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Storia: Giovanni Giolitti
Psicologia: la senescenza; il disagio nell'età senile; anziani e società; il pensionamento; essere nonni; la sessualità nella terza età; i problemi psicologici; la teoria di Erikson
Pedagogia: la psicoanalisi; Sigmund Freud (il mistero oltre la ragione)
Educazione fisica: la senescenza e il fitness; l'allenamento della forza; l'aspetto psicologico; i tre periodi di un ciclo di allenamento

Diritto: il trattamento pensionistico: l'assegno di invalidità; le pensioni di inabilità; la pensione ai superstiti
Inglese: Oscar Wilde (The picture of Dorian Gray)
Igiene e puericultura: le teorie biologiche dell'invecchiamento
Economia domestica e tecnica organizzativa: il fabbisogno nutrizionale dell'anziano
1. PREMESSA
All’interno del settore dei servizi sociali il modello psicoanalitico dimostra una sua
validità soprattutto come capace di interpretare numerosi fenomeni relativi a se stessi, agli
all’organizzazione a cui si partecipa.
utenti di un servizio,
Una prima attenzione è rivolta a come, spesso, nelle relazioni umane intervengono
dinamiche inconsce; in questo senso colui che opera all’interno dei servizi sociali deve
porre molta attenzione alle proprie dinamiche interne e valutare alcuni comportamenti che
sono messi in atto in modo inconsapevole. Ci si riferisce in particolare a tutti quei
comportamenti che possono essere l’espressione di desideri inconsci di potenza, di
seduzione e che orientano il comportamento; alla proiezione sugli altri di problemi o
desideri che sono propri e che impediscono di interpretare correttamente il comportamento
altrui, al tentativo inconscio di riproporre situazioni in cui vi sono stati conflitti non risolti. In
temi rinviano al concetto di formazione dell’operatore, il quale
generale, tutti questi
ponendosi in un rapporto interpersonale, assume il ruolo di colui che si pone in una
dimensione di educazione o di formazione in senso lato.
La psicoanalisi ha identificato uno sviluppo della personalità che si fonda sulla progressiva
padronanza e controllo delle pulsioni, sul passaggio da forme di controllo primitive dell’Io
sulla realtà dell’Es, alla formazione di un Io che riesce ad integrare pulsioni e
La conoscenza delle principali dinamiche emotive, l’enfasi
contropulsioni di origine sociale.
sulle prime esperienze emotive affettive vissute nell’infanzia, l’importanza della dinamica
del desiderio, l’uso dei meccanismi di difesa, ha imposto una nuova considerazione per
alcuni fenomeni della vita infantile e adulta.
L’intera politica assistenziale che lo Stato ha attuato in questi ultimi anni nei riguardi dei
cittadini e, in particolare, di quelli in età geriatrica deve necessariamente considerarsi in
dall’utopistico convincimento di poter garantire
una fase di revisione critica. Nata
l’assistenza globale a tutti e lungo tutto l’arco della vita (dalla culla alla tomba), tale politica
è costretta oggi a riconoscere il proprio superamento, se non addirittura il completo
agli enormi problemi economici ed agli effetti “perversi” ottenuti, tra
fallimento, di fronte
l’altro, con l’esclusione prematura di numerose leve di cittadini anziani, socialmente validi,
dalla logica della produttività.
Il superamento di tale politica sembra finalmente costituire al presente il traguardo cui
tendono gli studiosi di varia estrazione, gli operatori sociali e sanitari, i programmatori e gli
esperti di pubblica amministrazione. È risaputo d’altra parte che è l’assistenza dell’anziano
IV
quella che impegna maggiormente le strutture della collettività ed incide con un peso
sempre maggiore sui bilanci degli enti pubblici. La terza età infatti è in continua estensione
demografica e va occupando uno spazio sempre più ampio nelle società avanzate per la
dell’esistenza e per il precoce e forzato disimpegno dalle attività
prolungata durata
lavorative. Non è concepibile quindi, di fronte a problemi di tali dimensioni, un programma
che preveda soltanto interventi sanitari e medico-specialistici, ma si impongono piuttosto,
e con urgenza, operazioni di tipo educazionale che permettano di aprire strade nuove e di
assumere orientamenti inediti di “taglio” psicopedagogico nel quadro di un progetto di
formazione permanente dell’uomo. Il trattamento sanitario o quello semplicemente
assistenziale sono necessari, naturalmente, ma non possono bastare per affrontare
situazioni ormai consolidate, quali spesso si trovano, di grave alienazione secondaria alla
solitudine ed all’inattività, di estrema disumanizzazione e di apartheid.
che è la pedagogia della terza età e si colloca nell’ambito dell’educazione
La geragogia,
dell’adulto, attende oggi ancora una completa sistemazione metodologica che le consenta
di inserire proficuamente l’anziano, ma soprattutto chi si accinge a diventarlo, in attività di
tipo educazionale e formativo, grazie alle quali l’adulto presenile possa imparare a vivere
la sua vita in un modo diverso da quello ereditato, con prospettive inedite ed una nuova
creatività. Le difficoltà ad accettare la vecchiaia sono in gran parte la conseguenza di un
procedimento educativo carente e mistificato, non solo dell’anziano preso come individuo
ma dell’intera società in cui viviamo.
Ogni programma geragogico, infatti, suscita spesso obiezioni che, ad un esame
superficiale, possono sembrare anche fondate e, in un certo senso, giustificabili.
A che serve la geragogia e quale convenienza sociale può derivare da un programma di
interventi così impegnativi e costosi rivolti ad individui che stanno percorrendo l’ultimo
tratto del loro arco biologico? Se la nostra società fosse migliore in senso etico e culturale,
simili interrogativi non verrebbero neppure posti perché apparirebbero subito evidenti a
tutti i notevoli vantaggi, anche economici, che un programma educazionale rivolto agli
adulti è in grado si assicurare. Tuttavia questa scarsa sensibilità da parte della compagine
sociale non rappresenta il più grave dei problemi: del resto la geragogia, mette nel
novero dei suoi programmi anche quello di educare la società, oltre che l’anziano,
combattendo alle radici quegli atteggiamenti ideologici, nei confronti dei suoi
membri cosiddetti non produttivi, che stanno alla base dei più comuni e falsi
pregiudizi nei riguardi della vecchiaia. V
1.1 FOLLIA
Il termine follia deriva dal latino folle, di origine onomatopeica, significava vuoto o
mantice. Nel corso dei millenni è profondamente variato sia il concetto di follia sia la sua
interpretazione.
La follia viene identificata come una mancanza di adattamento che il malato mostra nei
confronti dell'ambiente, tenendo ben presente che la definizione della follia è influenzata
dal momento storico, dalla cultura, dalle convenzioni, quindi è possibile considerare folle
qualcosa o qualcuno che prima era normale, e viceversa.
La follia può manifestarsi come violazione delle norme sociali, compresa la possibilità di
diventare un pericolo per se stessi e gli altri, anche se non tutti gli atti sono considerati
follia. Nell'uso moderno follia è più comunemente usato come termine informale che
denota instabilità mentale, o nel contesto più ristretto giuridico dell'instabilità mentale.
Nella professione medica il termine è ora evitato, in favore di diagnosi più specifiche di
malattie mentali. La branca della medicina che si occupa delle malattie mentali è la
psichiatria, mentre lo studio di queste in termini generali è argomento della psicopatologia.
Le cause possono essere molteplici e di diversa natura: una causa biologica legata al
codice genetico; una psicologica dovuta alle relazioni riguardanti il primo anno di vita, che
incidono nella formazione della personalità dell'individuo; una sociale, in funzione alle
relazioni interpersonali con il mondo circostante, possibili cause di un problematico
adattamento ambientale.
La "follia" in psicoanalisi potrebbe essere definita come una sovrapposizione della parte
istintuale su quella razionale.
Secondo Sigmund Freud il comportamento ordinario non è altro che il risultato di un
continuo processo dialettico tra la parte più selvaggia e disorganizzata del cervello, l'Es, e
quella più pesata e razionale, il Super-io. Nel momento in cui una delle due parti prevale in
maniera eccessiva sull'altra il comportamento può apparire irrazionale e privo di logica.
Quando l'adattamento non avviene, sorgono nell'individuo i sistemi di disadattamento,
ovverosia meccanismi che tendono ad escludere il soggetto dalla società.
Tra i più diffusi vi è la scissione, ovvero l'interpretazione alterata della realtà per uscire
fuori dal mondo (schizofrenia); la fuga come distacco graduale dal mondo, dagli affetti,
dalle relazioni e dagli interessi sociali (depressione); le ossessioni, i ritualismi e la
maniacalità del potere. VI
Nel mondo classico la follia era imprescindibilmente legata alla sfera sacra: il folle
rappresentava la voce del divino, quindi da ascoltare per interpretarla.
Nel Medioevo, invece, il folle diventò il rappresentante del demonio, perciò bisognava
liberarlo dal male, in qualche modo esorcizzarlo. Si diffuse la dicotomia spirito-corpo che,
nel caso di malattia mentale, impose come primo atto l'intervento riparatorio sul corpo
guasto, e proprio per questo motivo incapace di far esprimere lo spirito, e nel caso di
insuccesso l'eliminazione fisica del folle.
Un'interpretazione diametralmente opposta si ebbe nel Rinascimento, basti pensare
all'Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam; in questa epoca il folle venne considerato
una persona diversa, sia per i valori sia per la sua filosofia di vita, e quindi andava
rispettato, lasciato libero. Questa corrente di pensiero getterà le basi per la moderna
fenomenologia che influenzerà la psichiatria trasformandola in una disciplina di incontro
con l'altro (il folle), per vivere insieme con il malato e comprenderlo.
Se nel Medioevo i folli rischiavano il rogo, ancora nella metà del Settecento erano detenuti
nelle carceri, poiché mancavano le strutture sanitarie specifiche; proprio in questo periodo,
in Francia, in Germania e in Inghilterra si mise in moto un processo lento che consentirà
entro una cinquantina di anni, grazie alla promulgazione delle prime leggi apposite, di
consegnare i folli ai familiari, o in caso di mancanza, anche inserirli negli ospedali oppure
nei primi istituti specializzati nascenti in quell'epoca.
In tempi più recenti, dall'Ottocento in poi, emerse la visione, influenzata dal Positivismo,
del folle come "macchina rotta", ovverosia lesionata nel cervello.
Nel Novecento Freud con la intuizione della guarigione perseguibile tramite una ricerca
interiore ed un rapporto più umano con il terapeuta, con tutta la architettura della
psicoanalisi nel suo complesso, e Jung, con la sua indagine dei contenuti simbolici degli
elementi della follia e l'introduzione degli archetipi per definirla con più chiarezza,
mutarono nuovamente la storia del folle e del significato della follia.
Note
Vittorino Andreoli, "Istruzioni per essere normali", ed. Rizzoli, Milano 1999 (pag. 11, 18,
voce "La follia nella storia") VII
DELL’AMBIGUITÀ.
1.2 IL FASCINO DISCRETO
Ambiguo è "quello che può venire inteso in vari modi o prestarsi a diverse
interpretazioni, dando luogo di conseguenza a dubbi, incertezze o confusione". In genere
l’ambiguità viene definita dal punto di vista dell’osservatore. Un soggetto è ambiguo
quando può venir compreso in vari modi e il suo comportamento può dare adito a "diverse
interpretazioni, generando di conseguenza dubbi, incertezze o confusione". Ma per il
soggetto che manifesta ambiguità non c’è dubbio, né incertezza, né confusione.
Il soggetto ambiguo, per sua natura resta contraddittorio, sfuggente e indefinito per
l’osservatore, sia nei suoi comportamenti che nelle sue comunicazioni, sia per quanto
attiene le sue motivazioni. E’ proprio questo sfuggire alla possibilità di circoscrivere un
soggetto ambiguo facendo riferimento ai criteri definitori dei disturbi di personalità oggi
riconosciuti, a portare a considerare proprio l’ambiguità il tratto caratteristico di una
tipologia di personalità.
Esaminando l’ambiguità dal punto di vista psicologico, se ne possono distinguere due tipi.
Il primo può essere considerato “normale”: è infatti semplicemente uno stile cinico che
nasce dalla necessità di mantenere un potere (politico o economico, di leadership…). Il
secondo, al contrario, appare meno comprensibile, talvolta incongruo rispetto ad un
contesto, perché nasce dalla necessità soggettiva, per chi lo attua, di difendersi dalla
percezione di una mancanza di potere legata a qualche difetto personale, di coprire cioè
uno stato di bisogno, impotenza o inadeguatezza segreta, non ammessa o comunque non
svelabile.