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Sintesi
Storia: la persecuzione ebraica; il Nazismo e il Fascismo

Economia e scienze delle finanze: l'economia fascista

Diritto: dalla guerra alla Costituzione

Italiano: Primo Levi (Se questo è un uomo)
Estratto del documento

“Kozerowska Stanislava, io ti ricordo.”

Un treno per non dimenticare.

Fascia con il nome di una persona internata da ricordare.

ICHINO Ilaria

Classe 5^ A Mercurio

Istituto Tecnico Commerciale Statale F. A. Bonelli

Anno Scolastico 2010 / 2011

INDICE GENERALE

Introduzione 3

1. Il Treno della Memoria 5

2. Le tappe di un viaggio

2.1. I ghetti ebraici

6

2.2. Il ghetto di Cracovia

6

2.3. I Konzentration Lager e Vernichtung Lager

8

2.4. Auschwitz – Birkenau

9

3. Il preludio a tanta pazzia

3.1. “Ausmerzen”

15

3.2. Perché gli ebrei?

17

4. Persecuzione in Italia 18

5. Il caso degli ebrei a Cuneo 20

6. Duccio Galimberti 22

7. Economia fascista

7.1. La fase “Liberista”

23

7.2. La fase “protezionistica”

24

7.3. La Grande Crisi del ’29

24

7.4. Cenni sul dopoguerra

25

8. Dalla Guerra alla Costituzione 26

Conclusione 29

2

Bibliografia

30 3

INTRODUZIONE “ Sabato 30 gennaio 2010.

Caro diario,

stamattina sveglia presto. Destinazione: Auschwitz e Birkenau.

Il viaggio in pullman è stato eterno, un po’ per la stanchezza accumulata,

un po’ per l’ora della partenza, ma soprattutto per gli innumerevoli

pensieri che affollavano la mia mente. L’aria che respiravo, il paesaggio

che mi circondava stava cambiando. Sembravano segnati dalle atrocità

che vi furono commesse. Di lì a poco avremmo varcato lo stesso cancello

che, settant'anni fa, persone uguali a noi, ma considerate non adatte a

vivere, varcarono, incontrando la morte. Fa molta impressione sapere

tutto questo e visitare, vedere, toccare un luogo tanto terribile, e avere

nella mano una fotocamera per immortalare quegli edifici che

provocarono tanta sofferenza. Poi però mi sono consolata dicendomi che

sono qui per ricordare, per non lasciar morire nulla e per evitare che

tutto svanisca, si perda nel tempo, evitare che ciò che è stato riaccada e

per obbligare la gente a non dimenticare gli innocenti morti nei campi di

sterminio. Ebrei, zingari, omosessuali, donne, uomini, vecchi, bambini,

tutti, senza alcuna pietà. Nei loro cuori avevano una speranza, quella di

riabbracciare i cari da cui erano stati separati, di tornare alla vita di

sempre, alla quotidianità. Si aggrappavano con le unghie e con i denti a

questo spiraglio di luce. Ammiro molto la loro voglia di vivere. Ho provato

a mettermi nei loro panni, con quegli abitini a righe sudici, sporchi e

troppo leggeri per il clima polacco, e ho pensato. Mi sono chiesta: cosa

avrei fatto io? Mi sarei aggrappata a quel filo spinato che circondava la

mia nuova “casa”? Avrei lavorato e soddisfatto le richieste dei miei

carnefici? La mia forza di volontà sarebbe stata sufficiente a vivere giorni

terribili, vedendo sparire i miei amici, i miei cari, le persone cui volevo

bene? Beh, non ho trovato risposta. Bisogna viverle certe cose.

“ARBEIT MACHT FREI”: che utopia! Nulla di vero in queste parole. Nel

campo solo il dolore era reale e si sente tuttora, a distanza di anni. La

mia testa non riesce a concepire tanta crudeltà, tanta perfidia nei

confronti di persone non considerate “perfette"; che poi, chi è perfetto?

Quelli alti, biondi e con gli occhi azzurri? Magari perfetti esteticamente,

ma non è questo che conta, anzi. Uccidere non rende sicuramente tali.

Hanno fatto di tutto per rendere i deportati degli animali, tagliando loro i

capelli, privandoli di un nome, di una famiglia. Numeri, certo, facile

uccidere un numero. Dietro questo però ci stava una persona in carne e

4

ossa, con dei sentimenti, con una vita e con una famiglia. Ho provato a

mettermi anche nei panni dei carnefici, non solo delle vittime, ma alla

domanda “Che cosa avrei fatto al loro posto?”, ho trovato una risposta.

Non avrei permesso che milioni di persone svanissero come fumo nel

vento. La vita vale. La vita di tutti.

“Kozerowska Stanislava, io ti ricordo”, e come per lei abbiamo fatto

rivivere altre centinaia di nomi, legati tutti a un volto, a una storia.

Davanti al Mausoleo tutti noi abbiamo fatto un patto con queste vittime,

con la nostra impronta digitale abbiamo preso un impegno con loro,

quello di non lasciar cadere tutto nel vuoto, di portare avanti la loro

memoria, perché ciò che è stato non deve più essere, con la

consapevolezza che potrebbe succedere di nuovo. Siamo noi che

scriviamo la nostra storia, siamo noi che possiamo scegliere, che

possiamo “agire e non parlare”, com'era stampato sul telone. I binari del

treno che portarono alla morte milioni di persone sono stati accesi con

delle candele per renderci conto di ciò che è successo, per non vivere

nell’ignoranza, perché questa porta solo dolore. La memoria è la nostra

unica forza.”

Questa è stata la pagina del diario di viaggio scritta subito dopo la visita ai campi di

sterminio di Auschwitz – Birkenau. È la raccolta dei sentimenti che questo viaggio,

fatto per non dimenticare, doveva suscitare in tutti i partecipanti. Questo è stato sia

un’ottima opportunità per fare conoscenza e amicizia con giovani provenienti da

tutt’Italia, ma soprattutto un’occasione per riflettere, ricordare e assumersi l’impegno

per far sì che certi obbrobri non si ripetano più. È un impegno personale preso con

tutte le povere persone morte in quei campi, con Kozerowska Stanislava, una di quelle

migliaia di ragazze e ragazzi che sono ricordati, con una loro foto, in una delle

baracche che li ospitarono durante la loro reclusione. Un muro infinito, con tanti nomi

e tanti volti, tutti di gente che morì per motivi futili in quei campi. È giusto ricordare,

ricordare perché tutto ciò non si ripeta più. 5

Telone con le nostre impronte digitali citato nella pagina di diario 6

1. IL TRENO DELLA MEMORIA

Il Treno della Memoria è un viaggio nella Storia e nella Memoria, scoperta e

raccontata attraverso i luoghi e le persone che hanno vissuto il periodo della

Seconda Guerra Mondiale. È un viaggio organizzato dai giovani per i giovani, in

cui i partecipanti hanno l’opportunità di incontrarsi e approfondire le tematiche

storiche e sociali relative a quegli anni, per farsi testimoni di quegli eventi, in

un momento in cui le testimonianze dirette di quanto è successo cominciano a

scomparire, tutto questo per impedire che gli orrori commessi non si ripetano

più.

Per partecipare al Treno della Memoria, i ragazzi sono invitati ad alcuni incontri

preparativi, che vertono su temi molto significativi e toccanti, per entrare nel

clima del viaggio in sé, come incontri con ex detenuti ed ex partigiani, visite ai

luoghi del nostro territorio legati a quest’avvenimento della storia come alla

ferrovia che trasportava i prigionieri delle nostre valli di Borgo San Dalmazzo, i

resti del suo campo di raccolta, la dimora dell’illustre personaggio cuneese

Duccio Galimberti.

La tappa più intensa e significativa del Treno è il viaggio a Cracovia, che dura in

tutto sei giorni (per noi dal 27 gennaio al 2 febbraio 2010). Il viaggio, che si

ripete ogni anno, è strutturato in modo tale da permettere ai partecipanti di

entrare fino in fondo nella storia che caratterizza la nostra Europa tra il 1939 e

il 1945. Si è raggiunta la città di Cracovia con un treno charter, ripercorrendo

simbolicamente i binari che portavano i prigionieri nei campi di lavoro o di

sterminio. I due momenti centrali del viaggio sono la visita guidata al ghetto

ebraico di Cracovia e quella agli ex campi di concentramento e di sterminio di

Auschwitz – Birkenau, intervallati da momenti di riflessioni personali e di

gruppo grazie all’aiuto dei ragazzi facenti parte dell’associazione “Terra del

fuoco”. Questa è un’associazione nata nel 2001 a Torino sotto la volontà di

molti giovani, che da alcuni anni realizza e promuove progetti volti alla

costruzione di una cittadinanza attiva e consapevole.

Uscita dal campo di concentramento di 7

LE TAPPE DI UN VIAGGIO

1.1. I GHETTI EBRAICI

Prima che fosse definito e accolto il progetto della soluzione finale alla

conferenza di Wannsee del 1942, il Partito Nazista, e in particolare Reinhard

Heydrich, capo del Servizio di Sicurezza, pianificò l’emigrazione forzata degli

ebrei d’Europa verso il Madagascar, al tempo colonia francese. A partire dal

1939, Il “programma Madagascar” prevedeva il concentramento degli ebrei in

ghetti chiusi prima di deportarli sull’isola.

Ognuno di questi costituiva un territorio isolato dal resto della città e del

mondo: esso era spesso chiuso da alte mura di cinta sorvegliate, il più delle

volte costruite dagli stessi prigionieri sotto le intimidazioni delle SS. I contatti

con l’esterno erano ridotti o addirittura vietati, e per poter uscire, gli

imprigionati dovevano munirsi di uno speciale lasciapassare. I beni da loro

posseduti andavano ad arricchire le casse delle forze naziste, e gli ebrei erano

costretti a vivere in queste “seconde città” dovendosela cavare da soli, senza

alcun tipo di aiuto dall’esterno. Per questo motivo, i ghetti spesso

rappresentavano la fine del percorso di molte persone, anche se erano

considerati dai nazisti come soluzione transitoria in previsione di

un’evacuazione di massa verso il Madagascar. Dal 1942 la destinazione dei

prigionieri non fu l’Africa, ma bensì i campi di concentramento e di sterminio

dislocati sul territorio europeo.

1.2. IL GHETTO DI CRACOVIA

La visita al ghetto ebraico di Cracovia è stata una tappa molto toccante e

significativa del nostro viaggio. È stata enfatizzata da una rappresentazione

teatrale svoltasi davanti alla Sinagoga del ghetto, mettendo in scena le vicende

di una famiglia ebrea rinchiusa all’interno delle mura, sottolineando le difficoltà

quotidiane della loro vita e il dolore per la separazione dopo la deportazione.

Con l'insediamento di Hans Frank come Governatore della Polonia, la

persecuzione nei confronti degli ebrei si accentuò ulteriormente all’interno del

paese. Egli fece costruire molti ghetti sul territorio polacco, tra cui possiamo

ricordare quello di Lodz, quello di Varsavia e appunto il ghetto di Cracovia.

Venne creato Il 3 marzo 1941 nel quartiere di Podgorze, a sud della città.

Il 20 marzo l'intera area, che misurava 600 metri per 400 venne circondata da

un muro dotato di filo spinato. Vi furono concentrati tutti gli ebrei della città e

quelli rastrellati nei vicini villaggi. Alla fine del 1941 nel ghetto erano rinchiuse

18.000 persone. Per sfruttare al meglio la manodopera i tedeschi istituirono

delle fabbriche al suo interno. 8

Il 19 marzo 1942 i tedeschi iniziarono la "Intelligenz Aktion", cioè l'arresto e

l'assassinio di tutte le persone considerate come punti di riferimento per la comunità.

Circa cinquanta persone vennero arrestate e trasportate al campo di concentramento

di Auschwitz dove vennero uccise. Alla fine del maggio 1942 i tedeschi cominciarono a

pianificare la liquidazione del ghetto e il trasporto degli ebrei nei campi di sterminio o

fucilati direttamente.

Erano rimasti poco meno di 12.000 ebrei all’interno delle mura ed ebbero una

relativa tranquillità soltanto sino al 27 ottobre 1942, giorno in cui partì la

seconda Aktion. L'azione fu condotta con una bestialità sanguinaria: 7.000

ebrei furono catturati e deportati e 600 vennero uccisi sul posto durante il

rastrellamento. Vennero uccisi i malati dell'ospedale, gli anziani della casa di

riposo e i bambini dell'orfanotrofio. Il ghetto divenuto ancora più piccolo venne

diviso in due parti: l'area A e l'area B. Il 13 marzo 1943 i 2.000 abitanti dell'area

A vennero trasferiti al campo di Plaszow. Il giorno dopo venne attaccata l'area

B: 2300 ebrei vennero catturati e trasportati ad Auschwitz-Birkenau dove

vennero gassati e 700 furono uccisi sul posto.

La farfalla

L'ultima, proprio l'ultima,

di un giallo così intenso, così

assolutamente giallo,

come una lacrima di sole quando cade

sopra una roccia bianca

- così gialla, così gialla! -

l'ultima,

volava in alto leggera

aleggiava sicura

per baciare il suo ultimo mondo.

Tra qualche giorno

sarà la mia settima settimana

di ghetto...

Ma qui non ho visto nessuna farfalla.

Quella dell'altra volta fu l'ultima:

le farfalle non vivono nel ghetto.

(Pavel Friedmann, da Vedem, 4/6/1942))

.

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