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scienze della terra. l'umorismo dell'universo e la rivoluzione copernicana, la Terra;
latino: l'Apokolokyntosis di Seneca e il Satiyricon di Petronio
filosofia: "il riso" di Bergson e gli atti mancati di Freud
fisica: la tragedia di un uomo: Nikol Tesla
francese: Ionesco e La Leçon
storia: la figura di Hitler
inglese: Dickens
L’umorismo tragico
2 luglio 2013 L’umorismo
dell’universo
La Terra
Indice
- Abstract____________________________________________________ 4
- “Il grande dittatore”__________________________________________ 7
- Chi era Adolf Hitler? _____________________________________ 9
- Pirandello e l’umorismo del suo teatro____________________________
13
- L’‹‹uomorismo›› di Dickens____________________________________16
- La filosofia del riso
- Bergson e “Le rire”______________________________________18
- Freud: gli atti mancati e il motto di
spirito____________________ 20
- Ionesco e l’incomunicabilità. La Leçon____________________________
23
- La satira romana_____________________________________________ 25
- L’Apokolokyntosis di Seneca
- Il Satyricon di Petronio
- La tragedia di un uomo: Nikola Tesla_____________________________
27
- L’elettromagnetismo_____________________________________ 29
Pag.
3
L’umorismo tragico
2 luglio 2013
- L’umorismo dell’universo
- La teoria copernicana e le leggi di
Keplero____________________ 32
- Il pianata Terra_________________________________________ 34
- Sitografia e Bibliografia________________________________________
35
Pag.
4
L’umorismo tragico
2 luglio 2013
L’idea di trattare “l’umorismo” mi è nata dalle parole di un ragazzo che tra una
capriola e un sorriso è diventato un grande uomo:
“L’umorismo è una sorta di custode gentile e benevolo della mente che ci
impedisce di essere travolti dalla gravità apparente della vita. ”
L’autore in questione è il comico cinematografico Charlie Chaplin. Uno straordinario
personaggio che, spesso nascosto dietro al povero piccolo-borghese Charlot, riusciva a
piangere davanti a un fiore e a scrollare le spalle davanti a una catastrofe generando
dal silenzio della pellicola dei capolavori in bianco e nero che ancora oggi fanno
sorridere e piangere allo stesso tempo. Le comiche chapliniane poggiano solitamente
su un argomento tragico, nel quale la comicità prende rapidamente il sopravvento su
di esso e il film che meglio rispecchia questa caratteristica è “Il grande dittatore”.
Quando nel settembre del 1939 Charlie Chaplin cominciò a girare il primo film parlato
della sua carriera, numerosi furono i tentativi di scoraggiare il regista di Hollywood dal
creare la sceneggiatura di una commedia satirica che prendeva di mira in maniera
tanto esplicita la figura di Adolf Hitler e il regime totalitario della Germania nazista.
In maniera simile, l’esiliato drammaturgo, poeta e regista tedesco Bertolt Brecht
scriverà e poi rappresenterà nel 1941 “La resistibile ascesa di Arturo Ui” allegoria
satirica della figura e del potere del Fuhrer.
Nella sua avversione all’eccessiva serietà dell’uomo dirà:
“Noi tedeschi diamo enorme importanza alla nostra serietà; siamo convinti
che il contrario sia leggerezza e che la leggerezza debba venire condannata.
Secondo noi l’umorismo è un sistema cattivo – e comodo – per accostarsi alle
cose e penetrarle. Umorismo è senso delle distanze. Noi abbiamo deciso che
l’umorismo appartiene all’inferno, mentre non dovevamo dubitare che esso
è signore dei cieli”
Trattando autori che vivevano di cinema e teatro, sono rimasta affascinata dalla timida
e introversa figura di Eugene Ionesco, drammaturgo francese di origini rumene che
metterà in scena nel 1951 “La Leçon”, ‹‹dramma comico›› basato sulla tragica
condizione di incomunicabilità del linguaggio, condotto tramite la rappresentazione di
ciò che, per eccellenza, dovrebbe essere una situazione comunicativa deputata a
trasmettere il massimo di informazione - la lezione di un maestro a un allievo, appunto
- e invece rielaborata come valvola di scarico di oscure pulsioni distruttive.
Osservando il modo in cui la comicità riesce a trasfigurare la “tragicità” di un evento, è
nato in me il desiderio di farne argomento di questa breve trattazione.
Analizzare la realtà con ironia è una caratteristica comune a molti autori di epoche e
luoghi diversi che, utilizzando l’arma del sorriso, inducevano alla riflessione chi li
ascoltava.
Anche nell’antica Roma non mancarono figure d questo tipo. Uomini di storia, di
politica, veri e propri cives dell’impero romano, trovavano nella satira una valvola di
sfogo per problemi spesso legati alla vita personale ma che inquadravano la
decadenza e la rottura col sistema in cui erano inseriti.
Non è forse il caso di Seneca?
Esiliato per l’invidia di una donna capricciosa ma, ahimè, moglie dell’imperatore
Claudio, Seneca fu costretto a lasciare la sua città. E probabilmente fu proprio questo
episodio a spingerlo a sfogare la sua ira contro Claudio in una satira, l’Apokolokyntosis
(letteralmente “la deificazione di una zuccone, o di una zucca”), ricorrendo all’arma
della parodia per raccontare la vicenda post mortem di un imperatore tirannico che,
chiedendo agli dèi dell’Olimpo di essere divinizzato, andò incontro a una dannazione
che lo sprofondò definitivamente nel ridicolo. Insomma, alternando versi e prosa,
Seneca mise a nudo la condizione vissuta a Roma tra il 41 e il 54 d.C.. Con l’avvento di
Nerone la situazione non migliorò. Anzi, l’opera di Petronio sarà la chiara descrizione
della decadenza a cui l’impero andava incontro. Il Satyricon è uno straordinario
Pag.
5
L’umorismo tragico
2 luglio 2013
reportage, in forma di satira, sulla Roma neroniana, sul tramonto irreversibile di un
ceto sociale quale l’aristocrazia.
Il romanzo, infatti, attraverso il filtro della parodia, deforma la realtà mediante un
“comico” corrosivo che si esemplifica attraverso il grottesco e il paradosso.
Andando avanti nella storia, non mancheranno autori che riusciranno a denunciare col
sorriso i disagi e le difficoltà della loro società.
Con un salto di 1800 anni ci catapultiamo in Inghilterra, al tempo della Regina Vittoria,
nello studio di un grande romanziere noto col nome di Charles Dickens. Iniziò a
scrivere per necessità economiche ma, col passare del tempo, il suo umorismo
divenne molto più sottile ed egli imparò a condire col sapore dell’ironia le sue opere
successive, opere nelle quali denunciava apertamente le condizioni miserevoli di gran
parte dei suoi concittadini inglesi, condannando l’avidità e il cinismo che sembravano
emergere sempre più nella nuova società disegnata dalla rivoluzione industriale.
Di lì a un secolo, il riso diventerà l’oggetto di studio di illustri menti tra filosofi e
scrittori di varie parti del globo.
Bergson nel 1900 pubblicherà “Le rire. Saggio sul significato del comico” in cui
analizzerà il fenomeno, strettamente legato al genere umano, dell’umorismo. Nel 1905
sarà invece il turno di Freud con “Il motto di spirito e la relazione con l’inconscio” ad
aprire una nuova parentesi sull’argomento; secondo lo psicanalista, il riso avrebbe la
funzione di scatenare opportunamente forme di energia psichica superflua.
Ma l’analisi di Bergson resta, nonostante tutto, la più penetrante e significativa, perché
ha interpretato il riso come un fenomeno essenzialmente sociale. Secondo Bergson, la
società punisce con il riso, che nasconde un qualcosa di malizioso, ogni inadattabilità o
difetto (deformità, malattie, infermità, follia). E il filosofo continua dicendo che ridiamo
soprattutto quando qualcuno fa qualcosa involontariamente, quando assomiglia ad un
automa o quando sembra che sogni ad occhi aperti.
Il maggior nemico del riso comunque è, come per Pirandello, l´emozione: bisogna
“anestetizzare il cuore” per poter ridere.
Partendo da quest’assunto, proprio Pirandello farà dell’umorismo non solo una poetica
ma la base concreta della storia del suo teatro. Le sue opere letterarie trattano in
embrione situazioni, tragedie interiori e la trappola dell’‹‹enorme pupazzata›› della
società per poi venir rappresentate sul palcoscenico dove gli intrecci delle vicende
meglio possono essere articolati e approfonditi.
Caro a Pirandello è il tema della crisi dell’identità individuale; ogni ‹‹forma››, che la
società e noi stessi ci imponiamo, è una costruzione fittizia, una ‹‹maschera››. Sotto
questa maschera non c’è “nessuno”, o meglio, vi è un fluire indistinto e incoerente di
stati in perenne trasformazione, per cui un istante più tardi non siamo più quelli che
eravamo prima.
Il terzo romanzo dell’autore, “Il fu Mattia Pascal”, è folto di motivi del genere. La realtà
viene grottescamente distorta ma, al di là del riso che questo suscita, vi è un’autentica
sofferenza del protagonista, sia quando è imprigionato nella “trappola” della vita
sociale, sia quando ne è escluso e ne prova una disperata nostalgia. Scatta, dunque, il
‹‹sentimento del contrario››: tragico e comico, serio e ridicolo nella vicenda di Mattia
Pascal sono indissolubilmente congiunti.
Amaramente, Pirandello ci dice che non possiamo vivere senza la nostra maschera.
Questo concetto pirandelliano lo si vede molto bene in vari episodi del romanzo ma, in
particolare, all’inizio, quando Pascal afferma, “Maledetto sia Copernico!” L’uomo
infatti, non più al centro dell’universo perché Copernico gli ha svelato la sua
piccolezza e fragilità, è entrato in crisi perdendo ogni certezza.
Ma cosa scoprì in realtà Copernico?
Notò delle imprecisioni nelle teorie precedenti e creò un nuovo modello dei moti
dell’universo. Dal punto di vista puramente geometrico, il nuovo modello
dell’universo, proposto da Copernico, è “eliocentrico”: intorno al Sole, immobile,
ruotano i nove pianeti e i loro satelliti. Tutto attorno l’universo è ancora “chiuso” dalla
sfera delle stelle fisse. Pag.
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L’umorismo tragico
2 luglio 2013
Quando gli uomini hanno capito “di essere atomi infinitesimali” rispetto all’universo,
hanno perso l’illusione di essere protagonisti centrali di quell’universo che ruotava loro
attorno.
Ma l’umorismo del cosmo non sempre, però, riesce a compiere la sua rivoluzione
contro i vecchi sistemi, a sovvertire una credenza che è parte della trama dell’intera
società.
Non è da tutti potersi paragonare a Copernico, eppure, tra le varie ricerche che ho
compiuto, è emersa la personalità di un giovane ingegnere slavo che, con le sue idee
innovatrici, avrebbe potuto cambiare il mondo come lo conosciamo oggi ed eguagliare
così l’astronomo polacco. Il suo nome è Nikola Tesla.
Molti lo definirono un pazzo, altri un luminare, altri ancora “l’uomo che ha inventato il
XX secolo”, ma ciò che resta del suo nome sui libri è il contributo che le sue scoperte
diedero all’elettromagnetismo. Il suo declino iniziò con la battaglia delle correnti che
vedevano schierate la corrente continua di Thomas Edison contro la sua corrente
alternata. L’umorismo iniziale dei manifesti, le battute e le frecciatine verso Tesla e ciò
che aveva inventato si erano trasformate nell’inizio della tragedia che di lì a poco
colpirà il giovane inventore. I finanziamenti ai suoi progetti sparirono e in un batter di
ciglia; così come era arrivato, il nome di Tesla venne dimenticato.
E, quindi, in conclusione l’umorismo non è solo un “custode gentile”, come lo aveva
definito Chaplin, ma può diventare lo strumento per ledere le persone, se usato sulla
mala informazione della massa.
La rivoluzione che avrebbe potuto cambiare le sorti dell’umanità, quindi, non avvenne
e le risate che un tempo causava la figura di Tesla, un pazzo visionario che ascoltava i
messaggi dell’universo, si sono trasformate, col passare degli anni, in amara
consapevolezza della genialità di un uomo che avrebbe potuto creare un nuovo filo di
speranza con cui tessere la vita dell’umanità.
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L’umorismo tragico
2 luglio 2013
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L’umorismo tragico
2 luglio 2013
«Un barbiere ebreo che in seguito a ferite riportate
nella guerra mondiale del 1915-18 aveva perso la
memoria, dopo molti anni di degenza in un ospedale
ritorna nella sua città in Tomania dove riapre il suo
negozio. Egli capita però in un periodo in cui il dittatore