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di Animenta
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comunicare con chi ha un dcaLa realtà con cui abbiamo a che fare oggi è molto attenta al fattore estetico, ragione per cui capita spesso di imbattersi in discorsi che riguardano l’aumento o la diminuzione del peso della persona che abbiamo davanti; altrettanto spesso sentiamo parlare di diete e calorie, e le domande che poniamo sono più attinenti a questo ambito che vicine ad un semplice “Come stai oggi?”.

È importante fare tale premessa, poiché chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare sviluppa una forte sensibilità che non riguarda soltanto la percezione del proprio corpo, ma anche delle parole che gli/le vengono rivolte.

Le parole possono far male, soprattutto a chi soffre di DCA

Quando si parla di selezionare con cura le parole che scegliamo di pronunciare, spesso tale suggerimento viene frequentemente visto come un’esagerazione superflua, che porta con sé una pesantezza e un rigore eccessivi.
Quando parliamo di DCA, “scegliere con cura le nostre parole” significa prestare più attenzione ed evitare commenti e giudizi su peso, forme corporee e alimentazione, ambiti, peraltro, privati e personali per chiunque. Per chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare, nello specifico, queste parole possono dare il via a una serie di pensieri insistenti su cui rimuginare alimentando quella visione di sé fortemente autocritica e caratterizzata da una bassa autostima che porta poi, eventualmente, ad attuare atti compensatori di vario genere.

Anche la modalità con la quale facciamo delle domande alla persona che abbiamo di fronte rispetto a un suo cambiamento fisico riveste una grande importanza. Quello stesso cambiamento visibile, infatti, non ci dice assolutamente nulla delle ragioni che ci sono dietro né dello stato di salute della persona.
Chi si ammala di anoressia, ad esempio, e si ritrova ad aumentare di peso nel percorso di guarigione, incontra molte difficoltà nell’accettare questa condizione: un’esclamazione come “Ti vedo ingrassata” con un tono di disappunto può avere un forte impatto su una persona che sta affrontando la malattia, così come, al contrario, un “Come sei dimagrita” con tono di approvazione. Per questa ragione, è preferibile usare parole come “Sai ti vedo bene, spero tu sia serena e che vada tutto per il meglio”, o, semplicemente “Magari mi sbaglio, ma mi sembra che tu abbia perso un po’ di peso. Volevo sapere se stai bene”. In questo modo si sposta il focus dal cambiamento fisico in sé alla persona, e, di conseguenza, al significato che questo aumento di peso potrebbe contenere.

Scegliere le parole per prendersi cura dell'altro

Spesso, quando si parla di comunicazione e di scelta delle parole, una frase che fa capolino è “Beh, ma io mica l’ho detto per far del male. Le mie intenzioni erano buone!”. Questo, però, purtroppo, non fa da deterrente alla possibilità di ferire comunque la persona che abbiamo di fronte. Abbiamo il potere di scongiurare del tutto questa eventualità? Assolutamente no, però, curando al massimo la forma di ciò che stiamo per pronunciare, sicuramente sapremo di aver fatto del nostro meglio per ridurre questo rischio e di esserci presi cura del nostro interlocutore.

Possiamo provare, poco per volta, a utilizzare sempre meno tutti quei luoghi comuni e a quelle battute che ormai fanno automaticamente parte della nostra quotidianità, nel tentativo di fare noi il primo passo verso un cambiamento che richiede sicuramente uno sforzo collettivo.

Non sempre chi sta intorno sa comunicare con chi soffre di DCA

Quando si affronta un disturbo del comportamento alimentare, capita e capiterà spesso di incontrare chi non saprà come approcciarsi al tuo dolore. Non è sempre così, ma spesso chi ti è accanto starà in realtà facendo del suo meglio. Tu accendi la luce più che puoi: ti accorgerai che in realtà siamo tutti persone che aspettano solo di aprire l’un l’altro le porte del proprio dolore per poterlo rendere meno pesante.
E ci si può anche sentire grati. Sì, grati, grati nei confronti di un corpo che non ci ha abbandonati e continua a non abbandonarci e a sorreggerci.
Un corpo con un paio di braccia che ci permettono di scrivere i nostri pensieri; con un busto che a volte non sopportiamo, ma che custodisce dentro di sé un cuore che continua a battere nonostante tutto. E con un paio di gambe che ci portano ad esplorare questo bizzarro e immenso mondo.

Articolo in collaborazione con Animenta, associazione no-profit creata dai più giovani per raccontare, informare e sensibilizzare sui Disturbi del Comportamento Alimentare.

Autore: Lorenza Ciccarelli, volontaria dell’Associazione Animenta

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