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Greco: l'età ellenistica
Latino: la figura di Catone Uticense; il discorso di Petilio Ceriale
Filosofia: Karl Marx; Martin Heidegger
Storia: Hiroshima
Fisica: la fusione e la fissione nucleare; creazione della bomba atomica
Scienze: la reazione nucleare nel sole
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liberazione del dato razionale dall'involucro mitologico, che ancora in Esiodo
costituiva la trama metaforica della realtà.
“In principio fu il caos (…)” 3
E' bene chiarire che cosa si intenda per Caos; il verbo "Kao" significa
"spalancare la bocca" e quindi gli studiosi indicano in "Kaos" questo intervallo,
Teogonia
questa apertura che c'è nel mondo. La significa propriamente “nascita
degli dei”, “genealogia divina”, dunque altro non è che l’interpretazione del
mondo divino. Della visione esiodea etica e sociale i miti diventano riferimento
paradigmatico, espressione di un kosmos divino cui s’oppone l’akosmìa umana.
Come già detto la tecnica, comincia a dispiegare la sua potenza in età
ellenistica, col primato in clima democratico.
Anche Roma entra in contatto con la grecità della techne, si rovescia pertanto il
senso del limite tipicamente greco.
Parlare del tramonto dell’occidente significa, dunque, parlare della condizione
umana soggetta al giogo della ragione che nasce legittimata per il
miglioramento dell’essere in sé e per il mondo ma che ad un certo punto devia
il suo corso, potente nel suo essere e cosciente della sua importanza e finisce
per imporsi come al di sopra di ogni cosa grazie alla scienza e al progresso.
Essa si autoidentifica come unica possibilità per l’ente di arrivare all’aletheia
dell’esserci dell’essere e all’aletheia di cosa governa il mondo. Ma questa
ricerca di disvelamento di ciò che sia l’essere è ben presto traslata verso la
tecnologia e il progresso: l’ente cerca di trovare il senso dell’esistenza nel
superamento dei limiti e nella sua evoluzione, è più va oltre, più trova
appagamento, più sente la necessità di appagamento e ritorna alla condizione
iniziale e si rende conto che ciò non basta e, se non basta non può essere
strumento di ricerca dell’essere. L’uomo si troverà in un circolo vizioso e, da
questa delusione verso la scienza e il suo progresso, nascerà il suo malessere:il
nichilismo che lo nega nel suo essere, che lo pone nello stesso tempo come
tutto e niente in quanto incapace di scegliere.
Prometeo e la nascita dell’Uomo Faber
Esiodo, Teogonia I,1;
3 ~ 7 ~
“ Ora è tua cura ciò che il padre impone, Efesto: ora avvincerai il colpevole a
queste rocce ardue sull’abisso con catene più dure del diamante, la luce
artefice di tutto, il fuoco,il tuo fiore, egli lo ha rubato e ne ha fatto partecipi i
mortali. Deve agli dei pagare questa colpa. Forse così imparerà ad amarla la
signoria di Zeus. E avrà pace l’amicizia per gli uomini,il suo segno”.
Eschilo,Prom
eteo incatenato vv 3-11 Prometeo incatenato
Con questi versi si apre il di Eschilo, complessa tragedia
nella quale si può individuare l’esatto punto in cui l’uomo da animale
irrazionale, incapace di provvedere a se stesso e ai propri bisogni diviene
uomo faber, ossia colui che inventa, costruisce, progetta non solo per necessità
ma soprattutto per amore del sapere, cercando di essere simile agli dei grazie
ad un titano inventore di tutte le arti(technai) ,il cui nome esattamente significa
colui che riesce a vedere in anticipo (da pro e metis).
Nei versi si individua già la causa per cui egli è condannato ad essere
incatenato ad una rupe “la luce artefice di tutto egli l’ha rubata e né ha fatto
partecipi i mortali”: ha donato la possibilità all’uomo di emanciparsi dagli dei, la
tecnica. Per questo sconterà una colpa durissima inflittagli da Zeus il quale
non accetta che un’arte immortale, riservata a coloro che hanno in sé l’eternità
possa essere divisa con esseri effimeri e inferiori ed è una colpa che pagherà in
eterno, fino a quando cioè dalla rupe non sarà liberato.
“Ho spartito con i mortali un dono degli dei; per questo fu inchiodato al mio
destino.[….]Guardate il dio incatenato e doloroso il nemico di Zeus,il detestato
da tutti gli dei che varcano la soglia della reggia di Zeus perché amò i mortali
oltre misura”.
Eschilo,Prometeo Incatenato
Il suo è un dono filantropico che consente all’uomo il suo sviluppo tecnico e
sociale innalzandolo dalla sua condizione primitiva :
“Essi avevano occhi ma non vedevano,avevano le orecchie e non
udivano,somigliavano a immagini di sogno,perduravano un tempo lungo e
vago e confuso,ignoravano le case di mattoni,le opere del legno:vivevano sotto
terra come labili di formiche,in grotte fonde,senza il sole.[…..]Finché indicai
come sottilmente si riconoscano il sorgere e il calare degli astri,e infine per loro
scoprii il numero,la prima conoscenza,e i segni scritti come si compongono la
memoria di tutto,che è la madre operosa del coro delle Muse. E aggiogai le
fiere senza giogo,le asservì al giogo e alla soma perché esse succedessero ai
mortali nelle grandi fatiche”. Eschilo,P
rometeo incatenato
Ma sé da un lato la techne libera dal metafisico, dall’altro impone all’uomo di
essere schiavo della stessa poiché essa si presenta senza fine o, meglio,
arrivato a ciò a cui aspirava ricerca sempre l’oltre. Così le catene di Prometeo
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che lo legano alla roccia saranno anche metafora dell’agire umano, condannati
techne
ad un sapere e ad una che con l’andare del tempo non riusciranno a
controllare.
L’Ellenismo e la nascita della Techne
L’età ellenistica viene posta tra il 323 e il 310a.C durante l’espansione greca ad
opera di Alessandro Magno che, in brevissimo tempo, conquistò gran parte delle
terre fino ad allora conosciute,ne allargò i confini grecizzando i popoli
conquistati. Alla morte di Alessandro il suo impotente regno fu suddiviso e
spartito tra i suoi ufficiali più potenti:
1)Regno di Macedonia sotto la dinastia degli Antigonidi;
2)Regno d’Egitto sotto la dinastia Tolemaica;
3)Regno di Siria sotto i Seleucidi e
4)Regno di Pergamo sotto gli Attalidi.
Le città si ingrandirono a dismisura, fino a diventare vere e proprie megalopoli e
divennero ben presto i centri di diverse culture(con musei e biblioteche).
Ad Alessandria, in questi anni, si effettuarono le prime scoperte scientifiche
senza le quali non sarebbe potuta nascere la scienza moderna. Si ricorda infatti
che l’acqua del Nilo, tramite una complessa rete di canali, veniva portata nei
campi ma anche nelle città, grazie ad un arcano depuratore pulita e smistata
nelle case. Avanzatissimi erano gli studi astronomici e di ottica: riuscirono a
creare lenti capaci di ingrandire oggetti che si trovavano a notevole distanza.
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Roma e Grecia
Circa un secolo dopo la divisione della Grecia e dei territori conquistati da
Alessandro Magno, nei quattro regni ellenistici, Roma entrò in contatto con la
stessa civiltà, a causa del suo forte desiderio di dominio imperialistico. Per la
prima volta, anche se vincitore militare e politico il popolo romano dovette
ammettere la superiorità linguistica, culturale e intellettuale dei conquistati
che, nel corso della loro storia, avevano dato vita non solo ad una cospicua
produzione letteraria, ma ad una conoscenza d’avanguardia in più
campi(dalla retorica, alla filosofia ecc.), una conoscenza tipica di un uomo
politropico e per questo in grado di minare le basi della società romana,
saldamente vincolata al mos maiorum e al catoniano servare modus finesque
tenere. La figura di Catone Uticense
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Ille nec horrificam sancto dimovit ab ore
caesariem duroque admisit gaudia voltu
(ut primum tolli feralia viderat arma,
intonsos rigidam in frontem descendere canos
passus erat maestamque genis increscere barbam:
uni quippe vacat studiis odiisque carenti
humanum lugere genus), nec foedera prisci
sunt temptata tori: iusto quoque robur amori
restitit. Hi mores, haec duri inmota Catonis
secta fuit, servare modum finemque tenere
naturamque sequi patriaeque inpendere vitam
nec sibi sed toti genitum se credere mundo.
Huic epulae vicisse famem, magnique penates
summovisse hiemem tecto, pretiosaque vestis
hirtam membra super Romani more Quiritis
induxisse togam, Venerisque hic maximus usus,
progenies; Urbi pater est Urbique maritus,
iustitiae cultor, rigidi servator honesti,
in commune bonus; nullosque Catonis in actus
subrepsit partemque tulit sibi nata voluptas .
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Quello (Catone) non allontana l'irta chioma dal viso venerabile né il severo
volto si illumina di gioia (non appena aveva visto impugnare le armi funeste,
aveva lasciato crescere e scendere sulla fronte austera i bianchi capelli e sulle
guance la barba, in segno di lutto: egli soltanto, non preso da interesse o da
odio di parte, era disposto a piangere sul genere umano), né tenta di unirsi,
come un tempo, alla moglie: la sua intransigenza si oppone anche ad un amore
legittimo. Questi i costumi, questa la condotta indefettibile del rigoroso Catone:
osservare la misura, non travalicare il limite, seguire la natura, votare la vita
alla patria e convincersi di non esser nato per sé ma per tutti gli uomini. Per lui
era un banchetto vincere la fame, una sontuosa dimora ripararsi con un tetto
dalle intemperie, una veste preziosa mettersi addosso una ruvida toga,
secondo l'antica consuetudine quirite, e fine ultimo dell'amore la generazione
dei figli; padre dell'Urbe, suo marito, osservante della giustizia, cultore
dell'onestà più rigida, retto nell'interesse della comunità: nel suo
comportamento non penetrò mai un piacere che pensasse solo a se stesso.
Lucano, Bellum Civile II, 372-391;
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Pharsalia
Se un personaggio positivo si deve trovare nella di Lucano, lo si dovrà
identificare in Catone, il leggendario difensore della libertà repubblicana. In
questo passo il poeta ne dà una descrizione morale più che fisica: le stesse
caratteristiche fisiche elencate, infatti, mirano piuttosto a una definizione
dell’indole e dell’animo del personaggio; persino il dettaglio dei capelli bianchi
(intonos… canos; v. 375), lasciati crescere in segno di lutto, aggiunge un
elemento di solennità al ritratto. Il poeta sembra guardare con reverenza al
personaggio, perfetta esemplificazione del saggio stoico del quale si
evidenziano soprattutto la compostezza e il rigore. Dunque tutto il passo è
caratterizzato da un tono solenne e partecipe che rivela l’ammirazione di
Lucano per il simbolo dell’opposizione anti- imperiale.
Bellum civile”;
Questo brano è tratto dal “ il nome con cui Lucano stesso si
riferisce ad esso è, però, “Pharsalia” con evidente allusione alla città di Farsàlo,
luogo della battaglia tra Cesare e Pompeo divenuta il simbolo della fine della
repubblica. Come tutta la letteratura imperiale, anche l’epica trova il suo
Eneide
modello nell’età augustea. Il classico di riferimento è ovviamente l’ di cui
Pharsalia
la risulta un’emulazione per antifrasi: se questa appare come il
Bellum civile
poema del “consenso” all’impero, il si configura decisamente
come il poema del dissenso. Lucano fa oggetto del suo poema storico proprio la
guerra civile e la mostra direttamente in tutto il suo orrore e la sua negatività. Il
contrasto più evidente rispetto all’ottica virgiliana si può cogliere nel celebre
Bellum civile,
episodio della profezia descritto nel VI libro del corrispondente a
dell’Eneide.
quello contenuto nel VI libro Al posto del pius Enea vi è Sesto
Pompeo, il “degenere figlio” del difensore della res publica; al posto di Anchise
il cadavere di un soldato morto e richiamato in vita dalla maga Eritto; al posto
dello splendore dei Campi Elisi, un’atmosfera di morte e distruzione; ma
soprattutto, al posto del catalogo degli eroi che faranno grande Roma, c’è il
loro dolore per la sorte della città.
Una simile drammaticità pervade anche l’opera di Tacito e non è soltanto frutto
di abilità retorica, ma scaturisce dalla drammaticità stessa degli interrogativi
storici; nell’incapacità di riuscire a scoprire la ragione ultima degli eventi, Tacito
cerca le ragioni contingenti nell’animo dei protagonisti della storia, nelle
passioni degli individui o delle masse.
Approfittando del caos politico in cui Roma è piombata in seguito alla guerra
civile, il batavo Giulio Civile promuove una rivolta antiromana nella Germania