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Sintesi

Introduzione L'Urlo della Patria - Tesina



Per la mia tesina di maturità ho scelto un tema a me molto caro: il senso di essere italiani.
Mentre stavo scrivendo, molte volte mi è stato chiesto il motivo per cui io lo stessi facendo, e sempre ero in difficoltà nel dare una risposta che non fosse banale.
Cominciai così a pormi delle domande anche io, nel tentativo di darmi una risposta che potesse soddisfarmi, ma ogni volta che mi chiedevo il perché amare la patria, rimanevo in silenzio, assorto nei miei pensieri.
Un giorno però ebbi un lampo di genio e, paradossalmente, la risposta ad un tema così complicato e articolato era nascosta nella risposta più banale possibile: amo la patria perché è la MIA Patria; amo la Patria perché e la terra dove sono nato, dove ho mosso i miei primi passi, dove sono cresciuto, dove i miei genitori sono nati; dove i miei nonni hanno combattuto due guerre mondiali; amo l’ Italia perché è la terra dove fioriscono i limoni, “ma questa è una immagine che va bene per i classici; per i contemporanei è da queste parti che hanno inventato la pizza, celebrato la “dolce vita” e praticato, come in nessun altro luogo, il sequestro di persona”!
Perché alla fine l’Italia è un paese come tanti altri, con molti aspetti positivi, e alcuni negativi, ma è un paese che può vantare figure di statura mondiale; la quinta o la sesta potenza industriale; che oltre alla violenza della malavita conosce anche la generosità; che lavora, costruisce, che ha fantasia, che sa inventare e che ha nel suo DNA quel pizzico di imprevedibilità che fra tanti popoli ci rende un poco diversi.
Insomma, cosa mi porta ad amare la mia Patria, l’Italia? Perché ogni angolo, ogni strada, ogni volto che incontro lungo i marciapiedi, ogni costruzione, bella o brutta che sia, profuma di italianità, che se non è il profumo più buono al mondo, è molto vicino ad esserlo.


Collegamenti


L'Urlo della Patria - Tesina




Italiano:

Edmondo De Amicis (romanzo Cuore)



Latino:

Cicerone



Storia:

disfatta di Caporetto



Arte:

Francesco Hayez

Estratto del documento

“FARE” GLI ITALIANI

AL TEMPO DEGLI ITALIANI

“Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre,

l'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre,

l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste,

viva l'Italia, l'Italia che resiste.”

Francesco de Gregori

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INDICE

Premessa pagina 7

Perché amare la patria?

Introduzione pagina 8

Il Milite ignoto: un monito perenne ma anche un messaggio di pace

Sezione I – Latino pagina 10

"Amemus Patria": il contributo di Cicerone

Sezione II – Italiano pagina 12

Il Cuore degli italiani

Sezione III – Arte pagina 15

Hayez: "Italiano della città di Venezia"

Sezione IV – Storia pagina 17

Capo - Retto

Conclusione pagina 19

Bibliografia/ Sitografia pagina 23

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PREMESSA

<< L'Eldorado è sulla terra. Con l'Italia si vive come con

un'amante, oggi in furibondo litigio, domani in adorazione; con la

Germania invece come con una donna di casa, senza grosse

arrabbiature ma senza grande amore. >>

Arthur Schopenhauer

Lettera da Firenze - 29 ottobre 1822

Nelle pagine che seguono tratterò un tema a me molto caro: il senso di essere italiani.

Mentre stavo scrivendo, molte volte mi è stato chiesto il motivo per cui io lo stessi facendo,

e sempre ero in difficoltà nel dare una risposta che non fosse banale.

Cominciai così a pormi delle domande anche io, nel tentativo di darmi una risposta che

potesse soddisfarmi, ma ogni volta che mi chiedevo il perché amare la patria, rimanevo in

silenzio, assorto nei miei pensieri.

Un giorno però ebbi un lampo di genio e, paradossalmente, la risposta ad un tema così

complicato e articolato era nascosta nella risposta più banale possibile: amo la patria

perché è la MIA Patria; amo la Patria perché e la terra dove sono nato, dove ho mosso i

miei primi passi, dove sono cresciuto, dove i miei genitori sono nati; dove i miei nonni

hanno combattuto due guerre mondiali; amo l’ Italia perché è la terra dove fioriscono i

limoni, “ma questa è una immagine che va bene per i classici; per i contemporanei è da queste parti

che hanno inventato la pizza, celebrato la “dolce vita” e praticato, come in nessun altro luogo, il

sequestro di persona” 1

Perché alla fine l’Italia è un paese come tanti altri, con molti aspetti positivi, e alcuni

negativi, ma è un paese che può vantare figure di statura mondiale; la quinta o la sesta

potenza industriale; che oltre alla violenza della malavita conosce anche la generosità; che

lavora, costruisce, che ha fantasia, che sa inventare e che ha nel suo DNA quel pizzico di

imprevedibilità che fra tanti popoli ci rende un poco diversi.

Insomma, cosa mi porta ad amare la mia Patria, l’Italia? Perché ogni angolo, ogni strada,

ogni volto che incontro lungo i marciapiedi, ogni costruzione, bella o brutta che sia,

profuma di italianità, che se non è il profumo più buono al mondo, è molto vicino ad

esserlo.

Enzo Biagi, “Cara Italia”, pagina 5

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MILITI IGNOTI

Un monito perenne, ma anche un messaggio di pace

“ Tutto sopportò e vinse il nostro Soldato. Dall’ingiuria gratuita dei

politicanti e dei giornalisti che […] cominciarono a meravigliarsi del

suo valore […], alla calunnia feroce diramata per il mondo a scarico di

una terribile responsabilità. Tutto sopportò e tutto vinse, da solo,

nonostante. Perciò al Soldato bisogna conferire il sommo onore, quello

cui nessuno dei suoi condottieri può aspirare neppure nei suoi più folli

sogni di ambizione. Nel Pantheon deve trovare la sua tomba alla stessa

altezza dei Re e del Genio”

Giulio Dohet

La storia del Milite Ignoto ha inizio nel 1920, quando il colonnello Giulio Dohet ebbe

l’idea di istituire un “altare” intitolato ai caduti della prima guerra mondiale; passerà un

anno, prima che la salma del “soldato senza nome”, sconosciuto a tutti, comincerà il suo

viaggio verso la capitale.

Il complesso celebrativo di quei giorni e la cerimonia del trasporto della salma a Roma

risultò, a detta dei cronisti dell’epoca, la più grande manifestazione patriottica corale che

l’Italia unitaria abbia mai visto, e che mai vedrà per tutto il resto del secolo, potremmo

aggiungere oggi. La salma viaggerà su di un treno, che procederà lentamente lungo 800

km e tra due ali di gente. E’ uno spettacolo eccezionale e spontaneo, espresso da persone

di ogni classe o cento sociale che partecipa a proprio modo, in ginocchio, in silenzio, con

l’espressione del dolore, sventolando vessilli e bandiere italiane, oppure lanciando fiori,

montagne di fiori. Il treno si ferma in quasi tutte le stazioni che incontra, e la scena è

sempre la stessa: tutti vogliono salire sul vagone per toccare il feretro, perché molti hanno

avuto in casa figli o mariti che non sono tornati; c’è in tutti il desiderio di stare vicini, di

sentirsi parte di una sola e grande nazione. Sul quotidiano “La Tribuna” del V novembre

si leggerà: “Oseremo dire che, per la prima volta, dopo parecchi anni, in quelle sante reliquie, ma

soprattutto in quella massa organica di uomini, in quei mille e mille vessilli di una sola fede, il

popolo ha sentito vivere una cosa della quale s’era quasi scordato, o s’era ricordato solo per irriderla:

ha riconosciuto lo stato”.

Il IV novembre ci sarà l’epilogo di questa incredibile celebrazione, in una Roma

traboccante di gente e alle presenza del Re e di molti veterani: il feretro percorre i 67

gradini del Vittoriano, e raggiunge il luogo della sua sepoltura, luogo che da quel

momento prenderà il nome di “Altare della Patria”. In questo modo, quando l’enorme

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cancellata comincia ad abbassarsi come un sipario, e si comincia a percorre quella lunga

scalinata, la tomba sarà subito visibile.

Da quella mattina grigia di novembre sono passati 94 anni e la tomba del soldato senza

nome, vegliata giorno e notte da altri ragazzi in divisa, ha visto scorrere tutta la storia

della nazione; ha visto adunate oceaniche ,e poi una seconda guerra, che ha causato altri

lutti e feriti, anche al suo “tempio di marmo”; ha visto prima occupanti e poi liberatori;

quel ragazzo, forse siciliano o forse piemontese, forse cattolico o forse ebreo, forse liberale

o forse socialista, appartiene proprio a tutti.

Un figlio d’Italia riposa nella Capitale del suo paese; egli è il simbolo del sacrificio

indelebile di un intero popolo e della sua acquistata unità. Un monito perenne, ma anche,

e soprattutto, un messaggio di pace.

Il Vittoriano, la "casa" del milite ignoto 7

“AMEMUS PATRIAM” <<Amor patriae nostra lex>>

Locuzione latina

L’amore per la patria non è sicuramente una scoperta del nostro secolo, o del secolo

passato; tale concetto ha origini antichissime, addirittura risalenti all’uomo primitivo; egli,

essendo nomade, non riconosceva dietro di sé una patria, ma tuttavia provava , come è

naturale, un attaccamento alla propria famiglia e alla propria tribù. Con la scoperta

dell’agricoltura, il concetto si ampliò e l’uomo cominciò, non dovendosi più muovere, ad

amare il terreno che egli coltivava.

L’ “amor di patria” ,sempre vicino al progresso continuo ed impellente dell’uomo, fu alla

base di una società assai sviluppata come quella Romana. L’amore verso la patria era

previsto perfino nel “mos maiorum”: qualsiasi uomo romano che avrebbe voluto definirsi

tale, doveva, prima di tutto, amara la terra che gli aveva dato i Natali; questo aspetto trovò

una consacrazione con Marco Tullio Cicerone: eclettico uomo politico romano, nato ad

Arpino nel 106 a.C, Cicerone ha sempre avuto a cuore, fin dalle prime opere della sua

lunga carriera, il tema della patria, intesa non come una mera cornice della vita dell’uomo

romano, ma come colonna portante, come caposaldo, come ancora di salvezza, nella quale

l’uomo deve trovare i propri punti di riferimento e appigliarsi ad essi, evitando così il

vizio. Questo” amore per la patria”, che traspariva da ogni parola dell’arpinate, valse a

Cicerone il giudizio positivo di Augusto, che, trovando un proprio nipote leggere

un’opera dello scrittore, dopo averlo sfogliato anch’egli, dirà: “Era un saggio, ragazzo mio,

un saggio, e amava la patria”. 2

Un esempio di questa “dottrina” ciceroniana, si trova nell’orazione Pro Sestio , dove lo

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scrittore arpinate afferma:

Quare imitemur nostros Brutos, Camillos, Fabricios, Scipiones, innumerabiles

alios, qui hanc rem publicam stabilverunt; amemus patriam, pareamus senatui,

consulamus bonis, praesentes fructus neglegamus, posteritatis gloriae

serviamus. Id esse optimum putemus quod erit rectissimum; speremus quae

volumus, sed quod acciderit feramus; cogitemus deinde corpus virorum

fortium magnorumque hominum esse mortale, animi vero et virtutis gloriam

sempiternam.

SOFOCLE, “Vite parallele”, Cicerone, 49,5

2 CICERONE, “Pro Sestio”, paragrafo 68

3 8

Per codesta motivazione imitiamo i nostri Bruto, Camillo, Fabrizio,

Scipione, e parecchi altri, che costruirono questo stato; adoriamo la

patria, seguiamo il senato, ascoltiamo i buoni, dispregiamo i frutti

presenti e ci dedichiamo alla gloria dei posteri, consideriamo che sia

migliore ciò che sarà molto sincero; speriamo ciò che desideriamo,però

tolleriamo ciò che succederà; riflettiamo alla fine che il corpo di

qualsiasi uomo più vigoroso e grande è mortale e che la fama dello

spirito e del valore militare è immortale.

Secondo Cicerone, sono i grandi del passato, gli avi, gli antenati, a costituire il modello di

vita per l’uomo romano; in essi il cives può trovare le risposte di cui ha bisogno, può

trovare i punti di riferimento in una res publica ormai priva di punti di riferimento; ma

l’uomo non deve soltanto imitare questi modelli che il passato ha consegnato ai posteri;

l’uomo deve essere bensì come “un nano sulle spalle dei giganti”, deve cercare di

costituire anche egli un modello da seguire, e questo è possibile soltanto amando la patria,

la propria terra, il senato, garante della buona legge, e i “buoni, i giusti, ovvero coloro che

hanno fatto dell’onestà la loro virtù principale: questo è il ruolo del cittadino, questo è il

ruolo dell’uomo romano, in un’epoca, quell

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