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Sintesi
Inglese: George Orwell (1984)

Filosofia: Ernst Bloch (la funzione utopica)

Matematica: i teoremi di incompletezza di Kurt Godel (la matematica come utopia)
Estratto del documento

Introduzione

« Una carta del mondo che non contiene il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché

non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo. E quando vi getta l'àncora, la vedetta

scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela. »

(Oscar Wilde, L'anima dell'uomo sotto il socialismo, 1891)

Il termine utopia si presenta nell’immaginario collettivo come sinonimo di illusione e di

progetto irrealizzabile, poiché fantastico e svincolato da ogni possibile forma di

realizzazione. Un vano vagheggiamento, insomma, da sempre e per sempre incatenato ai

ceppi della mera astrazione intellettuale.

Tale interpretazione è stata desunta, a torto o a ragione, dalla radice etimologica della

parola stessa. “Utopia” deriva dal greco “ou tópos” che significa appunto “non luogo”.

Come si potrebbe quindi pensare che l’utopia si configuri come realizzazione se già il

significato letterale stesso ne impedisce una lettura in questa direzione? Come può

l’utopia diventare qualcosa di totalmente contraddittorio rispetto alla sua essenza,

varcando il sottile confine fra immaginario e concreto, fra vagheggiamento e progetto, fra

astrazione e realtà?

Personalmente, ho voluto porre l’accento su un altro aspetto della questione, molto più

nascosto a un’analisi superficiale, ma proprio per questo da considerare alla stregua del

vero substrato dell’intero discorso.

Wilde, nella sua celebre sentenza, ha centrato perfettamente il punto.

Cosa importa se l’utopia per definizione incontra un attrito ineludibile all’interno del suo

processo di realizzazione, all’interno del suo anelito verso la concretezza? Il problema,

posto in questi termini, creerebbe un infinito circolo vizioso, le cui accuse, dall’una o

dall’altra parte, consisterebbero solamente in argomentazioni di tipo etimologico,

ricadendo all’interno della discussione sulla falsità, contraddittorietà e uso improprio del

linguaggio. L’utopia potrebbe anche rappresentare una meta forse irraggiungibile, ma non

è forse vero che una meta e la sua idealizzazione è il propulsore del viaggio? Non è quindi

l’utopia qualcosa di strettamente connesso al reale, il motore della vita e dell’attività

umana tout court? Ecco allora che il concetto preso in esame è tanto più concreto quanto

meno tangibile: una terra a cui la nave dell’umanità cerca continuamente di approdare è

uno stimolo senza il quale il viaggio stesso non avrebbe ragion d’essere.

L’utopia è fondamentale per l’esistenza dell’uomo e rimanendo nascosta ne ha permesso

l’avanzata inesorabile giorno dopo giorno. Essa è tale a tutti i livelli dell’operare terreno:

dalla quotidianità alle più alte attività intellettuali.

Il mio percorso vuole mettere in luce proprio questo: come la funzione dell’utopia sia

tutt’altro che non tangibile, proprio in virtù del fatto che ha consentito la produzione dei più

alti capolavori letterari (si pensi a Orwell che con il suo 1984 ha voluto indagare la

dimensione social-politica degli uomini, evidenziando il nesso indissolubile tra utopia e

realtà) e dell’importanza e dell’attenzione che negli ambiti più svariati è stata concessa a

questo tema. Il mio lavoro, infatti, oltre che presentare uno dei più alti ingegni della

letteratura del Novecento come esempio di utopia in termini distopici, spazia dalla filosofia,

in cui si presenta la visione di Ernst Bloch, che ha dedicato ben due opere (Il principio di

speranza e Lo spirito dell’utopia) a sottolineare la grandezza della funzione utopica

presentata proprio tra teoria e prassi, alle scienze, in cui si analizzano i brillanti e inattesi

risultati raggiunti da Kurt Gödel, il matematico che, con i suoi teoremi di incompletezza, ha

evidenziato come la matematica stessa sia in un certo senso utopia, poiché assiomatica, e

ha rivoluzionato la concezione scientifica di tale materia.

Questa presentazione vuole quindi dimostrare, avvalendosi di pareri autorevoli come

quello di Bloch e privilegiando una documentazione specifica e mirata a testi chiave come

la lettura critica Utopia e speranza nel comunismo. La prospettiva di Bloch di Stefano

Zecchi e quella integrale di 1984 di Orwell, come l’utopia intesa come funzione utopica sia

una “realtà” imprescindibile che, anzi, è da considerare proprio il vero e unico propulsore

dell’uomo e di ogni sua azione, intellettuale o concreta che sia.

Dall’utopia all’anti-utopia

Utopia e mito

“Utopia” deriva dal greco “ou topos” che significa “non luogo”, proprio ad indicare

l’impossibilità di collocare nel reale qualunque concetto utopico e rischiando quindi di

condannarlo a rimanere una pura chimera. Il termine utopia indica, nell’accezione comune,

una società i cui abitanti condividono una situazione ideale in tutti i campi della vita

sociale. Anche se i due termini potrebbero suggerire lo stesso concetto, l’utopia è da porre

in contrapposizione col mito, che invece allude ad una condizione di felicità. Rispetto al

mito, l’utopia, inverte il ragionamento: solleva il passato remoto della sua rilevanza, che

trasmette tutta al futuro. I miti sono narrazioni che scaturiscono da una particolare forma di

pensiero, il pensiero mitopoietico, che ha la funzione di creare il ricordo di un passato

leggendario, per legittimare teorie e dogmi che stabiliscono le condizioni razionali per

gestire soluzioni morali, o pratiche, o linee politiche, altrimenti insostenibili.

Altra differenza, mito e utopia si servono entrambi dell’immaginazione ma, l’utopia è fin

dall'origine una “finzione” e come tale trova il suo campo più fecondo proprio nella

letteratura. Un’utopia letteraria è appunto il resoconto scritto di una forma di pensiero che

riguarda società e costumi ideali che tendono a un’irrealizzabile perfezione.

Il genere utopico

Il genere utopico nasce da uno stato d’insoddisfazione per il presente, che induce a

sognare un futuro ideale. La formulazione del termine utopia fu operata dal filosofo

inglese, Thomas More (1478-1535), che lo coniò per denominare il luogo immaginario in

cui è ambientata la sua opera De optimo republicae statu deque nova insula Utopia

(1516). Il significato del termine, che deriva dal greco ou (non) topos (luogo), non-luogo,

indica, come già detto, uno stato ideale che non esiste ma che sarebbe opportuno

prendere a modello, in rapporto a una situazione irrazionale e caotica presente. Il tema

dell’utopia riscosse un grandissimo successo, al punto che dal 1516 quasi tutte le

generazioni descrissero la loro personale utopia.

Il genere distopico

La distopia è una proiezione letteraria di un futuro catastrofico, in cui i problemi del

presente sono portati al parossismo. Ad esempio, nella distopia totalitaristica, è presentata

una realtà politica e sociale di dittatura estrema, in cui il potere può agire sui cittadini

tramite repressioni e violenze evidenti, oppure deformare le menti con un regime occulto e

armi ancor più sottili. Utopia e distopia rappresentano le due faccie opposte di una stessa

medaglia. Infatti, proprio ostentando i suoi fallimenti nella distopia, l'utopia si rafforza:

tramite l'autocritica, l'ironia, il pessimismo, si allontana dal pericolo di una deriva

dogmatica, conservando intatta la sua forza.

In un'epoca in cui le alternative non sono più contemplate, l'assenza della possibilità di

scegliere, ha finito per eliminare le "capacità utopiche" dell’uomo. Eppure, nel rifiuto c’è

comunque un'alterità, e nell'alterità una speranza di utopia. È giusto dire, quindi, che alla

base della distopia c'è una scelta utopica. Utopia e distopia sono perciò due generi

letterari complementari, l’uno necessario al sostentamento e alla crescita dell’altro.

Analysis of the novel "1984" by George

Orwell

Introduction

Is 1984 by Orwell a politic novel? A sociological or anthropological one? Or is it just the

spontaneous attempt at shocking and horrifying the reader, showing him a dystopia not so

much improbable? Let’s try to contextualise this work in the dystopian genre. Among the

dystopian works, belonging to the production between the end of XIX century and the first

half of XX century, the novel 1984 by Orwell is considered the top of this genre. 1984 is the

last dystopia in the very way it is considered: after the works of Zamjatin and Huxley,

Orwell represents the most obvious and coherent conclusion. And this conclusion, which

embodies all the detachment and disillusionment of the life of the author and his works, is

distressing and hopeless.

In this way, the the title of the novel, the year of the publication of it (1948) and the setting

of the whole narration (London), are just some proofs that make Oceania of 1984 be the

description of the worst possible world.

The author and the dystopian genre

Eric Arthur Blair, better known by his pen name George Orwell, was an english author and

journalist. All his works show a great awareness of social injustice, an intense opposition to

totalitarianism and a sincere belif in democratic socialism.

His novel, 1984, is written in 1948 (exchanging the last two numbers, the author creates

the title of the work) and published in June 1949. It comes out after Second War World and

the totalitarian regimes, which marked XX century. Orwell was aware of the historical

situation of those years and so he owns a more complete and lucid vision of reality and the

hypothetical consequenses of a next generation, very different from the visions of the

previous authors of dystopian novels.

Orwell decides to set his novel in year 1984. This choise is very significant. Unlike other

dystopias, Orwell doesn’t set the narration in a very distant future, but just 35 years after

the publication. This detail reveals that the future, told in advance, is present into the

society of ‘50s of XX century yet. Making this, he warns that, if there didn’t have been any

changements, the terrible world described in the novel would have been reached soon.

Another important detail: the setting in time is the capitol city of Oceania, that is London. A

squalid, dirty and constantly bombed London. Orwell set his dystopia in the centre of

Europe, in the centre of the real world. This is another warning for the next generations:

even where there is democracy, in the centre of the western system, there could be the

seads of totalitarianism, of Thought Police, of Big Brother.

The reference to the real world is present in the whole novel. The references to the curent

days are constant and make so that the work is read and analysed from another point of

view: this is not only the result of the imagination of the author, but the result of a deep

analysis, a lucid critic of a whole system of values, which comes out to be a denounce and

an accuse to it.

As one can see, the novel of Orwell is very different from all the previous dystopian work.

The author leads an explicit critic and a direct refusal to the attitude of thinking about the

best possible world. Oceania is not only a representation of a dystopian reality or a

projection of it in the present days, but also a grotesque parody of the utopia itself,

considered a rational model or a ideal programm.

If we made a comparison between 1984 and the previous dystopian novels, we would find

so that the author denounces utopian classical works through his novel in a direct and

explicit way. He shows his judgment in two different way: first he contradicts the features of

ideal cities, describing Oceania as the direct opposite of the perfect worlds of the past;

second he exaggerates some peculiarities of the previous utopias and parodies them. Why

does Orwell want to do this? Why does he want to denunce utopian works of the past?

Because he considers utopia “tout court” an enemy and so he doesn’t distinguish one

utopian work from the other. The target is Utopia, an utopia which creates totalitarian

universes, which leads to the consolidation of homogeneity, of repetition, of orthodoxy.

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