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Sintesi
Storia: Confronto regimi nazista e fascista con il regime giapponese degli anni trenta
Storia dell'arte: Influenza dell'arte giapponese sulla corrente Impressionista
Filosofia: Accostamento tra Ungaretti e la poesia haiku giapponese
Scienze: I terremoti e l'edilizia antisismica in Giappone
Estratto del documento

Le analogie dei tre regimi sono dovute anzitutto ai tempi e modi

comuni seguiti da questi tre paesi nella costituzione dello stato

moderno e nel processo di modernizzazione economico-sociale. Il

processo di affermazione di quello che per comodità verrà chiamato

Fascismo Giapponese, avendo già premesso che questo non vada

inteso come il fascismo italiano o il nazismo tedesco, inizia già prima

degli anni Trenta: si può interpretare, infatti, come una linea di

4

continuità con quelle tendenze già nell’epoca Meiji . Essenzialmente

ciò riguarda le varianti ideologiche principali: quella nazionalsocialista

e quella panasiatica che furono accompagnati dai vari movimenti

ultranazionalistici (come la Gen’yrosha o il Kokury rukai) fondati da ex

samurai. Tutti questi vari movimenti auspicavano un ritorno

dell’armonia all’interno della società e il ripristino del legame diretto

5

tra imperatore e popolo, usurpato dai capitalisti e dai politici . La

classe militare oltre che ad avere un importante ruolo

sull’amministrazione delle colonie, aveva anche un forte consenso

nelle comunità, sulle quali aveva un forte controllo anche sul piano

ideologico. Molte erano le associazioni che addestravano militarmente

la popolazione rurale ma che soprattutto esercitavano una forte

pressione affinché non fosse influenzata da partiti e dalla lotta di

classe. Da tutto ciò si può rilevare la centralità del ruolo svolto dai

militari nel fascismo giapponese; ma il punto di svolta nel passaggio

dai governi di partito ai governi guidati da alti gradi della marina e

dell'esercito fu determinato dalla crisi del 1929, che creò le condizioni

per l'invasione della Manciuria a opera dei giovani ufficiali dell'armata

del Kwantung e dall'espansione progressiva in Cina. Atti violenti vi

furono certo anche in Giappone, come l'assassinio del primo ministro

Inukai Tsuyoshi nel maggio del 1932, o il cruento tentativo di colpo di

stato del 26 febbraio 1936 a opera dei giovani ufficiali della fazione

radicale che, pur represso, diede l'occasione per l'assunzione

dell'egemonia politica da parte dell'esercito. Questa non fu però mai

super partes

completa, e fu il principe Konoe, in quanto personalità in

grado di garantire la coesione delle elite al potere, a portare a

termine, nel 1940, la costituzione dello stato totalitario, con lo

scioglimento dei partiti e il loro assorbimento nella Associazione per il

sostegno al governo imperiale.

4. È la base culturale che permette il regime

Alla presenza

dell'imperatore

4 Il regno dell'Imperatore Mutsuhito: dal 1868 al 1912. Dal 1192 al 1868 il

Hirohito le celebrazioni

potere era stato fortemente accentrato nelle mani degli shogun, i

aTokyo per il 2600

comandanti militari. Il periodo che ne seguì fu di rinnovamento e di ritorno

anniversario della

del potere nelle mani dell’Imperatore. L’esercito non perse mai di importanza

fondazione dell'impero

ed i capi militari infiltrati nel governo mantennero sempre una certa

(febbraio 1940)

posizione che poi permise l’instaurazione di un governo totalitario.

5 Nell’ultimo ventennio del 1800 il Giappone modernizza il sua assetto

politico e burocratico assumendo vari organi statali occidentali come il

sistema parlamentare di tipo britannico e l’esercito moderno.

8

Benché la propaganda non fu mai disgiunta dalla repressione, il

regime instauratosi in Giappone negli anni Trenta ebbe il sostanziale

appoggio, attivo o passivo, della maggioranza della popolazione. Ma

l’accettazione di un regime totalitario fu possibile anche per la cultura

in cui esso nacque e si sviluppò. I giapponesi considerano il Giappone

al centro del mondo e gli danno una funzione di guida, non solo in

Asia, ma in tutto il mondo. Ecco perché negli anni dell’affermazione

del regime non si parla di propaganda politica ma piuttosto di

propaganda dei valori culturali ed etnici, che collocano la cultura

6

nipponica al di sopra delle altre culture . Trattando di Giappone e del

regime che si istaura nel primo novecento, è essenziale avere un

quadro completo anche del concetto culturale che si ha del rapporto

tra individuo e società. Il secondo termine assume un grande valore, il

secondo scompare di fronte alle relazioni sociali. Il singolo è una

pedina nelle mani di un potente ingranaggio che lo schiaccerà, se

trasgredirà alle regole. In gippone si considera il gruppo, non

l’individuo. Quest'ultimo modella il suo comportamento su antichi

valori imprescindibili come la famiglia, il culto degli antenati e il

rispetto del clan e li proietta, nell’era moderna, in una vera e propria

adorazione della propria società. L’attaccamento che il lavoratore ha

per la sua ditta è lo stesso che il samurai aveva per il proprio signore,

la fiducia verso lo stato è la stessa che il contadino provava verso il

proprio padrone, il rispetto verso la famiglia ed il clan trovano

corrispondenza nel campo politico. L’individuo acquista consistenza

solo se rispetta e ragiona in maniera conforme alla massa. Fin da

piccoli i bambini sono indirizzati a seguire determinate regole. Non si

parla di conformismo ma piuttosto del vero e proprio annullamento

del singolo nella massa. Inoltre vi era una devozione veramente

profonda verso la famiglia reale e verso l’Imperatore. Egli era

discendente di Amaterasu, la dea de sole, e degli dei che avevano

creato il Giappone. La famiglia reale respira l’aria del divino, ed è

dalla famiglia reale che tutto il popolo nipponico discende. Ecco

perché il forte attaccamento alla nazione e la credenza che il

Giappone sia investito di una sorta di missione. Ad inizio secolo

l’attaccamento culturale era notevolmente maggiore rispetto ad oggi

e quindi fu abbastanza naturale anche l’accettazione, seppur sofferta

delle varie imposizioni del regime, che furono accettate quasi come

calamità naturali, in un diffuso senso di impotenza ed ineluttabilità. E

d’altra parte anche il buddhismo non predica altrimenti: le sofferenze

ed i piaceri della vita non hanno importanza nel ciclo continuo del

samsara. Questo rese impossibile, per la grande maggioranza dei

giapponesi, dare formulazione compiuta ai propri dubbi impedendo

sostanzialmente ogni forma di resistenza organizzata, attiva o

7

passiva .

5. Un popolo diretto al consenso

6 Da qui deriva il forte spirito di tolleranza nipponica che si configura però

come un sentimento di superiorità, e che ha permesso al Giappone di

assimilare concetti di civiltà straniere.

7 Certamente ciò era anche il risultato di una forte repressione e di purghe

rivolte e a tutti coloro che si opponevano al regime.

9

Dall’inizio del processo di affermazione del fascismo giapponese,

furono create molte associazioni che costituivano una fitta rete di

controllo dell’individuo. Questo apparato volto al controllo del

pensiero e della volontà di milioni di persone, presenta similitudini

profonde con quanto avvenne in Italia e in Germania negli anni delle

dittature fascista e nazista. In tutti questi casi l'ingerenza dello stato

verso l'individuo tendeva a divenire totale, coinvolgendo gli aspetti

più ordinari dell'esistenza, anche se con differente intensità nei vari

paesi. Probabilmente l'Italia fu priva di quei caratteri di sistematica e

monolitica invadenza che ebbe il nazismo, a causa sia di ragioni

storiche e culturali, sia della natura più frammentaria del potere

8

fascista . Il Giappone degli anni Trenta si pone in una posizione

Studentesse

impegnate in

esercitazioni

paramilitari

intermedia, in quanto a una proclamata volontà totalizzante faceva

riscontro la competizione tra i vari centri di potere. Come è già stato

detto all’inizio della trattazione apparentemente il processo di

“fascistizzazione” del Giappone sembra molto meno violento di quelli

europei e non sembra aver affrontato prese di potere talmente

irruente, ma ciò è perché tale processo impiegò un lungo arco di

tempo per realizzarsi: da misure impercettibili fino ad arrivare alla

completezza nel 1937. Molti dei valori, come l’espansionismo

militarista e la missione-guida del Giappone erano già presenti nelle

epoche precedenti, il fascismo le portò solo alle più estreme

conseguenze. Non si può quindi negare che anche nel paese asiatico

vi fosse un perticolare sistema che indirizzava le persone fin dalla loro

infanzia con persuasione ed indottrinamento e violenza se l’individuo

trasgrediva. A differenza di quanto accadeva in Italia e ancor più in

Germania, dove la violenza era palese e indubbiamente presente (gli

squadroni e poi la Milizia in Italia e le SS in Germania), in Giappone

fattori sociali e culturali orientarono la violenza di stato verso forme di

coercizione prevalentemente psicologiche. Se non in modalità

propagandistiche, certamente i tre fascismi ebbero in comune il fluire

9

continuo delle masse verso obiettivi sempre più estremi .

8 “Una importante differenza tra nazionalsocialismo tedesco e fascismo

italiano è che il primo accentrò tutto, non lasciò niente al caso, regolando

ogni aspetto della vita pubblica e privata”. Mosse

9 “lo stato hitleriano [...] non perse in nessun momento la sua forza

dinamica, nè si stabilizzò mai in un “semplice” autoritarismo repressivo [...] Il

monopolio sui mass media, da solo, non giustifica i successi della

propaganda [...] che dipendevano principalmente dalla capacità di

richiamarsi a valori sociali o politici esistenti, e di utilizzarli e ‘interpretarli'”

H. Mommsen 10

6. L’armonia sociale ed il “fascismo dall’alto”

In Giappone, la famiglia era da sempre stata il riferimento primario

per la perpetuazione di un sistema di rapporti individuali basati sul

binomio superiore/subalterno, il luogo in cui imparare i rudimenti

dell'obbedienza e il rifiuto all'autoaffermazione e all'indipendenza.

Tuttavia, già negli anni Venti, il notevole inurbamento e la diffusione

della famiglia “moderna”, portò all'inevitabile semplificazione dei

rapporti e delle gerarchie parentali, aprendo un vuoto che il regime si

affrettò a colmare. Le famiglie vennero a forza inserite nel sistema dei

tonarigumi (associazioni di quartiere), che a loro volta erano inserite

Naimushô

in una gerarchia alla quale faceva capo il (ministero degli

Interni). La diffusione geografica e la partecipazione a questo sistema

erano difformi, con uno squilibro verso le campagne nelle quali

l'organizzazione tradizionale di villaggio ne favoriva la diffusione. Il

ruolo di controllo sociale crebbe costantemente, sotto la spinta delle

amministrazioni locali e centrale, per arrivare a includere la

stragrande maggioranza della popolazione nel corso della Campagna

Kokumin seishin sôdôin

di mobilitazione spirituale nazionale ( ),

promossa dal governo nel 1937 per appoggiare lo sforzo bellico dopo

l'invasione della Cina. L'ingresso nel sistema educativo comportava

un aumento per il suddito della propaganda imperiale. L'importanza

della scuola ai fini della costruzione e dell'organizzazione del

consenso era ben chiara già agli oligarchi Meiji: già nel 1872 il

governo centrale aveva dichiarato di volere la frequenza universale e

obbligatoria delle scuole elementari, anche se questo obiettivo fu

raggiunto solo verso il 1910. Dopo una fase iniziale di relativa libertà

nei contenuti, negli anni successivi al 1880 il governo impose un

orientamento conservatore ed elitario al sistema educativo. Tutte le

materie d'insegnamento erano sotto lo stretto controllo del ministero

dell'Educazione e la vita dello studente era scandita da rituali e

ricorrenze codificate dallo stato, sotto la paterna ma sacra effigie

tennô.

dell'imperatore, il La funzione dell'educazione, più che nella

realizzazione dell'individuo, era nel perseguire il bene pubblico,

incoraggiare gli interessi comuni e arrivare ad una completa armonia

sociale.Questa tendenza arrivò alle estreme conseguenze verso la

metà degli anni Trenta. Nonostante i controlli severi, casi di devianza

ideologica all'interno del sistema educativo emersero sporadicamente

(e furono implacabilmente perseguiti) fin quasi alla vigilia della guerra

del Pacifico. Alla fascia d'età fra i 14 e i 20 anni era rivolta l'attività

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