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Durante l’intervista abbiamo affrontato tematiche molto delicate e per alcuni versi anche complesse, tra cui la rigidità delle diete e la loro correlazione con l’insorgenza di un DCA, parlando anche di l’Intuitive Eating.
Certi che le parole di Giulia possano essere utili per capire meglio queste tematiche, le riportiamo qui per voi.
Buongiorno Giulia, è un piacere averti con noi oggi. Vorremmo iniziare questa intervista chiedendoti di parlarci un po’ del tuo percorso professionale: sei una dietista specializzata in Scienze dell’Alimentazione con un’ulteriore specializzazione nel trattamento dei disturbi alimentari e nell’Intuitive eating, giusto?
Ci racconteresti questo cosa comporta, e in particolare cosa significa Intuitive eating e perché hai fatto questa scelta?
Confermo, il mio percorso di studi è iniziato quasi 10 anni fa. Sono una dietista specializzata in Scienze dell’Alimentazione e già dai primi anni del mio percorso universitario osservavo, da tirocinante, la fatica che incontravano i pazienti nel seguire le diete prescritte e mi interrogavo su quanto alla parola “dieta” fosse associato un senso di tristezza, stress, mancata libertà.
Pian piano ho desiderato allontanarmi da questo mondo: non volevo essere in qualche modo artefice di queste spiacevoli sensazioni. Così ho iniziato a studiare, a leggere, ad approfondire ed ho messo in discussione tutto ciò che fino a quel momento avevo portato avanti.
Ho iniziato ad utilizzare altri strumenti durante le visite con i miei pazienti, tra cui l’Intuitive Eating, per l’appunto, ovvero un approccio scientifico non prescrittivo che guida le persone verso scelte alimentari consapevoli.
L’obiettivo dell’Intuitive Eating è imparare a sfruttare il superpotere che deriva dall’“ascolto” dei segnali corporei (fame e sazietà), lavorando su tutto ciò che può interferire con esso.
L’ascolto di sé fa da guida verso le scelte più vantaggiose rispetto al contesto, alle risorse e ai proprio valori.
La nostra società ormai è completamente immersa in quella che viene definita Diet Culture, ovvero l’esaltazione di regole e credenze relative a comportamenti e stili di vita ritenuti “salutari”, che hanno portato inevitabilmente ad un aumento dei casi di DCA, soprattutto nei più giovani e in entrambi i sessi.
Ciò che vorremmo chiederti è, secondo te, che ruolo possono avere le diete nell’insorgenza di un DCA. Esiste un limite oltre il quale quello che dovrebbe essere un regime alimentare volto a garantire e tutelare la salute della persona, diventa invece una gabbia che può portare quindi ad un rapporto non più sano e naturale con il cibo e il proprio corpo e, nel caso peggiorativo, anche sfociare in un DCA?
La diet culture è l’ostacolo per eccellenza nella costruzione di una relazione serena con il cibo ed il corpo. Le diete, come confermano tanti studi in letteratura, sono un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi del comportamento alimentare e si tratta di un dato che trova riscontro anche nella mia pratica clinica. Le tante storie ascoltate in questi anni nascono da prescrizioni di regimi alimentari, più o meno rigidi. La parola “regime” porta con sé un significato importante: insieme di regole con cui si disciplina il proprio corpo.
Ma abbiamo davvero bisogno di regole, quando si tratta del nostro corpo? C’è qualcuno di esterno che può decidere di cosa abbiamo bisogno? O possiamo decidere di chiedere aiuto per re-imparare ad ascoltarci?
Qual è invece il tuo approccio alla dieta. Che tipo di percorso proponi alle persone che si rivolgono a te? In che modo cambia un percorso rivolto a persone che soffrono di un disturbo alimentare?
Potrà sembrare bizzarro, ma il mio approccio è un “non approccio” alla dieta.
Mi spiego meglio. La sfida più grande per me è aiutare le persone a spegnere il pulsante della cultura della dieta per poter tornare a fidarsi del proprio corpo e dei propri segnali fisici. Questo, per via del contesto in cui viviamo, è sempre il lavoro più difficile, ma non è impossibile. Ho esperienza di tante storie di rinascita.
Questo è, quindi, quello che propongo: un approccio mirato al raggiungimento di un benessere personalizzato che parte dal riconoscimento dei messaggi provenienti dalla cultura della dieta, dal comprendere le dinamiche che guidano le nostre scelte e i nostri comportamenti alimentari, dall’ascolto dei segnali corporei e dal soddisfacimento dei nostri bisogni emotivi, sociali, di piacere legati al cibo.
Per i pazienti che soffrono di un disturbo alimentare, propongo un percorso di riabilitazione nutrizionale mirato a sviluppare nuove abilità (cognitive, emotive, comportamentali…) per costruire un rapporto sereno ed equilibrato con cibo, peso e corpo.
Il percorso consentirà al paziente di conoscere meglio la sua situazione attuale e come agisce la sua malattia; di trasformare i pensieri intrusivi collegati al cibo, di aumentare la consapevolezza delle sue scelte alimentari, di ridurre la preoccupazione nei confronti del cibo e di imparare a gestire le situazioni considerate “a rischio”.
Il paziente è un partecipante attivo nel suo percorso di cura e lavora insieme al terapeuta per diventare l’esperto di se stesso e delle sue dinamiche interne.
Vorremmo chiederti, come ultima cosa, se ti va di lasciare qualcosa al nostro pubblico: uno spunto di riflessione, un piccolo suggerimento, qualsiasi cosa che da Giulia (e da professionista!) senti sia importante condividere.
Un suggerimento che mi sento di dare è di cercare sempre di analizzare profondamente la richiesta e il desiderio di iniziare una dieta.
Perché voglio iniziare una dieta?
Voglio perdere peso? Voglio aumentare di peso? Voglio mangiare diversamente?
Perché è nato questo improvviso desiderio?
Questo desiderio nasce da me, dai miei cari, dal confronto con l’altro?
Intraprendere una dieta mi porterà ad essere diverso?
Il consiglio è di andare oltre, oltre la dieta e il peso, perché a qualsiasi età, per qualsiasi ragione e obiettivo, seguire regole rigide o escludere alimenti dalla propria alimentazione può essere un fattore di rischio per l’insorgenza di un disturbo alimentare.
Articolo in collaborazione con Animenta, associazione no-profit creata dai più giovani per raccontare, informare e sensibilizzare sui Disturbi del Comportamento Alimentare.
Autore: Elisa Sudiero, volontaria dell’Associazione Animenta