate. E in questi casi imparare a crederci da soli è complicato.

L’ansia da prestazione normalizzata

Verifiche continue, tempi stretti, silenzio obbligato, valutazioni frequenti: lo stress a scuola è spesso presentato come normale, persino formativo. Il problema è che il corpo non distingue tra “allenamento” e “minaccia”: impara solo a stare in allerta.

Tanti studenti finiscono quindi per vivere l’ansia come uno stato di base: prima di una scadenza, di una prova, di un colloquio. Questo perché hanno imparato presto che ogni prestazione è un esame

L’ingiustizia percepita e mai riparata

Un voto sentito come arbitrario, una punizione sproporzionata, un torto mai riconosciuto. Non serve che sia “oggettivamente” ingiusto: basta che sia rimasto senza spiegazione. Quando chi ha autorità non ripara, lo studente impara che non vale la pena protestare.

E questo può tradursi, in seguito, in una sfiducia nelle regole o, al contrario, in sottomissione silenziosa. O tutto è ingiusto, o tutto va accettato. In entrambi i casi manca una cosa fondamentale: l’idea che il confronto possa esistere e produrre effetti reali.

Essere invisibili

Non essere presi di mira, ma nemmeno visti. Passare anni senza essere chiamati, valorizzati, riconosciuti. L’invisibilità scolastica non fa rumore, ma scava a lungo. Insegna che il modo migliore per sopravvivere è occupare spazio senza attirare l’attenzione.

Con l’età adulta, chi è stato invisibile fatica spesso a esporsi, a candidarsi, a proporsi. Non per mancanza di capacità, ma perché non ha mai ricevuto il segnale che il suo contributo fosse atteso

L’idea che sbagliare sia pericoloso

Quando l’errore viene punito più che analizzato, diventa una minaccia. Questo porta molti studenti a preferire la risposta sicura a quella interessante, il compito “pulito” a quello creativo.

Ma questa paura dell’errore blocca l’iniziativa: meglio non provare che fallire. Eppure sbagliare è l’unico modo per imparare davvero. Disinnescare questa convinzione è forse il lavoro più difficile, ma anche quello che restituisce più libertà.

Skuola | TV
Mancano esperti di cybersicurezza: un lavoro per diplomati e laureati, anche umanisti - #Sapevatelo con Nunzia Ciardi (vicedirettore ACN)

Nel nuovo episodio del vodcast YouTube di Skuola.net, il Vicedirettore dell’Agenzia per la Cybersicurezza, Nunzia Ciardi, spiega perché questo settore riguarda ciascuno di noi

Segui la diretta