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di Animenta
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disturbo comportamento alimentareI disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono malattie multifattoriali che colpiscono giovani e adulti, senza distinzione di età, sesso o etnia. E, per quanto ci si augurerebbe che questo non capitasse mai a nessuno dei nostri cari, quella persona che soffre di DCA potrebbe essere il proprio figlio, la propria sorella, il proprio compagno o la propria mamma.

Un disturbo del comportamento alimentare coinvolge tutta la famiglia, non solo la persona che ne soffre

Ammalarsi di un DCA non è una scelta, né un capriccio o una fase transitoria, da cui è possibile uscire quando lo si desidera, o quando gli altri si aspettano che questo accada.
E, purtroppo, di un DCA non si ammala unicamente la persona in questione.

È indubbio infatti che, indipendentemente dal tipo di legame esistente con il proprio caro, nel momento in cui un DCA arriva in famiglia, tutti i suoi componenti ne vengono inevitabilmente travolti. I DCA sono malattie “relazionali”, malattie che vanno a inserirsi nel tessuto delle relazioni e delle interazioni, compromettendo la comunicazione interpersonale. Non irrimediabilmente, però: si può ricostruire tutto e, conservando le fondamenta, ricominciare a costruirci su da zero.
Tante volte ci si domanda il perché, ci si chiede che cosa si sarebbe potuto fare per evitare tutto ciò che è accaduto, ci si chiede se magari quei segnali potevano essere interpretati prima per prevedere… L’imprevedibile.

Ed è proprio questa la realtà dei fatti: l’arrivo di un DCA non è un fenomeno prevedibile. Proprio perché non ha a che vedere unicamente con il cibo, o con un’attenzione considerevole nei confronti del proprio corpo. Cibo e corpo sono i mezzi tramite cui chi soffre di un DCA esprime un dolore molto più profondo, il proprio dolore, unico e diverso da tutti gli altri. Un dolore che magari, nella storia di qualcun altro, trova altri canali per esprimersi: fumo, dipendenza da droghe o alcol, shopping compulsivo…

L’arrivo di un DCA non sempre prevedibile, non è possibile immaginare quanto gli equilibri familiari verranno stravolti. Ci sono però alcuni comportamenti che possono rappresentare dei campanelli di allarme, seppur magari non così evidenti. E’ però importante, grazie a questi, iniziare a porsi le prime domande ed iniziare eventualmente ad approcciarsi a queste problematiche. I campanelli di allarme, come è già stato trattato in questo articolo, non sono comportamenti che necessariamente sono correlati ad un disturbo alimentare, ma possono essere la prima espressione di un dolore più profondo e per questo potrebbe essere importante saperci porre la giusta attenzione e il giusto peso.

Un DCA abbraccia totalmente chi ne soffre, come fosse una coperta di pile, e la priva dei suoi sogni, di ogni scintilla di felicità, spensieratezza e speranza. E le scarica addosso un bagaglio più pesante, fatto di sofferenza, angoscia, ansia, malinconia, tristezza. Non è possibile pensare che, essendo testimoni di un cambiamento così significativo nella vita di una persona cara, gli altri membri della famiglia non ne risentano.

Fanno quindi capolino sensazioni che sanno di impotenza, frustrazione, preoccupazione, ansia, rabbia, senso di colpa. Una mamma, vedendo il proprio figlio allontanarsi, chiudersi, spegnere ogni luce che lo animava, spegne un po’ a sua volta la luce. Così come accade a un padre o a un fratello, per cui magari si rappresenta un punto di riferimento.
Un DCA non entra dalla porta principale, insomma. Passa dal retro, senza fare troppo rumore, e pian piano si ambienta a casa, cambiando la tappezzeria e l’ordine di tutti gli arredamenti.

Come ci si comporta, quindi?

Il primo vero passo che si può fare, forse anche il più difficile, è provare ad “accettare”. Accettare che c’è un ospite in più, un ospite che non abbiamo invitato, un ospite indesiderato che, però, è qui. Un ospite con cui in qualche modo è necessario entrare in dialogo. Accettare in primo luogo di non avere un potere sulla malattia, una malattia che non si può accendere né tantomeno spegnere a piacimento. Accettare che non è possibile agire direttamente su di essa, e che questo porta con sé anche la necessità di fare un passo indietro spesso, per affidare il proprio caro a figure professionali di diverso tipo che possano aiutarlo tramite un trattamento d’equipe.

Quello che invece un genitore o un fratello o sorella può fare è far sentire la propria presenza. Far sentire al proprio caro che è presente per lui o lei come persona, indipendentemente dalla malattia. Tendergli la mano quando inciampa e si sente smarrito, ricordandogli che il percorso è lungo e tortuoso, ma si può continuare a percorrerlo insieme, ricominciando da ogni caduta e ricordando tutti i passi precedentemente fatti. Rispettare i suoi spazi e i suoi silenzi, quando si viene allontanati - prendendosi cura del dolore che questo suscita in noi. Donargli un po’ della nostra fiducia, in modo che basti per entrambi. Lavorare per imparare a distinguere la persona dalla malattia, comprendendo che le sue urla, i suoi rifiuti, le sue parole non sono altro che un riflesso di un dolore che non viene controllato e gestito. Sono quindi urla, rifiuti e parole che non hanno un vero valore, ma sono un'espressione della malattia.

Tutta la famiglia ha bisogno di supporto

Inoltre, la sfida di fronte alla quale un genitore, fratello, sorella o nonno si trova è quella di accettare i propri di limiti. Di accettare e riconoscere il fatto di essere un essere umano a 360 gradi, con emozioni più o meno spiacevoli e con un vissuto proprio. È chiedere aiuto quando ci si trova in difficoltà, quando si sente di non avere gli strumenti per gestire ciò che sta accadendo fra le mura di casa e dentro se stessi. Iniziare a confrontarsi con il fatto che ci vorrà tempo e pazienza per stabilire dei nuovi equilibri, più funzionali e nutrienti per tutto il nucleo familiare, e dedicarsi uno sguardo fatto di tenerezza quando si piange, ci si arrabbia, ci si urla contro e ci si sfoga.

Genitori, fratelli e sorelle sono in primo luogo persone, che devono tutelarsi a loro volta. Per questo è fondamentale che anche loro si rivolgano a figure professionali che possano fornirgli gli strumenti necessari per affrontare questa difficoltà per affrontarla insieme al proprio caro e ritrovare una direzione comune.
Accettazione e pazienza sono dei buoni alleati per affrontare la malattia. È altrettanto necessario informarsi e imparare a conoscerla, cercando, per quanto possibile, di sospendere il giudizio, ricordandosi che non si tratta di una scelta. Si procede insieme, un passo dopo l’altro, aspettandosi nelle proprie prese di consapevolezza.

Articolo a cura di Elisa Sudiero - volontaria di Animenta, associazione no-profit creata dai più giovani per raccontare, informare e sensibilizzare sui Disturbi del Comportamento Alimentare.