
Ogni anno in Italia sono circa 3 mila le persone che muoiono a causa dei Disturbi del Comportamento Alimentare. La pandemia ha acuito di gran lunga il problema nei giovani e giovanissimi che si rifugiano nel cibo per trovare quel conforto che manca alla loro vita.
Secondo la rivista Pediatrics, a livello mondiale i tassi di ricovero sono continuati a crescere esponenzialmente fino al marzo del 2021. In alcuni centri, il numero di ingressi è quasi triplicato rispetto al “pre-Covid” a livello mondiale.Una situazione estrema che nel nostro Paese trova ancora troppi dubbi e incertezze. I DCA non ancora stati inseriti all’interno dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e i ragazzi e le ragazze che si ammalano, in buona parte dei casi, rischiano di morire perché ritenuti "invisibili" da parte del nostro sistema sanitario nazionale.
Un cambio di rotta si avverte come necessario: una svolta dal punto di vista istituzionale, politico, ma anche, e soprattutto, comunicativo. Un primo, grande passo è stato svolto dal servizio pubblico televisivo: da tre edizioni Rai 3 con la docu-serie Fame D’Amore racconta le storie di ragazzi che soffrono dei disturbi del comportamento alimentare. Anoressia, bulimia binge eating: tutte patologie che vengono narrate dagli occhi dei giovani che vivono la difficoltà sulla propria pelle.
Un’apertura profonda e necessaria verso un problema che attanaglia, solo in Italia, oltre 3 milioni e 500 mila persone, di cui il 70% in età preadolescenziale e adolescenziale. Ma ancora troppo poco si è compiuto per aiutare chi ne soffre. Come riuscirci e da dove iniziare?
A partire dalla conferenza stampa tenutasi alla Camera dei Deputati, organizzata dall’onorevole Marta Grande per parlare dei Dca, e con gli interventi dello psichiatra e psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio, specializzato nella cura dei disturbi alimentari e della giornalista e conduttrice Rai, Francesca Fialdini, si è cercato di dare risposte a chi vive una condizione di invisibilità data dal proprio cattivo rapporto col cibo.
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Disturbi del comportamento alimentare: chi ne soffre?
Anoressia, bulimia, binge eating, ortoressia, bigoressia, disturbo da ruminazione, sindrome da alimentazione notturna e non solo: sono questi i disturbi del comportamento alimentare che colpiscono sempre di più le ragazze e i ragazzi in età preadolescenziale e adolescenziale.
Chi soffre di queste patologie combatte ogni giorno una battaglia contro se stesso e spesso, coloro che gli stanno a fianco non riescono a comprendere e a decifrare la triste realtà vissuta. In Italia chi soffre di Dca vive una condizione di “invisibile”: le strutture sanitarie sono insufficienti a curare tutti i pazienti che ne avrebbero bisogno. "Disomogeneità e carenza di servizi sul territorio, posti letto e personali sanitario insufficienti, lunghe liste di attesa, trattamento non differenziato per età e diagnosi, il peso come unico parametro di accesso alle cure, medici di famiglia non adeguatamente preparati, mancanza di un programma di prevenzione” - queste alcune delle difficoltà esposte da Stefano Tavilla, presidente dell’Associazione no profit “Mi nutro di vita”, dal 2011 attiva sul territorio nazionale con programmi di divulgazione e sensibilizzazione sui disturbi alimentari.
Il problema colpisce sempre più adolescenti, durante la pandemia i numeri dei ricoveri e richieste di aiuti si sono moltiplicati. Ma da dove nasce questo disagio e perché sono i più giovani a cadere nella trappola del cibo?
I social, croce e delizia dei giovani: vetrina di immagine e causa dei disturbi
Per rispondere a questa domanda bisogna osservare l’evoluzione della società degli ultimi anni. Anzi, l’evoluzione svolta dai e sui social network, croce e delizia dei più giovani. E’ Instagram, in particolare, la piattaforma che permette di metterci in mostra e di esporre il nostro corpo. “Un palco sul quale esibirsi e i nostri ragazzi lo fanno in età sempre più precoce” - conferma Francesca Fialdini, conduttrice di Fame D’amore. “Si sentono belli, si sentono grandi, si espongono, alle volte senza sapere bene nemmeno il motivo per cui lo fanno. Tentano di assomigliare a dei modelli estetici di riferimento, sentendosi anche schiacciati psicologicamente”.
Seguono modelli di riferimento estetici che molto spesso vanno a toccare corde dell’animo incontrollate e che nei ragazzi più fragili e vulnerabili, arrivano a provocare frustrazione, senso di inadeguatezza. Una condizione che va oltre la mera immagine del proprio corpo e si inserisce in un contesto più complesso: quello dello spirito.
I giovani si ammalano per emulare il bello, sì, ma anche e soprattutto per esprimere un malessere sotterraneo e non indagato.
Non solo immagine: il cibo come strumento per esprimere un malessere
“Quello che abbiamo sperimentato con Fame d’amore è stato sdoganare la tematica, parlando in profondità di cosa sono i disturbi del comportamento alimentare, associando la parola spirito alla parola corpo” - spiega la conduttrice Rai. “Se noi cominciamo a usare la parola corpo accanto a quella di spirito per parlare della relazione col cibo potremo iniziare a comprendere a fondo le problematiche vissute dai ragazzi”.
Non solo voglia di essere belli, magri, attraenti a tutti i costi: chi si ammala di anoressia e bulimia cerca di mettere a tacere il peso delle aspettative, spesso date dai genitori o dagli insegnanti; o il peso dell’abbandono, del tradimento.
“Il cibo è il principale strumento di battaglia che i ragazzi ingaggiano per esprimere un malessere contro le loro relazione primarie che non riescono a verbalizzare e per questo si puniscono” - continua Fialdini. “Iniziare una battaglia con il cibo comporta mettere il dito nella piaga”.
La pandemia ha amplificato il fenomeno: gap all’interno delle strutture sanitarie e i pazienti diventano “invisibili”
La pandemia ha fatto crescere la curva in maniera esponenziale: chi già soffriva di anoressia e bulimia, costretto a rimanere a casa, ha avuto accesso libero alla dispensa e ha potuto fare quello che ha voluto; chi invece viveva in un contesto con altre persone, dove non poteva dare sfogo libero alle proprie ossessioni, si è sentito comunque costretto, cadendo in una forma depressiva ancora più grave.
Un aumento di casi che ha fatto evidenziare un gap strutturale all’interno della sanità: “Quando le ragazze e i ragazzi arrivano a pesare molto poco non riescono a essere accettati all’interno delle cliniche specializzate - afferma il dott. Mendolicchio, Responsabile della U.O. Riabilitazione dei Disturbi Alimentari e della Nutrizione presso l’istituto Auxologico di Piancavallo. “Sono patologie che vanno a toccare lo spirito, la psiche, aspetti della salute che spesso non sono così facilmente integrati. Per questo motivo si rischia di non capire chi possa essere lo specialista adatto a curare le diverse patologie che vengono riscontrate. Succede così - continua lo specialista - che i pazienti “scompaiono”. Diventano troppo grandi per poter accedere ai centri riabilitativi e troppo poco grandi per un ricovero ospedaliero che possa durare un certo numero di settimane, utili per compensare il quadro. C’è un’area grigia in cui questi ragazzi e ragazze scompaiono”. Questo purtroppo, spesso porta al decesso di quei pazienti che non sono riusciti ad accedere alle strutture predisposte.
“Quando c’è una grave malnutrizione i parametri si possono compensare facilmente però rimane un equilibrio molto precario: basta un niente per far riemergere gravissimi problemi. Quando si vive un’anoressia molto grave tornare a casa dalle strutture sanitarie, per molti pazienti, significare elevare il rischio di morte” - sottolinea lo psichiatra.
Un aiuto concreto contro i Dca: da dove iniziare
“Questa scommessa si vince non solo se si trova una cura efficace, non solo se si fa la giusta legge ma bisogna fare un intervento bio-psicosociale: cioè affrontando il problema dal punto di vista della comunicazione, della narrazione a cui esponiamo i nostri giovani, lo si affronta dal versante politico attraverso la ricerca e l’uso di strumenti economici finanziari da mettere in campo, lo si affronta dal punto di vista della tecnica della scienza e della possibilità di cura” - ribadisce Mendolicchio.
La necessità è quella di “impattare su questa emergenza con un modello integrativo nuovo che metta la politica, la società, la comunicazione e l’informazione della salute in un’orchestra che funzioni”.
Ma non solo: un atto concreto, richiesto dai parenti delle vittime dei Dca e dall’Associazione “Mi nutro di vita”, è quello di scorporare i Disturbi del Comportamento Alimentare nei LEA dalla sezione dedicata alla salute mentale, facendoli diventare finalmente degni di divenire ed essere parte a sé, così da poter aiutare, anche economicamente, le persone affette dalla malattia. Una richiesta alla politica e alle istituzioni nazionali che, a distanza di anni, oggi potrebbe venire ascoltata.
Il ruolo della scuola nel percorso di sensibilizzazione e comprensione del problema
Un primo, elementare apporto concreto alla sensibilizzazione sul tema dovrebbe avvenire nelle scuole. Nell’ultimo periodo le richieste di assistenza psicologica sul tema da parte degli insegnanti è notevolmente aumentata. Dopo la messa in onda del programma Fame D’amore, in onda con la terza stagione a partire da febbraio 2022, anche i docenti hanno iniziato a guardare più da vicino il problema, riscontrando presunti casi all’interno delle proprie classi.
Come rivolgersi ai ragazzi e come rispondere alle loro domande che spesso rimangono silenti per paura di essere giudicati? "Si parla in modo chiaro, si affrontano i problemi, toccando le radici delle questioni, non si va nelle scuole a spiegare cos’è l’anoressia - spiega Mendolicchio - si va nelle classi a capire perché i ragazzi sono ossessionati dal perfezionismo, perché tutto diventa performativo e perché non c’è più il desiderio di imparare. I temi sono la solitudine e l’ossessione della perfezione che non è il tema della bellezza, ma qualcosa di ancora peggiore”.
Maria Zanghì