
L'esistenza e la natura dei geni – alla base del segreto della vita – furono studiati per anni, senza però soluzioni concrete da parte degli studiosi. Ci vollero un inglese e un americano per individuare le proprietà del DNA e per dar vita ad una vera e propria rivoluzione nel campo delle scienze biologiche.
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Gli studi del '900
Erano più di cinquant’anni che medici, fisici e biologi si interrogavano riguardo l’esistenza e la natura dei geni. All’inizio del Novecento – dopo l'analisi delle leggi di Mendel - la comunità scientifica iniziò a porsi domande sulla natura del gene e sulla sua struttura chimica. Nel dettaglio, vennero condotti due esperimenti. Il primo è firmato dal biologo Thomas Hunt Morgan che – grazie allo studio della drosofila (il moscerino della frutta) – dimostrò la disposizione dei geni sui cromosomi. Il secontraguardo venne raggiunto da Hermann J. Muller che scoprì la correlazione tra raggi X e mutazione delle cellule: all'aumentare delle radiazioni alcune cellule mostravano significativi cambiamenti.In seguito, nel 1944, l'esperimento di Avery – condotto dal medico canadese Oswald T. Avery – costituì un importante passaggio. Il medico intervenne su alcune cellule infettate dal batterio dello pneumococco privandone alcune delle proteine, altre dei polisaccaridi, e altre del dna. Appurò quindi che fosse quest’ultimo a detenere la capacità che lui chiamò “principio trasformante”, ovvero quella di ricevere il materiale genetico proveniente dal batterio. Dopo pochi anni, nel 1950, il celebre biochimico austriaco Erwin Chargaff condusse alcuni esperimenti che dimostrarono il rapporto tra le quattro basi azotate degli acidi nucleici. Scoprì infatti che in ogni molecola di dna il numero di basi A (Adenina) corrispondeva a quello del numero di basi T (Timina) e che il numero di basi C (Citosina) corrispondeva a quello delle basi G (Guanina), nonché che la composizione in basi del DNA variava da una specie all'altra e non era modificata in base all'età.
Watson e Crick: la scoperta che dà il via alla rivoluzione
Arriviamo poi al 1953 e all'opera dei due scienziati protagonisti. Prima della scoperta di Watson e Crick, nella comunità scientifica si discuteva sulla composizione dei geni: erano composti dalle proteine o dagli acidi nucleici? All'epoca, la pista delle proteine sembrava la più coerente. Gli aminoacidi che formano le proteine sono di venti tipi differenti, al contrario degli acidi nucleici, che sono costituiti dalla combinazione di sole quattro basi azotate.Proprio per questo si credeva che un “alfabeto” di venti lettere fosse più adatto a codificare progetti di sviluppo di interi organismi complessi, rispetto a uno di quattro. La scoperta di Watson e Crick invece viaggiava controcorrente: i geni erano (e sono) composti da acidi nucleici. La teoria dei due scienziati si basava infatti su un “alfabeto” di quattro “lettere” disposte in una struttura a doppia elica: scoperta che valse loro e al fisico Maurice Wilkins il premio Nobel per la medicina nel 1962. Fu l'inizio di una svolta nel campo della biologia che aprì la strada al futuro della ricerca in campo bio-medico.