Anteprima
Vedrai una selezione di 9 pagine su 39
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 1 Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 2
Anteprima di 9 pagg. su 39.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 6
Anteprima di 9 pagg. su 39.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 11
Anteprima di 9 pagg. su 39.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 16
Anteprima di 9 pagg. su 39.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 21
Anteprima di 9 pagg. su 39.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 26
Anteprima di 9 pagg. su 39.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 31
Anteprima di 9 pagg. su 39.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Viaggio - Tesina per liceo classico Pag. 36
1 su 39
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Sintesi
Greco: Apollonio Rodio

Italiano: Italo Svevo

Inglese: James Joyce

Latino: Agostino

Filosofia: Sigmund Freud

Scienze: il sistema cardiovascolare

Storia: le migrazioni nel fascismo

Fisica: le onde

Matematica: studio della funzione y=sin(x)

Arte: Antonio Romito
Estratto del documento

intinse un ramo di ginepro, tagliato da poco, nella mistura, e sparse il filtro

possente sopra i suoi occhi, pronunciando le formule: lo circondò l'odore del

filtro e lo addormentò. La bocca cadde, poggiata a terra, e gli anelli

innumerevoli si distesero dietro nel folto della foresta. Obbedendo a Medea,

Giasone staccò dalla quercia il vello d'oro; ed essa intanto, immobile, spargeva

il suo filtro sopra il capo del mostro, finché Giasone ordinò di tornare alla nave;

e a quel punto lasciarono il bosco ombroso di Ares. Come una fanciulla riceve

sopra la veste la luce della luna piena, che splende sul tetto della sua stanza,

ed il suo cuore è lieto dell'incantevole lume; così godeva il figlio di Esone,

alzando il vello nelle sue mani; sopra le bionde guance e sopra la fronte al

baleno del vello venne un rossore, come di fiamma. Grande come la pelle d'una

giovenca d'un anno o di un cervo, quello che i cacciatori chiamano cerbiatto,

così era il vello, tutto d'oro e coperto di bioccoli, pesante; e mentre Giasone

avanzava la terra ai suoi piedi rifletteva passo su passo la luce .Andava

portandolo, ora sopra la spalla sinistra, lasciandolo pendere fino ai piedi

dall'alto del collo, ora lo raccoglieva tra le mani, temendo d'incontrare un uomo

o un dio che glielo rubassero…”

Italo Svevo (Ettore Schmitz)

Il suo vero nome fu Ettore Schmitz; figlio di un ebreo di origine tedesca e di

un’italiana, Italo Svevo cresce cittadino austriaco fino al 1918, viene educato in

un collegio tedesco (1874-78), vive in una città di confine, Trieste, marginale

alla cultura italiana e a quella Austriaca, ma, a causa dei traffici commerciali e

della sua posizione geografica, profondamente immersa nella mentalità

mitteleuropea caratterizzata da differenze linguistiche e sentimenti

irredentistici. In questa città crocevia di più popoli e “crogiuolo europeo”, Svevo

viene influenzato maggiormente dalla cultura europea piuttosto che da quella

italiana. Lo pseudonimo “Italo Svevo” sta difatti a rappresentare la sua

consapevolezza di appartenere a due tradizioni culturali diverse, quella italiana

e quella germanica.

Rimane 18 anni impiegato alla banca Union (1880-98) e nel 1896 sposa la ricca

Livia Veneziani. Dal 1907 al 1920 inizia la formazione culturale di Svevo e la

sua produzione letteraria. Muore nel 1928 a Motta di Livenza per incidente

d’auto.

Nel pensiero di Svevo confluiscono filoni culturali contraddittori e, a prima

vista, difficilmente conciliabili: da un lato il positivismo, la lezione di Darwin, il

marxismo; dall’altro il pensiero negativo di Schopenhauer e Nietzsche. Quanto

all’evidente influenza di Freud, in essa agiscono elementi sia positivisti che

antipositivisti.

Questi spunti contraddittori sono in realtà assimilati da Svevo in un modo

originalmente organico, riconducibile a una precisa modalità operativa: dal

positivismo e da Darwin ma anche da Freud, Svevo riprende la propensione a

valersi di tecniche scientifiche di conoscenza e il rifiuto di qualunque ottica di

tipo metafisico, spiritualistico o idealistico, nonché la tendenza a considerare il

destino dell’umanità nella sua evoluzione complessiva. Tra l’altro anche il

marxismo non viene accettato da Svevo come soluzione sociale, ma solo come

strumento analitico e come prospettiva critica di giudizio sulla civiltà europea e

sui suoi meccanismi economici e sociali. Anche da Schopenhauer Svevo

riprende alcuni strumenti di analisi e di critica, ma non la soluzione filosofica ed

esistenziale: non accetta infatti la proposta di una saggezza da raggiungersi

con la “noluntas” (la rinuncia alla volontà) e con il soffocamento degli istinti

vitali. Dal filosofo tedesco egli desume soprattutto la capacità di cogliere gli

“autoinganni” e il carattere effimero e inconsistente delle ideologie e dei

desideri dell’uomo. Lo stesso atteggiamento Svevo rivela nei confronti di

Nietzsche e Freud. Da Nietzsche riprende la teoria della pluralità dell’io e la

critica spietata dei valori borghesi; mentre da Freud riprende lo studio razionale

e scientifico della psicanalisi senza accettarla però come ideologia o come

terapia.

La causa principale del disagio esistenziale di Svevo trova le sue radici

all’interno dell’ideologia borghese di quel tempo: Svevo si sente “un diverso”

proprio per il fatto che i canoni e gli stereotipi della sua civiltà gli impongono un

“modus vivendi” totalmente in contrasto con il suo modo di concepire

l’esistenza.

Coloro che non rispettano questi modelli “precompilati” di “uomo normale”

(“Sano”), sono considerati diversi (“ammalati”). E’ proprio per questo motivo

che Svevo, nella “Coscienza di Zeno”, difende i diritti dei cosiddetti “ammalati”

rispetto ai “sani”. La nevrosi, per Svevo, è anche un segno positivo di “non

rassegnazione” e di “non adattamento” ai meccanismi alienanti della civiltà, la

quale impone lavoro, disciplina, obbedienza delle leggi morali, sacrificando la

ricerca del piacere. L’ammalato è colui che non vuole rinunciare alla forza del

desiderio. La terapia lo renderebbe sì più normale, ma a prezzo di spegnere in

lui le pulsioni vitali. Per questo Svevo difende la propria “inettitudine”, che è

una forma di resistenza all’alienazione circostante. L'inetto è colui che non si

adatta ed è separato dal contesto avendo dentro di sé costantemente

disadattamento alla vita, colui che è eternamente insoddisfatto. Spostando

l’asse della speculazione discorsiva sugli interessi che l’autore coltivava, è

opportuno, ai fini di una più chiara visione della sua poetica, sollevare il vivo

interesse che Svevo nutriva per la "sorte del singolo", minacciato nella sua

identità e nella sua libertà individuale dalle coercizioni dell’ambiente. Siffatto

aspetto verte a fornire una spiegazione della singolare condizione dell’ "inetto",

colui il quale non accetta di vivere quotidianamente secondo le regole del

conformismo sociale: "un diverso", "un divergente", che si oppone alla figura

del borghese medio, attivo e votato al successo. Nei romanzi sveviani l’inetto è

il "malato" che osserva lucidamente, portando allo scoperto, la rete di

mistificazione, inganni, censure e rimozioni che il mondo dei "sani" ignora, per

una sorta di autoinganno collettivo, con cui sostiene la sua visione ottimistica

del progresso. Il tema dell’inettitudine, insieme con quello della vecchiaia e

della morte, costituisce un motivo costante della narrativa e della meditazione

di Svevo. Con la sua ottica divergente, il personaggio sveviano fa lucidamente

la diagnosi della propria condizione alienata, professa la propria inettitudine,

bloccando in sé definitivamente ogni residua possibilità di azione. E, quanto più

è acuta la sua sofferenza della vita, tanto più viva è la sua aspirazione a

realizzarsi in esperienze totali, tanto più il personaggio è immobilizzato nei

gesti, incapace cioè di un qualsiasi atto valido alla costruzione di se stesso. Suo

destino è di subire la realtà: la sua "malattia" è nella disposizione, tutta

borghese, a guardare a quel destino da una prospettiva individualistica, che

reca già in sé l’inevitabilità della sconfitta. In questa coscienza che il

personaggio ha della sua malattia, si riflette l’idea più generale di un malessere

esistenziale e di una crisi che si rivela incapace di trovare, sia pure a livello di

proposta, una qualche soluzione ai problemi di ordine storico che investono la

società italiana ed europea del tempo. In Svevo è caduta ogni funzione sociale

e ideologica della letteratura: essa è un’attività privata, un vizio. L’autore

stesso la praticò in questo modo, senza illusioni e con molti disinganni, fino a

pensare seriamente di abbandonare, dopo l’insuccesso del secondo romanzo,

definendo l’attività letteraria ” quella ridicola e dannosa cosa che si chiama

letteratura”. Perché, allora, scrivere? La funzione si capovolge: non più estetica

o sociale, ma conoscitiva e critica. L’intellettuale, identificato ormai con l’inetto,

il diverso, il malato, il nevrotico, ricorre alla letteratura, estraniandosi

dall’attività economica e dai modelli sociali, per recuperare la misura della sua

esistenza e dei rapporti sociali(mediante l’autoanalisi).

“Corto viaggio sentimentale”:

L’opera incompiuta ” Corto viaggio sentimentale” è il più ampio e articolato dei

racconti. È ripartito in sette capitoli (ma l'ultimo è solo avviato): I «Stazione di

Milano», II «Milano-Verona», III «Verona-Padova», IV «Venezia», V «Alla stazione

di Venezia», VI «Venezia-Pianeta Marte», VII «Gorizia-Trieste».

Vi si narra di un viaggio d'affari da Milano a Trieste compiuto dall'anziano signor

Aghios, che porta con sé la considerevole somma di trentamila lire. Impaziente

di allontanarsi dalla moglie che affettuosamente lo ha accompagnato alla

stazione, alla partenza del treno si sente finalmente libero e più giovane,

sottratto alle premure della donna che lo considera vecchio e alle intemperanze

del figlio, che non gli nasconde la sua insofferenza. In treno si compiace di

intrecciare sguardi con le giovani donne presenti, scruta sia l'interno del

vagone sia il paesaggio e, insieme, tiene sotto costante osservazione anche se

stesso. Si sottopone ad analisi nei gesti, negli impulsi, nelle reazioni e anche

nei pensieri, alla ricerca delle leggi che ne spieghino razionalmente la causa e

la meccanica. Controlla costantemente il contenuto delle proprie tasche per

soddisfare l'irreprimibile impulso di tenere in ordine le sue cose e,

sistematicamente, si accerta della presenza della busta contenente il denaro.

Fuma e fa conversazione con un altro viaggiatore, il ragionier Borlini, ispettore

di una società di assicurazioni, che, come lui, viaggia con una grossa somma di

denaro. Il signor Aghios, senza un motivo apparente, mente a Borlini, anche su

particolari inessenziali, e dissimula il suo vero punto di vista in ogni circostanza.

Fa amicizia con Giacomo Bacis, un giovane palesemente afflitto da una grave

angoscia: impietosito, gli usa ogni sorta di riguardi e, durante la sosta alla

stazione di Venezia, gli offre una cena. Il giovane risulta coinvolto in una

complicata vicenda d'amore e d'interesse, che racconta ad Aghios e costituisce

un ampio excursus rispetto al resto della narrazione. È fidanzato con la figlia

del suo padrone, Berta, che non ama ma che sposerebbe per interesse, e

tuttavia non si rassegna a perdere la propria amante, la bella Anna, di umile

condizione, dalla quale aspetta un figlio. Risoluto a rompere il fidanzamento, ne

è impedito dal fatto che non è in grado di restituire le quindicimila lire avute in

anticipo sulla dote e che, a sua volta, ha prestato a suo fratello, caduto in

difficoltà. Aghios prende vivissima parte al racconto di Bacis e, complici anche i

numerosi bicchieri di vino che i due bevono, si arrovella sul modo di aiutarlo,

giungendo a confessargli di avere con sé le trentamila lire. Risaliti in vettura,

Aghios si addormenta profondamente intorpidito dal vino, e sogna di essere in

viaggio per raggiungere il pianeta Marte. Al risveglio, si accorge che Bacis è

sceso dal treno e che lo ha derubato di quindicimila lire. L'episodio - con una

tecnica consueta in Svevo - assume il significato di un proposito mandato a

effetto con atti ambigui: il protagonista solo apparentemente ha subito una

forzatura; in realtà ha fatto in modo di mettere a disposizione del ragazzo la

somma che gli era necessaria e che lui desiderava offrirgli.

Questo romanzo incompiuto di Italo Svevo ci presenta, come il titolo stesso

suggerisce, il viaggio in treno del protagonista che, ancor prima di essere uno

spostamento fisico tra città, risulta essere un cammino psicologico e morale. In

esso sono presenti temi e idee già trattati in romanzi come "La coscienza di

Zeno", sempre in chiave di sofferta istanza vitale. Il viaggio diviene un modo

per ricercare una verità che è insita in noi stessi, per rivelare il nostro pensiero:

Dettagli
Publisher
39 pagine
60 download