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Sintesi

Sintesi Visione del limite nella storia tesina



Ho iniziato quest'ultimo anno scolastico del mio percorso formativo con un unico obbiettivo: scoprire chi io sia veramente. Ebbene sì, essa potrebbe sembrare una domanda elementare che non ci si aspetta di certo da un diciannovenne del duemilaquattordici che, con un touch sul suo tablet, può cercare una risposta ad ogni quesito attraverso quell' immenso iperuranio dai moderni chiamato Internet. Come ci si può fermare a riflettere sulla propria persona in un'epoca come la nostra, in cui tutto è finalizzato all'utile? Non per niente la mia domanda, alla quale ho cercato una soluzione, anche chiedendo a terzi (parenti, amici, compagni di classe e persino conoscenti) chi realmente essi fossero, si è spesso (anche se non sempre … per fortuna!) conclusa con la frase: “è semplice io sono Mario Rossi e tra cinque anni di studio universitario diventerò "il dott." Mario Rossi”. In effetti, devo ammetterlo, il mio quesito è apparentemente di scarsa utilità, cioè, anche se si riuscisse a trovarne la soluzione, sarebbe di impossibile monetizzazione e di conseguenza anche il tempo a tal fine impiegato potrebbe essere considerato, nell'immaginario comune, come "sprecato". E probabilmente, non oso dubitarne, se non avessi ristretto l'ardua ricerca di conoscenza di sé ad un campo, per così dire più "specifico", definendola consapevolezza delle proprie potenzialità, lo sarebbe stato (non per la non-vendibilità del risultato, quanto per l'ampiezza e la profondità della questione). Circoscritto l'ambito della mia riflessione è nato in me l'interesse per il limite.
Eccoci giunti all'argomento che ho desiderato approfondire nella mia tesina di maturità: il limite. Dunque, per capire quali fossero le mie capacità individuali, ho considerato necessario comprendere come l'umanità si sia confrontata nelle varie epoche con questo concetto. Soffermandomi su tale analisi all'interno della mia tesina, ho trovato assai interessante come la concezione dell' uomo quale essere limitato originario (nell'antica Grecia) si sia modificata fino al suo completo opposto (nel mondo contemporaneo): l'uomo, oggi, sentendosi padrone indiscusso della propria esistenza, cerca di plasmare la sua vita attenuando (poiché non riesce ancora ad evitarle del tutto) lemanifestazioni del limite (e.g.: malattia, vecchiaia, morte; per citarne alcune). Ma avviciniamoci gradualmente alla questione ripercorrendone, dalle origini, le varie tappe).

Collegamenti


Visione del limite nella storia tesina



Greco- "Edipo re" di Sofocle.
Latino - "De brevitate vitae" di Seneca.
Religione - "Confessiones" di S. Agostino.
Italiano - "Il trasumanar dantesco" I canto del Paradiso.
Matematica - "De docta ignorantia" di Cusano.
Inglese - "The picture of Dorian Grey" of Oscar Wilde.
Filosofia - "Enter-Eller: l'individuo e la scelta".
Fisica - "III principio della termodinamica"
Italiano - "Le maschere pirandelliane"
Storia - "I novecento giorni di Leningrado".
SCIENZE DELLA TERRA - "La teoria del Big-bang"
Estratto del documento

è

Ciò però non sufficiente a permettergli di mancare all'appuntamento con il suo

destino: imbattutosi, casualmente in una stretta strada con colui che non sa essere suo padre,

ha con lui una lite che sfocia nell'omicidio di questi. Così si avvera la prima parte dell'oracolo,

mentre la seconda lo attende dopo non molte ore di cammino: risolto il quesito della Sfinge,

che impediva l'accesso alla città di Tebe, rivolgendo degli enigmi ai forestieri, egli infatti

diviene il nuovo re, nonchè marito di Giocasta, già moglie di Laio. Scoperta la verità in un

continuo salire della suspense, Edipo decide di privarsi della vista mentre la madre-moglie si

toglie la vita. La storia di Edipo: il dramma dell' essere limitato

La visione del limite, che emerge chiaramente dalla tragedia sofoclea, ritrae

l'immagine di un uomo che, cosciente del proprio destino, cerca di eluderlo opponendovisi.

è

Ed proprio questa ricerca disperata a portare Edipo alla rovina. Tutta l'azione basa la sua

potenza drammatica sul processo continuo e incessante di agnizione, cioè comprensione

è

sempre più approfondita della verità. Edipo un esempio per l’ uomo antico, ammonito dalla

vicenda a non superare i limiti non che lui stesso si pone, ma che sono imposti da un ente

“altro” τφχη, è

(in tal caso la trad. fato). Egli, dunque, vittima del destino, certamente, ma non

lo accetta passivamente come la madre Giocasta, che al contrario vi si sottomette, nemmeno

interessandosi al vero, ma preferendo ad esso il caso. Tuttavia, benchè questi personaggi

siano tra loro del tutto antitetici (l'uno intraprendente e dinamico nella lotta contro il destino;

l'altro alquanto passivo) si trovano a dover condividere una sorte molto simile, segno

dell'ineluttabilità del fato che sottomette alla sua volontà consenzienti o nolenti in egual

modo. Ecco, dunque, come Edipo incarni quella razionalità tutta umana, capace solo di

è

comprendere entro quale limite possa agire; al contrario Giocasta simbolo dell'istintualità

che si lascia trasportare dal caso.

è

Curioso poi come siano al difuori di ogni logica le reazioni dei due personaggi

dinanzi alla limitatezza delle proprie potenzialità; sarebbe stato, difatti, più auspicabile che di

fronte al non-senso, in un impeto di sconforto, fosse la mente investigatrice di Edipo a

scegliere il suicidio. Al contempo, l'accecamento di Giocasta sarebbe stato l'esito più in linea

con la sua visione di vita, che già da prima della conoscenza della sua sorte trascorreva in una

atmosfera di pari oblio. Il fatto dunque che la conclusione della storia non sia questa e che il

comportamento dei personaggi appaia incoerente evidenzia come questi siano entrambi in

continuo sviluppo e che non rimangano statici nelle loro convinzioni. Ciò sta a testimoniare

che tra gli antichi il cambiamento veniva comunque accettato e visto anzi come inevitabile,

così come l'intervento del destino. Bisogna però sottolineare la differenza tra mutamento,

Pagina 3

inteso anche come ridimensionamento dei propri limiti, e superamento di essi: mentre infatti il

è

primo appare essere accettato nella visione sofoclea come necessario, il secondo totalmente

respinto e condannato come semplicemente inutile. Infatti Edipo, dopo non aver sortito alcun

effetto proficuo dal tentativo di imporre la propria volontà sul fato, sceglie l'accecamento, che

può essere interpretato come un radicale stravolgimento delle sue certezze; egli, dinnanzi alla

consapevolezza di non poter nulla di fronte al destino, avvolto dalle tenebre, vi si lascia

trasportare, come aveva fatto, in precedenza, Giocasta.

Il limite nel mondo classico

Come già accennato, il limite, secondo la concezione greca, rappresenta un ostacolo

insuperabile imposto da un agente esterno, che sparge infelicità talora anche in modo iniquo,

ma il quale tuttavia deve sempre essere rispettato per non incorrere nel peccato di asebeia

(trad. empietà). Il livello e il grado da essa raggiunto era decretato dalla società; bisogna

sempre ricordare che la religione greca non era basata sul rapporto intimo uomo-dio, quanto

è

su riti e cerimonie che si svolgevano pubblicamente nelle strade e piazze della polis, dunque

per questo che la comunità ricopre un ruolo di primo piano.

è è

Se vero che la comprensione del limite scatena lo scoppio del dramma, comunque

necessario ricordare l' importanza che i Greci vi avevano proiettato, in un mondo soggetto al

continuo divenire; esso rappresenta l'unico pilastro, fisso e immutabile, sul quale poter

fondare la conoscenza di sè. Infatti, ponendo dinnanzi all'uomo un ostacolo insuperabile, lo

spinge a rintracciare la sua natura, che pur ricca di potenzialità, conserva la sua autentica

fragilità. Pagina 4

LATINO

"De brevitate vitae"

"Limes": l'etimologia

La parola italiana limite trova le sue origini etimologiche nella latina limes. Il

termine, dai molteplici usi, dapprima indicava le pietre sacre, che segnavano i confini tra le

proprietà, tanto inviolabili da non poter essere spostati senza macchiarsi di un delitto

perseguibile a norma di legge. Il vocabolo, tuttavia, non indica solo un mezzo di divisione

materiale, ma anche metafisico; difatti a conferire sacralità e garanzia di intangibilità a questi,

altrimenti semplici segni di demarcazione, era una divinità detta appunto Limes. La semplice

indagine etimologica ci permette di capire come il mondo romano delle origini sia

concretamente e direttamente legato all'universo greco, nel quale, come abbiamo avuto già

modo di osservare, il superamento del limite era considerato peccato e, per questo, duramente

punito. Con l'espansione dell'impero di Roma, il termine mutò progressivamente accezione,

entrando a pieno titolo nel linguaggio militare con un duplice significato che ritengo

interessante menzionare. Esso poteva indicare il "confine", ovvero una barriera per difendersi

dai nemici esterni, oppure la "strada", intesa come via di penetrazione in nuovi territori, con il

fine di esplorarli ed occuparli. Il doppio valore della parola riesce, in questo caso, a

rappresentare perfettamente l'idea stessa di limite, così come si configura nel mio personale

pensiero: non solo intesa con un'accezione "negativa", come linea di demarcazione delle

potenzialità umane, ma anche e soprattutto valutata con un'accezione "positiva", come

possibilità di scoprire, alla pari di territori inesplorati, sè stessi e la propria interiorità. Per

è

una trattazione completa dell'argomento necessaria l'introduzione di un'opera emblematica

in questo senso: il "De brevitate vitae" di Seneca.

L'epistola a Paolino

Il "De brevitate vitae" fa parte di una delle maggiori opere filosofiche senecane: i

è

"Dialoghi". Il destinatario Paulinum, fittizio prefetto dell'annona, preso come esempio di

è

uomo "impegnato". L'obbiettivo di Seneca appunto quello di criticare la diffusa credenza

che vuole l'uomo protagonista di una assai breve vita; "noi non disponiamo di poco tempo, ma

ne abbiamo perduto molto", sono le sue parole. Il suo attacco si scaglia dunque contro tutte

quelle attività che impegnano l'uomo nella sua quotidianità, assorbendogli tempo, ad

è

eccezione di una: l' otium. Esso, consistente in un intenso lavoro intellettuale (l'italiano ozio

ben altra cosa...), porta l'uomo ad arricchirsi culturalmente ed a conoscere sé stesso. L'epistola

dunque si compone di un vasto inventario di tipi umani, costellato di massime stoiche con le

Pagina 5

quali si lancia un monito preciso: "carpe diem". Espressione già usata dall'epicureo Orazio, si

adatta anche al pensiero del magister Neroni, anche se partendo da presupposti diversi:

l'originario ideatore della formula, infatti, riteneva che la vita umana fosse realmente breve e

che dunque il presente meritasse di essere vissuto come se fosse l'unico futuro su cui l'uomo

potesse effettivamente agire. Da ciò si comprende chiaramente l' origine alquanto distante

delle due riflessioni, tanto da poter concludere che, se si potesse sintetizzare il messaggio di

Seneca con una formula, essa potrebbe consistere nel: "recipe tuum diem" (trad. "impossessati

di nuovo del tuo tempo"; l'espressione più letterale rimane tuttavia "protinus vive", trad. "vivi

subito"). Il tempo: limite e possesso è

Dalla lettura del pensiero di Seneca che mi sono permesso di presentare, ben

comprensibile quanto, per l'autore del "De breviatate vitae", il tempo sia un elemento

È

fondamentale, tanto da ricoprire il ruolo di vero protagonista dell'epistola. interessante

osservare come esso assuma un doppio significato in base alla sfera entro la quale lo si

è

analizza : se oggettiva esso attivo, limitando la vita dell'umanità; se invece si restringe il

è

campo di studio all'individualità, il singolo ad essere il soggetto dell'azione del possederlo.

Il tempo si erge dunque, come crudele tiranno, su coloro che non ne fanno un buon uso, così

come trascorre in un'atmosfera di totale serenità per il saggio, che ben conosce come vivere

realmente. L'uomo, troppe volte, sostiene Seneca, si dimentica di essere limitato nel tempo, e

non riflettendovi, si fa assorbire in occupazioni di ben poco importanza, di fatto non vivendo.

Come nel mondo greco il limite era un mezzo per venire a conoscenza della propria

condizione, anche in questo caso il tempo, agente limitante, offre la medesima opportunità. Se

non vi fosse, l'uomo non avrebbe modo di salvarsi; non percepirebbe di non vivere nemmeno

se qualcuno glielo rendesse noto, semplicemente perché avrebbe a disposizione l'eternità per

farlo e rimanderebbe sempre il momento dell'otium.

L'otium: conoscenza di sè è

Seneca dà numerose definizioni di otium: tra le tante, considerato

come quel periodo che l'uomo riesce a strappare al tempo limitante,

rendendolo parte integrante ed essenziale della sua vita. Solo i momenti

passati in equilibrio dell'anima (cd. mens bona) sono quelli pienamente propri

è

dell'individuo. Dunque l'uomo per così dire "proprietario" del tempo che gli

è a disposizione, a condizione che lo sfrutti per "ascoltare sè stesso". A questo proposito,

particolarmente interessanti sono le parole con le quali si critica il comportamento di un tipo

di persona "impegnata" (un cliens), che dimostra il proprio odio nei confronti del ricco

Pagina 6

patronus. Seneca rimprovera il comportamento del primo sostenendo che il signore gli ha

dedicato, sebbene "con volto sprezzante", parte della sua vita. Lo stesso comportamento non

è

ha invece mantenuto il cliens con sè stesso, mai si "degnato di guardarsi dentro", di

è è

conoscersi. Una vita senza otium non dunque vera, concreta, reale, ma semplice esistenza

è

(noi moderni diremmo sopravvivenza); l'uomo che non ha consapevolezza di sè "alienato",

ossia altro, diverso da sè.

Mondo romano: rottura di equilibrio classico

è

Seneca dunque, affermando che la vita la messa a frutto del proprio tempo

attraverso la riflessione, si avvicina alla tranquillità dell'animo, concetto già epicureo dell'

εφτιμια. è

Ma come possibile che il magister Neroni, considerato il più famoso filosofo stoico

sia così vicino all'altra grande dottrina ellenistica? Difatti se lo stoicismo propugnava una vita

politica attiva, al contrario, l'epicureismo predicava il distacco dalla società operato dal saggio

per arrivare alla completa assenza di desideri. Ebbene tale somiglianza ad un movimento

filosofico dalle idee del tutto antitetiche, riguardo alla politica, ci fa comprendere come più

componenti differenti diano corpo a una dottrina coerente nel suo pensiero: lo stoico ha

l'obbligo di offrire il proprio aiuto alla comunità attraverso l'azione politica diretta, esercitata

nelle attività pubbliche, o indiretta, dedicandosi alla propria interiorità. Ecco che l'otium

assume dunque anche un'utilità per la collettività: porta alla crescita di un patrimonio

personale, almeno potenzialmente, sfruttabile per il bene dei più.

è

L'eclettismo filosofico di Seneca uno degli elementi che mette in luce il profondo

clima di cesura tra il mondo latino e quello greco, non tanto quello classico, finito per

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