4' di lettura 4' di lettura
hikikomori

Hikikomori non è un fenomeno solo giapponese, ma sta prendendo piede anche nel mondo occidentale e in Italia. Secondo gli ultimi dati riportati da Corriere.it sono circa 100mila i ragazzi italiani che possono essere definiti tali.

A monitorare il fenomeno realtà come la cooperativa Minotauro, che ha pubblicato di recente un testo dedicato ai ritirati: «Il corpo in una stanza». Da noi vivono soprattutto nelle grandi città del nord. I genitori, tante volte, non riescono a rispondere in modo adeguato a questa situazione. In alcuni casi - addirittura – si arriva al disconoscimento giuridico del figlio e al mancato sostegno economico. A sgretolare il rapporto con il mondo dei grandi può essere una bocciatura, la mancata risposta a un curriculum, un conflitto col datore di lavoro.

Chi sono gli Hikikomori?

Il termine giapponese Hikikomori indica coloro che hanno deciso di ritirarsi dalla vita sociale con livelli estremi di isolamento che supera i sei mesi. Sono chiusi nella propria cameretta, con le tapparelle abbassate, davanti al Pc, ascoltando musica. Escono dalla propria stanza solo per un veloce pasto rifiutando qualsiasi contatto con l'esterno, anche con i familiari e gli amici. Il "ritiro sociale", nella sua declinazione italiana, indica la fascia di giovani Neet (che non studiano e non lavorano) più fragile. Il fenomeno riguarda soprattutto i maschi primogeniti e ha avuto un suo boom soprattutto in Giappone negli anni '80. Il primo sintomo è la rinuncia a continuare gli studi senza alcun segnale premonitore. Il problema a scuola non riguarda né le materie, né lo studio, né gli insegnanti, ma la socialità complessiva, l’incontro con membri dell’altro sesso e, quindi, il rischio del rifiuto, e la competizione, non sempre vincente e felice, con quelli del proprio. La mancanza di contatto sociale e la prolungata solitudine hanno effetti profondi sullo hikikomori, che gradualmente perde le competenze sociali, i riferimenti comportamentali e le abilità comunicative necessarie per interagire con il mondo esterno. A saziare le esigenze di chi si taglia fuori dal mondo esterno, ci pensa Internet che dà risposte e aiuta a costruire legami senza troppi pericoli e senza metter in gioco il corpo.

Uscire dall'isolamento

In Giappone, dove l’isolamento può durare in media anche sei anni, ci sono già tanti centri di recupero. In Italia si sta incominciando a far qualcosa. La strategia - come quella messa in campo da varie associazioni (ad esempio Minotauro a Milano) - è quella di aiutare i genitori a capire gli atteggiamenti del figlio e non lottare contro il computer, altrimenti l’aggressività viene spostata verso di loro. Al contrario è importante cercare di mantenere in casa, per quanto possibile, una comunicazione, per facilitare la ripresa di qualche attività a scuola e nel mondo. La prevenzione invece si fa invitando i ragazzi a coltivare interessi e passioni, educandoli ad usare strumenti critici per non fondare la propria identità su modelli troppi alti e distanti.