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Storia- carta del lavoro, fascismo
Economia aziendale- tfr, pilastri sistema previdenziale, fondi pensione
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future, ma soprattutto per mantenere il passo
con le altre nazioni europee.
Un ruolo rilevante in questa problematica ha
assunto “l’italianissimo ” Trattamento di fine
rapporto, disciplinato dall’art. 2120 del Codice
civile.
L’articolo in questione sancisce che, “ in ogni
caso di cessazione del rapporto di lavoro
subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad
un trattamento di fine rapporto. Tale
trattamento si calcola sommando per ciascun
anno di servizio una quota pari e comunque
non superiore all’importo della retribuzione
dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La
quota è proporzionalmente ridotta per le
frazioni di anno, computandosi come mese
intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15
giorni.”
“Il trattamento del precedente primo comma, è
incrementato, escludendo la quota già
maturata durante l’anno, con l’applicazione di
un tasso (rivalutazione) costituito dall’1,5%
fisso e dal 75% del tasso di inflazione
( accertato ISTAT)….” Pagina
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Il concetto del "trattamento di fine rapporto", fu
introdotto per la prima volta in Italia dal XVII
disposto contenuto nella Carta del Lavoro,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30
aprile 1927, che stabiliva il diritto del
lavoratore a un'indennità proporzionata agli
anni di servizio svolti.
La Carta del Lavoro è uno dei documenti
fondamentali del fascismo, varato il 21 aprile
1927: esprime i suoi principi sociali, la dottrina
del corporativismo, l'etica del sindacalismo
fascista e la politica economica fascista .
Il fascismo si afferma in Italia verso la fine del
1920 con i fatti di palazzo d’Accursio (Bologna)
che segnarono la nascita del fascismo agrario e
l’introduzione delle squadre d’azione che
miravano a intimidire le organizzazioni
contadine. L’altra tappa saliente è la
trasformazione del movimento, nel PNF da
parte di Mussolini, con il quale voleva
dimostrarsi un leader politico affidabile. Nel 28
ottobre 1922 con la marcia su Roma, Mussolini
fu incaricato dal re Vittorio Emanuele III di
formare un nuovo governo sostenuto da una
maggioranza composta anche dal Partito
Popolare Italiano e da altri gruppi di estrazione
liberale. Il 15 dicembre 1922 fu costituito il
Gran Consiglio del Fascismo, organo supremo
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del Partito Nazionale Fascista, che tenne la sua
prima seduta il 12 gennaio 1923.
Alle elezioni politiche dell'aprile 1924, grazie
alla "legge Acerbo", una nuova legge elettorale
con premio di maggioranza voluta da Mussolini
allo scopo di assicurare al PNF una forte
maggioranza parlamentare, e all'impiego di
"liste civetta", volte a drenare ulteriori voti, il
PNF ottenne una netta maggioranza: tali
risultati furono però duramente contestati dalle
opposizioni, che denunciarono numerose
irregolarità. In tale quadro, il deputato Giacomo
Matteotti, dopo aver denunciato brogli in
parlamento, fu ucciso da estremisti fascisti. La
vicenda ebbe seguito il 3 gennaio 1925,
quando Mussolini, con un discorso alla Camera
dei deputati, dichiarò provocatoriamente di
assumersi la responsabilità storica di quanto
accaduto, promettendo di chiarire la situazione
nei giorni immediatamente seguenti.
In termini economici il Tfr è una forma di
retribuzione differita che il lavoratore incasserà
a fine rapporto e che resta nella disponibilità
del datore del lavoro, ma è anche considerato
un prestito che il lavoratore fa al suo datore di
lavoro e il suo ammontare è iscritto tra i debiti
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o passività del bilancio, più precisamente nello
SP, passività: C) Trattamento di fine
rapporto di lavoro subordinato. Lo stesso
Tfr aumenta di anno in anno innanzi tutto per la
nuova quota di Tfr che si accantona ogni anno,
più gli interessi accumulati sul Tfr
(rivalutazione) la cui sommatoria rappresenta
per il datore di lavoro un costo che va iscritto
nel bilancio precisamente nel CE B) COSTI
DELLA PRODUZIONE- 9)per il personale-
c)trattamento di fine rapporto.
La quota annua del Tfr è conosciuta anche col
nome di Tfr maturando che con la riforma del
1993 è entrato nei contratti stipulati tra
lavoratore e datore di lavoro assumendo
sempre più un carattere di risparmio
previdenziale, tutto questo per arrivare a
distinguere le tre principali fonti di
finanziamento della pensione complementare
tra cui abbiamo, il precedentemente nominato
Tfr maturando con anche i contributi versati dal
lavoratore e dal datore di lavoro
Contributi del lavoratore Contributi del datore di lavoro
Tfr maturando FONDO
PENSIONE
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Pensione complementare del
lavoratore
Di notevole importanza è capire quali sono i
lavoratori coinvolti e le scelte da operare per
quanto riguarda la forma della pensione sulla
quale versare il Tfr maturando.
La riforma fa riferimento ai lavoratori
dipendenti del settore privato escludendo quelli
del ramo pubblico, statisticamente in Italia
sono 16 milioni i dipendenti con Tfr e 6 milioni
autonomi senza Tfr, considerando che i
dipendenti del settore privato sono 12 milioni e
4 quelli pubblici, capiamo come la stragrande
maggioranza fa riferimento a un fondo. Tuttavia
verso la fine del 2005 su un flusso potenziale di
19 miliardi di Tfr solo 1 miliardo è stata
destinata alla pensione complementare e le
motivazioni di questa bassa adesione possono
essere tante, come la scarsa informazione, il
timore di perdere la liquidazione, la diffidenza
verso gli operatori finanziari oppure la sfiducia
nei sindacati, ma sta di fatto che se la
previdenza integrativa non parte su vasta scala
si trasformerà in una bomba sociale (lunga vita,
pensioni da fame). Pagina
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Ritornando alla scelta da operare per il
versamento del Tfr, abbiamo due scelte, o
aderire a una forma pensionistica
complementare di nostro gradimento oppure
decidere il mantenimento presso il nostro
datore di lavoro, in assenza di decisione
esplicita(quindi tacita) si fa riferimento ad una
forma collettiva di fondo pensione come quello
aziendale,contrattuale e territoriale (ES:
FondInps).
Possiamo dire a questo punto che la scelta è
abbastanza articolata e ci sono molte variabili
da tenere in conto, ad esempio, l’età e
l’anzianità contributiva, i rendimenti passati e
quelli attesi, i vantaggi fiscali e in che misura si
possono chiedere anticipazioni. Questi sono
problemi ancora aperti nel nostro sistema e che
col passare del tempo e delle riforme si
cercherà di migliorare.
Davvero importante è capire com’è composto il
sistema previdenziale italiano, il quale si poggia
su tre pilastri:
1. La pensione pubblica, frutto
dell’assicurazione generale obbligatoria
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(Ago) per invalidità, vecchiaia e superstiti
(Ivs) erogata in generale dall’Inps.
2. La pensione complementare, ricavata
dalla partecipazione ai fondi pensione, in
regime di capitalizzazione effettiva, con
investimento dei versamenti in attività del
mercato finanziario
3. La pensione integrativa individuale,
frutto dei risparmi aggiuntivi stabiliti dai
singoli cittadini per un investimento
espressamente finalizzato alla pensione.
Entriamo più nel particolare, dando una
spiegazione alle tre forme pensionistiche.
La pensione pubblica, innanzitutto, è finanziata
attraverso il pagamento di premi, chiamati
contributi o anche oneri sociali, che i datori di
lavoro, in misura maggiore, e i lavoratori, in
proporzione alla retribuzione, pagano allo Stato
o agli altri enti pubblici.
Ora definiamo meglio la differenza tra
contributi sociali, imposte e tasse.
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I contributi sociali sono una forma
particolare di prelievo coattivo a carico dei
datori di lavoro e dei lavoratori, effettuata
da enti pubblici non territoriali (Inps, Inail)
per finanziare l’attività assicurativa e
previdenziale esercitata da questi enti a
favore dei lavoratori
L’imposta è un prelievo coattivo di
ricchezza attuato dall’ente pubblico nei
confronti di tutti i cittadini per finanziare i
beni e i servizi pubblici generali, la cui
natura impedisce di individuare la misura
del beneficio goduto da ognuno
La tassa è una controprestazione
obbligatoria resa all’ente pubblico da coloro
che hanno domandato (volontariamente) e
ottenuto un bene o un servizio pubblico
speciale, la cui caratteristica è quella di
essere divisibile e individualizzabile.
L’ente che eroga le pensioni pubbliche è
rappresentato dall’Inps che è un organo
facente parte della Pubblica Amministrazione
che utilizza tecnologie informative indicate con
l’e-government, nelle amministrazioni centrali e
periferiche dello Stato con l’obiettivo di rendere
la stessa PA veloce, trasparente, efficiente e
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accessibile a tutti i cittadini. In tutto questo le
reti e Internet hanno un ruolo centrale. Negli
ultimi periodi sì e previsto che questi strumenti
informatici e di rete siano disponibili per il
coinvolgimento dei cittadini ad esempio
l’espressione del voto elettronico (e-
democracy).
L’e-government riguarda una serie di servizi:
Erogazione servizi efficienti;
Identificazione digitale del cittadino o
impresa da parte dello Stato ;
Scambio dì informazioni;
Miglioramento dei rapporti normativi e
fiscali;
Formazione del personale;
Semplificazione procedure amministrative;
Compravendita beni e servizi (e-
commerce).
L’istituto della pensione pubblica dopo
l’attuazione della grande riforma del 1992-1995
ha cambiato le sue caratteristiche, da un lato
abbiamo la concezione di stampo britannico
con lo Stato (welfare state) con il compito di
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aiutare il cittadino rispetto al suo benessere
economico, fisico e sociale, dall’altro la teoria
di stampo tedesca con la protezione del
lavoratore dagli eventi negativi che mettono a
rischio le sue capacità di lavoro e guadagno
(malattie, infortunio, vecchiaia,
disoccupazione). D’altronde la nostra
Costituzione ammette questa dicotomia poiché
si giustificano interventi in senso generalizzato
ma anche in senso previdenziale - assicurativo.
Un’importante distinzione da fare è quella fra
regime a capitalizzazione e regime a
ripartizione. Mentre nel primo i contributi di
oggi, versati dai lavoratori di oggi serviranno a
finanziare le pensioni future, nell’altro i
contributi versati dai lavoratori di oggi vengono
utilizzati per finanziare le pensioni di oggi dai
lavoratori di ieri.
Apparentemente il passaggio al sistema a
ripartizione sembrava compiere il miracolo
soprattutto per la prima generazione
sgravandoli da qualsiasi onere aggiuntivo, ma
nessuno si preoccupò del fatto che questo
meccanismo avrebbe presentato il conto nel
momento in cui si sarebbe dovuti tornare alla
capitalizzazione, che avrebbe costretto l’ultima
generazione a pagare la pensione di altri senza
nessuno che avrebbe in futuro pagato la sua.
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La crisi del sistema previdenziale inoltre e stata
causata dall’evoluzione demografica, con un
allungamento della vita media e diminuzione
del tasso di natalità, il che aggrava ancora di
più il sistema previdenziale, quindi essendoci
nella società mediamente più anziani (non in
attività) e meno giovani (in attività) c’è il
conseguente calo del mercato del lavoro. In
seguito la pensione pubblica è stata riformata
su vari aspetti per esempio, aumento dell’età
pensionabile da 60 a 65 per gli uomini (da 55 a
60 donne), maggior requisito contributivo
minimo, indicizzazione delle pensioni al costo
della vita e non alle retribuzioni.
Il trattamento pensionistico non si esaurisce
alla pensione pubblica, in quanto abbiamo il
secondo pilastro del sistema costituito dalla
pensione complementare introdotta nel 1992. Il
suo fine è quello di compensare i tagli
previdenziali per assicurare più elevati livelli di
copertura previdenziale. Con il secondo pilastro
si abbandona il sistema a ripartizione tornando
alla capitalizzazione in cui lavoratore, datore di
lavoro e Stato accantonano in un fondo
pensione delle somme (contributi) che sono
investite dagli operatori fino alla pensione del
lavoratore.
Il terzo pilastro è simile al secondo poiché ha
gli stessi meccanismi finanziari e di mercato. La
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caratteristica peculiare è il carattere individuale
dell’iniziativa, più particolarmente sono definite
forme di risparmio individuale di tipo
previdenziale o mediante contratti di
assicurazione (Pip polizze individuali