Concetti Chiave
- Il testo esplora la grandezza di figure storiche romane come Catone, Scipioni e Fabrizio, ponendo l'accento sulla loro eredità e virtù.
- Enfatizza il ruolo dei Romani nel governare il mondo con giustizia in tempo di pace e invincibilità in guerra.
- Marcello è celebrato come un eroe che salverà Roma da pericoli imminenti, sconfiggendo nemici come i Punici e i Galli.
- Enea incontra un giovane di grande bellezza e potenziale eroico, ma segnato da un destino tragico, suscitando tristezza nel padre Anchise.
- La narrazione esprime un sentimento di lutto per la perdita prematura del giovane eroe, celebrando la sua virtù e immaginando i pianti della città di Roma.
Indice
Elogio degli Eroi Romani
Dove lass’io te, gran Catone, e Cosso?
E i Gracchi, e i due gran folgori di guerra
Ambedue Scipïoni, ambi Africani,
Strage l’un di Cartago, e l’altro esizio?
Dove Fabrizio il povero, e potente,
Con la sua povertà? Dove Serrano,
Ch’è di bifolco, al grande imperio assunto?
Dove restano i Fabii? Eccone un solo,
Massimo veramente, che con arte
Terrà il nemico tranquillando a bada.
Virtù e Arti dei Romani
Abbinsi gli altri de l’altre arti il vanto;
Avvivino i colori e i bronzi e i marmi;
Muovano con la lingua i tribunali,
Mostrin con l’astrolabio e col quadrante
Meglio del ciel le stelle e i moti loro:
Chè ciò meglio sapran forse di voi:
Ma voi, Romani miei, reggete il mondo
Con l’imperio e con l’armi, e l’arti vostre
Sien l’esser giusti in pace, invitti in guerra;
Perdonare a’ soggetti, accòr gli umíli,
Debellare i superbi. In questa guisa
Parlava il santo vèglio, ed essi attenti
Stavan con maraviglia ad ascoltarlo,
Quando soggiunse: Ecco di qua Marcello;
Mira come se n’entra adorno e carco
D’opime spoglie e quanto agli altri avanza.
Quest’è quel generoso, ch’a grand’uopo
Vien di Roma a domare i Peni, i Galli,
E del gallico duce i fregi e l’armi
La terza volta al gran Quirino appende.
Il Destino di Marcello
Qui vide Enea ch’un giovinetto a pari
Gli si traea, ch’era d’arnesi e d’armi,
E via più di beltà, vago e lucente;
Se non che poco lieta avea la fronte
E chino il viso. Onde rivolto al padre:
E chi, disse, è costui che l’accompagna?
Saria de’ figli, o de’ nipoti alcuno
Del gran nostro legnaggio? E che bisbiglio
E che mischia ha d’intorno? O quale e quanto
Di già mi sembra! Ma gli veggio al capo
D’atra notte girar di sopra un nembo.
Anchise lagrimando gli rispose:
Amaro desiderio il cor ti tocca
A voler, figlio, un gran danno, un gran lutto
Udir de’ tuoi. Questi a la luce a pena
Verrà, che ne fia tolto. O dii superni,
Troppo parravvi la romana stirpe
Possente allor che in sul fiorir preciso
Ne fia sì vago e sì gentile arbusto.
O che duolo, o che pianto, o che funèbre
Pompa ne vedrà Roma e ’l Marzio campo!
Qual, Tiberino padre, a la tua riva
Nuova se n’ergerà funesta mole!
Germe non sorgerà del seme d’Ilio
Più di questo gradito, nè che tanto
De’ latini avi suoi la speme estolla:
Nè la terra di Romolo arà mai
Figlio, onde più si pregi e più si vanti.
O pietà non più vista! o fede antica!
O virtù senza pari! E qual ne l’armi
Sarà? Chi sosterrà l’incontro suo
Pedone o cavalier ch’armato in giostra,
O pur nel campo, il suo nemico assalga?
Miserabil fanciullo! Così morte
Te non vincesse, come invitto fòra
Il tuo valore, e come tu, Marcello,
Non men de l’altro, eroica vertute,
E più splendore e più fortuna avesti!
Datemi a piene mani, ond’io di gigli
E di purpurei fiori un nembo sparga,
Che, se ben contro al già fisso destino
M’adopro invano, almen con questi doni
L’ombra d’un tanto mio nipote onori.
Dopo ciò detto, per gli aerei campi
Vagando, a parte a parte e l’ombre e i lochi

Chi della stirpe dei Gracchi o Scipioni, due furie
di guerra, flagello della Libia? Chi di Fabrizio forte
nella sua povertà o di te, Serrano, che ari il campo?
Dove mi trascinate, stanco, oh Fabii? Sei tu quel Massimo
che da solo hai salvato lo Stato temporeggiando?
Altri, credo, forgeranno con più abilità i bronzi
animandoli, riuscendo a dare vita al marmo;
sapranno trattare meglio le cause dei fenomeni e con una bacchetta
segnare le vie del cielo e presagire l’ascesa delle stelle:
tu aspetti di governare autorevolmente i popoli, oh Romano,
di dare nome alla pace (queste saranno le tue arti),
di perdonare i vinti e annientare i superbi.>>
A ciò e ad essi ancora stupiti, Anchise aggiunse:
il vincitore Marcello e si erge su tutti gli eroi.
Egli salverà Roma, sconvolta da un grande pericolo,
insieme ai suoi cavalieri e Punici e Galli, tornati in guerra,
sconfiggerà, dedicando le loro spoglie al padre Quirino,
dopo quelle di Romolo e Cosso>>.
Qui Enea, venendo giungere con lui
un giovane bello e dalle armi splendenti ,
ma poco e con occhi e volto abbassati, disse:
E’ forse il figlio o uno dei suoi tanti nipoti?
Che grande mormorio viene dai compagni intorno! Quanta forza è in lui!
Ma l’oscura notte gli compre il capo di un’ombra malinconica>>.
Allora il padre Anchise, piangendo, riprese:
Il destino lo mostrerà per poco alla terra e non permetterà
che vi resti oltre. Ah, la stirpe Romana vi parve fin
troppo potente, oh dei, se l’averlo con noi fosse durato più a lungo.
Quanti lamenti giungeranno dal Campo Marzio alla grande
città di Mavorte! Quale funerale vedrai,
oh Tiberino, scorrendo lungo questo recente sepolcro!
Nessun discendente della stirpe Iliaca innalzerà
a tanta speranza gli antenati Latini, e la terra di Romolo
non si glorificherà mai di nessun figlio.
Oh gentilezza, oh fede antica e destra invincibile
in guerra! Nessuno mai avrebbe potuto affrontarlo
senza pena con le armi, sia che si muovesse in campo a piedi
sia che gli speroni affondasse nei fianchi di un cavallo focoso.
Oh, fanciullo che nutri compassione, anche se violassi i crudeli fati,
tu sarai Marcello. Date gigli a piene mani, che io sparga
fiori purpurei e possa onorare almeno l'anima di questo
nostro nipote con questi doni, e gli si renda ciò,
seppur vanamente>>. Parlando vanno qua e là per tutta quella
terra, nei vasti campi dell'aria, osservando ogni cosa.
per approfondimenti vedi anche:
Domande da interrogazione
- Chi sono gli eroi romani celebrati nel testo?
- Quali sono le arti e le virtù attribuite ai Romani?
- Chi è Marcello e quale ruolo ha nel testo?
- Qual è il destino del giovane descritto accanto a Enea?
- Qual è il tono generale del testo riguardo al destino e alla gloria dei Romani?
Il testo celebra eroi come Catone, i Gracchi, gli Scipioni, Fabrizio, Serrano, i Fabii e Massimo, evidenziando le loro virtù e contributi all'impero romano.
I Romani sono elogiati per la loro capacità di governare il mondo con giustizia in pace e invincibilità in guerra, perdonare i soggetti e sconfiggere i superbi.
Marcello è descritto come un eroe che salverà Roma da grandi pericoli, sconfiggendo i Punici e i Galli, e dedicando le loro spoglie al padre Quirino.
Il giovane, che potrebbe essere un discendente di Enea, è destinato a vivere brevemente, suscitando lamenti e dolore per la sua perdita prematura.
Il testo ha un tono di ammirazione e malinconia, celebrando la grandezza e le virtù dei Romani, ma anche lamentando il destino inesorabile che priva la terra di un giovane promettente.