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Introduzione Vita in funzione delle incognite tesina
La seguente tesina maturità liceo scientifico descrive la vita in funzione delle incognite. La tesina abbraccia inoltre varie discipline di studio, come Filosofia, Kierkegaard, in Italiano Leopardi e Verga, Fisica il principio di indeterminazione, in Scienze il paradosso del gatto di Schrödinger.
Collegamenti
Vita in funzione delle incognite tesina
Filosofia -Kierkegaard.
Italiano -Leopardi e Verga.
Fisica -Principio di indeterminazione.
Scienze -Paradosso del gatto di Schrödinger.
Giovanni di Mozart. Il seduttore sceglie di incentrare la propria vita sul piacere,
sull’eccezionalità del momento seguendo la filosofia oraziana del “carpe diem”.
Rifiuta la ripetizione ed è costantemente alla ricerca di un’esperienza nuova, più
appagante di quella precedente. Lo stadio estetico porta alla disperazione, ovvero
alla coscienza dell'assoluta vanità di ogni cosa. Tale disperazione può però condurre
a due diversi atteggiamenti: il primo porta a considerare la disperazione una forma
di divertimento e pertanto a perseverare nella vita estetica, nel secondo caso invece
si può comprendere la vanità dell’esistenza estetica e accedere così allo stadio
superiore, quello etico.
Lo stadio etico è rappresentato dalla figura del marito ovvero colui che decide di
fare delle scelte ed assumersi le proprie responsabilità. Egli sostituisce all’amore
fugace dell’esteta un'unica relazione, saldata dal matrimonio, con le conseguenti
responsabilità legate ai figli e alla famiglia. L'esistenza dell'uomo etico è
caratterizzata dalla scelta, con la quale egli conferma in ogni momento le decisioni
prese. Davanti alla perfezione del divino, con cui il marito prima o poi si confronta,
anche la vita etica appare limitata e insoddisfacente. Egli infatti percepirà la propria
inadeguatezza morale, per esempio legata al modello del buon padre di famiglia,
arrivando necessariamente allo stato conclusivo dello stadio etico: il pentimento.
Attraverso tale stato d’animo l'individuo
esce dalla sfera etica e “salta”
volontariamente alla vita religiosa.
Lo stadio religioso è descritto nell’opera
4
“Timore e tremore” . Quest’ultima
possibilità di vita rappresenta l’unico modo
per uscire dall’angoscia e si incarna nella
figura di Abramo il quale, pur di obbedire a
Dio, non esita a sacrificare il figlio Isacco.
Eticamente verrebbe ritenuto un assassino
ma è invece considerato padre della fede
perché agì in virtù di essa, seguendo il
volere di Dio. Per Kierkegaard, infatti, la
dimensione religiosa comporta la
sospensione della morale e di ogni
razionalità perché l'uomo, in questo
ambito, si sottomette completamente alla
volontà di Dio che può legittimamente
divergere dalle leggi dell'etica umana.
4 Timore e tremore è un’opera filosofica di Kierkegaard pubblicata nel 1843. In essa viene presentata la terza sfera:
quella religiosa. Il filosofo non si riconoscerà nelle prime due, ma si giudicherà pure inetto alla terza per via d'una sua
"teologia sperimentale" che si dimostrerà fallimentare. 6
La fede è dunque rischio e paradosso. In nome di essa il singolo, che per l'etica è
subordinato alle leggi umane, afferma la propria superiorità nei confronti
dell'universale grazie al suo rapporto individuale con l'assoluto.
7
L ’
A SITUAZIONE DELL UOMO DI FRONTE
’
ALL INCOGNITA
L'angoscia è considerata la condizione naturale dell’uomo, la cui libertà di scelta è
limitata dall’ignoranza di ciò che può accadere, quindi dall’incognita. Kierkegaard
sottolinea infatti che tra le infinite vie che si presentano si può percorrere quella
sbagliata. In tal modo, anche di fronte ad una totale libertà, l’uomo sente che, dove
tutto è possibile, nulla risulta esserlo effettivamente. L’incognita quindi rende la
possibilità negativa in quanto quest’ultima potrebbe rivelarsi sbagliata.
La disperazione ha origine, secondo Kierkegaard, nel rapporto del singolo con se
stesso. L’io può infatti scegliere di volere o non volere se stesso. Nel primo caso l’io,
in quanto finito e insufficiente a se stesso, non giunge all’equilibrio ma si trova a
scontrarsi con l’impossibilità di compiere il proprio volere e ciò provoca la
disperazione. Nel secondo caso l’io cade nuovamente nella disperazione derivata dal
cercare di distruggere la sua natura reale.
Sotto un altro punto di vista la disperazione può essere causata dall’incognita
dovuta dalla presenza di troppe possibilità. Al contrario, se non vi fossero possibilità,
si eliminerebbe l’incognita legata all’infinità del possibile ma l’uomo risulterebbe
comunque disperato in quanto perderebbe anche ogni speranza.
“Se l’uomo rimane senza possibilità è come se gli mancasse l’aria”.
Kierkegaard rileva però la
possibilità di un esito positivo
riposto nello stadio finale del
percorso: la fede. In essa infatti si
risolve l'esperienza della possibilità
del nulla e della malattia mortale
perché l'uomo può aggrapparsi a
Dio e delegare a Lui la propria
possibilità, la propria incognita.
La fede è il gesto esistenziale con
cui l'uomo va al di là di ogni
tentativo di comprensione
razionale della realtà, affidandosi a Dio e accettando anche ciò che appare assurdo
alla ragione. Fede è per Kierkegaard paradosso perché esula dalla razionalità e dalla
morale umana. 8
L V : ’
EOPARDI E ERGA UN INCOGNITA A DUE FACCE
L’INCOGNITA CHE SOPRAVVIVE NELL’ILLUSIONE
Se Kierkegaard prova davanti all’ignoto un senso di minaccia oscura e paralizzante,
nella letteratura italiana Leopardi vede nel futuro non conoscibile un’illusione in
grado di rendere il presente meno triste. Nel
5
“Dialogo di un venditore di almanacchi e di un
6
passeggere”, una delle ultime Operette Morali
scritte dal poeta, è ben evidente il ruolo
fondamentale che svolge l’incognita nella vita
degli uomini. Il “Dialogo” è una riproposizione in
chiave realistica di una riflessione teorica già
presentata nello Zibaldone nel quale il poeta-
filosofo affermava di aver chiesto ad alcune
persone se fossero state contente di rivivere la
propria vita passata tale e quale a come
l’avevano vissuta fino ad allora, e di aver ricevuto
una risposta negativa, non tanto per il fatto di
rivivere la vita, quanto perché essa sarebbe stata
uguale a quella precedente. Egli infatti affermava
che:
“Io ho dimandato a parecchi se sarebbero stati contenti di tornare a rifare la
vita passata, con patto di rifarla né più né meno quale la prima volta. L’ho
dimandato anco sovente a me stesso. Quanto al tornare indietro a vivere, ed io
e tutti gli altri sarebbero stati contentissimi; ma con questo patto, nessuno; e
piuttosto che accettarlo, tutti (e così io a me stesso) mi hanno risposto che
avrebbero rinunziato a quel ritorno alla prima età, che per se medesimo,
sarebbe pur tanto gradito a tutti gli uomini. Per tornare alla fanciullezza,
avrebbero voluto rimettersi ciecamente alla fortuna circa la lor vita da rifarsi, e
ignorarne il modo, come s’ignora quel della vita che ci resta da fare. Che vuol
dir questo? Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che
conosciamo con certezza, tutti abbiam provato più male che bene; e che se noi
ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che p(er)
l’ignoranza del futuro, e p(er) una illusione della speranza, senza la quale
5 Nati nel Medioevo, gli almanacchi erano calendari che contenevano informazioni astronomiche utili ad agricoltori e
naviganti quali la posizione di stelle, pianeti e costellazioni visibili mese per mese. In un secondo momento divennero
delle pubblicazioni periodiche che fornivano notizie di vario genere, come, per esempio le previsioni metereologiche,
le date degli accadimenti futuri più importanti e i luoghi dove si tenevano le fiere.
6 Composte dopo la delusione romana tra il 1824 e il 1832, le Operette Morali sono una raccolta di componimenti in
prosa di argomento filosofico. 9
illusione e ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere
nel modo che siamo vissuti.” (Firenze, 1 Luglio 1827)
In queste righe è chiaro il pensiero di Leopardi secondo cui il desiderio di vivere è
dato dall’illusione e dalla speranza che risiede nell’incognita del futuro. Ciò che è
ancora inconoscibile non provoca sconforto e un senso di minaccia, come nel caso di
Kierkegaard, bensì rappresenta la speranza che possa esistere un futuro migliore.
Nel “Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere” il poeta ambienta le
vicende in una giornata prossima alla fine dell’anno dove un venditore di calendari e
lunari cerca di vendere la
propria merce a un
passante. Quest’ultimo
domanda al venditore se
prevede un anno nuovo
più lieto di quello
passato. La risposta è
affermativa ma alla
domanda “a quale degli
anni che avete vissuti
vorreste che somigliasse
questo nuovo?” il
venditore rimane
perplesso ed è costretto
a confessare che,
Ermanno Olmi - Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere, 1954 piuttosto di rivivere
esperienze già vissute, preferirebbe un anno nuovo diverso da quelli precedenti.
Il “passeggere” è una persona che, seppur con la propria razionalità sia riuscita a
scoprire la “verità sulla vita”, riconosce che sarebbe stato meglio vivere con “le
illusioni” e per questo motivo prova una sorta di pietà nei confronti dell’uomo
sofferente (compera infatti il calendario più bello e costoso). La figura del passante
può essere identificata con il Leopardi filosofo che è abituato a riflettere sull’uomo e
sul destino, cosciente del fatto che la felicità non sia realizzabile. Il venditore di
almanacchi rappresenta invece l’uomo comune che si accontenta della propria vita e
ha ancora la capacità di sperare, ovvero di proiettare la felicità nel futuro. Il filosofo
non può più sperare nella “fortuna” che è qualcosa di magico, irrazionale e non
controllabile dalla sua volontà. 10
Secondo Leopardi, la positività della vita non consiste nella felicità, che è
naturalmente preclusa all’uomo, ma nelle illusioni passate (rimembranze) e future
(speranze). La felicità non è dunque realizzabile: anche se l’uomo ama ricordare il
passato, non vorrebbe che si ripetesse come l’ha vissuto e questo è un
inequivocabile segno della negatività della vita e dell’inevitabilità del dolore. Appare
ben evidente come il fascino della vita risieda nella bellezza dell’incognita, di ciò che
ancora non si conosce e dall’illusione che il futuro possa essere migliore del
presente. Il centro del messaggio contenuto in questa operetta morale è nelle
parole che il “passeggere” pronuncia alla fine del dialogo:
“Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il
caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che
ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che
il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male,
nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si
conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura.
Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si
principierà la vita felice. Non è vero?”
[LEOPARDI, “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere”,
Operette Morali]
In questo passo si coglie la conclusione e il messaggio dell’intera conversazione
ovvero che la vita futura è attraente in quanto gli uomini la rendono tale attraverso
l’immaginazione, proiettando in essa speranze e aspettative. L’individuo si mostra
sempre scontento dell’anno passato e spera che il nuovo anno possa risultare
differente rispetto a quello appena trascorso. Il desiderio di una vita migliore viene
riposto, quindi, in un futuro sconosciuto e Leopardi sottolinea come questa sia solo
una delle tante illusioni di cui l’uomo ha bisogno per sopravvivere.
Anche in poesia Leopardi affronta la tematica della bellezza dell’incognito e di ciò
che deve ancora venire. Nella riflessione filosofica proposta alla fine de “Il sabato del
villaggio” viene detto esplicitamente che il sabato, come la giovinezza, risulta essere
pieno di gioia e di speranza in quanto la felicità risiede solamente nell’attendere,
nell’illudersi e nell’immaginare.
“Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.”
[LEOPARDI, “Il sabato del villaggio”, Canti]
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