
A un certo punto succede: smetti di chiederti chi sia quell’artista sulla cresta dell’onda, di aggiornare le playlist, di inseguire le novità. Accade intorno ai 33 anni, quando pare che il cervello umano vada incontro a quello che gli studiosi chiamano "taste freeze", la “congelazione del gusto”.
Lo ha scoperto Spotify, analizzando milioni di ascolti: dopo quella soglia anagrafica, la maggior parte delle persone abbandona la Top 40 e torna alle canzoni che conosce già.
Quelle che hanno segnato gli anni dell’adolescenza, le prime estati, i primi viaggi, le prime esperienze. E, da lì in poi, difficilmente se ne esce.
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La scienza del “taste freeze”: quando la musica diventa memoria
Il termine è stato reso popolare dal giornalista William Poundstone su ‘Psychology Today’, ma nasce da un dato empirico raccolto dal laboratorio di ricerca musicale The Echo Nest.
Le statistiche raccontano quello che abbiamo già anticipato, ovvero che la curiosità musicale crolla bruscamente dopo i trent’anni, mentre cresce la tendenza a riascoltare i brani legati all’adolescenza.
Non è solo nostalgia, spiegano anche gli studi della New York University e dell’Università di Cambridge: tra i 12 e i 22 anni, il cervello costruisce un legame diretto tra musica, emozioni e memoria autobiografica. Quelle canzoni diventano un riflesso identitario, un modo per ricordarsi chi si è stati. E, di riflesso, che si è diventati.
Con il tempo, e questa non è certo una novità, la mente però preferisce la familiarità, ciò che sa di casa, in una sorta di economia cognitiva che ci fa scegliere ciò che conosciamo e ci consola. E quando la vita si complica – tra lavoro, figli e routine – il comfort delle vecchie note vince su tutto.
Il declino dell’esplorazione musicale
Secondo le analisi di Skynet & Ebert, che hanno incrociato migliaia di profili Spotify di utenti americani, tra i 30 e i 35 anni il numero di nuovi artisti scoperti crolla.
Ma c’è chi anticipa il limite, come fa la ricerca della piattaforma Deezer, che abbassa la soglia a 30 anni: già lì, il 60% degli intervistati ammette di sentirsi “bloccato musicalmente”, limitandosi ad ascoltare solo artisti già noti.
Le cause? Troppe offerte, troppi generi, troppi impegni. L’iperstimolazione, unita alla mancanza di tempo per cercare, spinge il cervello a chiudersi in un perimetro sicuro. E così l’algoritmo finisce per restituirci sempre le stesse canzoni, rituffandoci nel passato.
Quando la nostalgia diventa marketing e identità
Il "taste freeze" è, però, anche una questione di mercato. Il pubblico sopra i trent’anni tende a preferire artisti consolidati e a snobbare le nuove uscite, creando una frattura generazionale nell’ascolto.
Non a caso gli emergenti faticano a penetrare in quella fascia d’età, mentre per i musicisti più “adulti” è quasi una rendita: la nostalgia come fidelizzazione.
Il "taste freeze", in ogni caso, non va letto come una resa. In qualche modo, detta in termini più romantici, è il momento in cui la musica smette di cambiarci iniziando più che altro a raccontarci: una specie di autobiografia sotto forma di playlist.