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Sintesi

Oltre ad aver delineato che cosa sono i fondi pensione, ho cercato di spiegare perchè oggi se ne parla tanto, il perchè di questa nuova riforma e che ruolo rivestono all' interno della riforma stessa.

Materie trattate: Economia aziendale, diritto, scienze delle finanze, geografia.

Estratto del documento

Istituto Tecnico Commerciale “Luigi Donati”

Mara Beltutti, V AG

a.s. 2006/207 1

INDICE

L’ invecchiamento della popolazione pag. 3

• 1. La popolazione in Italia pag. 4

La crisi del sistema pensionistico italiano pag. 6

• La riforma pag. 7

• 1. I tre pilastri della riforma previdenziale pag. 7

2. I pilastro pag. 8

3. II pilastro pag. 8

- Fondi pensione pag. 9

4. III pilastro pag. 9

- Contratti di assicurazione sulla vita pag. 10

- Fondi comuni di investimento pag. 10

- Fondi comuni mobiliari pag. 13

Conclusioni pag. 14

Bibliografia pag. 15 2

L’ INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE

La popolazione dei Paesi industrializzati è aumentata in maniera pressoché

costante negli ultimi 150 anni, riflettendo il declino dei tassi di natalità e

l’ aumento della speranza di vita.

La percentuale della popolazione con oltre 65 anni di età è aumentata

stabilmente in tutti i Paesi sviluppati dall’ inizio del ventesimo secolo.

Il baby boom che ebbe luogo nei 25 anni successivi alla seconda guerra

mondiale rappresentò un’ importante e inattesa deviazione della tendenza

al ribasso dei tassi di natalità: le previsioni sulla popolazione effettuate

nell’ immediato dopoguerra, infatti, ipotizzavano, in generale, un breve

aumento dei tassi di natalità in seguito al ritorno della pace, seguito dal

proseguimento della tendenza di lungo periodo verso una fertilità in

diminuzione.

Di conseguenza, la crescita della popolazione fu in media leggermente

superiore all’ 1% l’ anno durante il periodo 1950–1970, dopodichè quasi

tutti i Paesi industrializzati hanno sperimentato riduzioni drammatiche e

prolungate nei tassi di fecondità e di crescita della popolazione.

Un altro fattore di accelerazione del processo di invecchiamento della

popolazione è rappresentato dalla maggiore longevità degli anziani.

Progressi nelle cure mediche e sanitarie, fra gli altri fattori, hanno

contribuito ad un significativo aumento della longevità: negli Stati Uniti,

ad esempio, la speranza di vita all’ età di 65 anni è aumentata da meno di

15 anni nel 1970 a più di 17 anni nel 1990.

Secondo le previsioni da oggi al 2050 i tassi di crescita della popolazione

continueranno a diminuire fino a diventare, per un certo periodo, negativi

nella maggior parte dei Paesi industrializzati.

Inoltre si prevede che numerose popolazioni diminuiranno

significativamente il loro numero rispetto al 1990: Italia -26%, Germania

-12%, Giappone -11%.

Questi bassi tassi di crescita determineranno, inoltre, cambiamenti

rilevanti anche sotto il profilo della composizione della popolazione per

fasce d’età: mentre la proporzione di giovani con età inferiore ai 15 anni

sul totale diminuirebbe in maniera significativa, la quota di popolazione

con età superiore ai 65 anni aumenterebbe in tutti i Paesi e comincerebbe

3

a salire in maniera rapida dopo il 2010. Il tasso di dipendenza degli

anziani, ovvero il rapporto tra le persone con più di 65 anni e quelle di età

compresa tra i 15 e 65 anni d’età, aumenterebbe in maniera significativa

in tutti i Paesi industrializzati, raggiungendo livelli in alcuni casi molto

elevati (ad esempio il 69% in Italia) entro il 2050. Esistono comunque

differenze notevoli sulla misura e la velocità dell’ invecchiamento, anche

se si prendono in considerazione i solo Paesi industrializzati.

TASSO DI DIPENDENZA DEGLI ANZIANI: rapporto tra le persone con più di 65

anni e quelle di età compresa tra i 15 e i 65 anni

1990 2010 2030 2050

Stati Uniti 18,9 19,2 33 35,2

Giappone 17,2 32,3 44 56,5

Germania 21,7 27,7 40,4 51,5

Francia 21,3 25,6 40,1 46,8

Italia 21 30,4 47,9 68,8

Regno Unito 24,1 25 36,5 39,3

Canada 16,5 20,4 38,3 42,3

Belgio 22,6 25,1 40,2 43,5

Paesi Bassi 18,6 22,4 41,9 46,1

Svezia 27,7 27,9 37,9 39,4

Svizzera 20,9 24,6 44,4 49,7

LA POPOLAZIONE IN ITALIA

Al 31 dicembre 2005 la popolazione residente in Italia ammontava a

58.751.711 persone, un valore elevato, inferiore in Europa solo a quelli

della Germania, della Francia del Regno Unito.

Dalla data del primo censimento demografico nazionale (1861) la

popolazione italiana è più che raddoppiata, seguendo un ritmo di crescita

elevato e regolare fino alla metà del decennio 1970- 1980, dopo il quale ha

subito un forte rallentamento.

L’ indice di fertilità, ovvero il numero medio di figli per donna, è di appena

1,32 uno dei valori più bassi registrati in Europa occidentale. 4

La diminuzione del tasso di incremento naturale è legato essenzialmente

al calo della natalità, fenomeno comune a tutti i Paesi industrializzati, e si

spiega con le trasformazioni socio-economiche che hanno accompagnato il

passaggio della società italiana da agricola a industriale.

Il tasso di natalità in Italia è passato dal 32‰ nel 1901 al 18‰ nel 1951

per scendere al 9,5‰ nel 2005. Anche il tasso di mortalità è diminuito

costantemente, passando dal 30‰ nel triennio 1861-1863, al 18‰ negli

anni 1912-1914, per scendere a valori intorno al 9-10‰ alla fine degli anni

’60, dopodichè si è stabilizzato (9,7‰ nel 2005).

Negli ultimi decenni la vita media degli italiani si è allungata sensibilmente

e nel 2004 raggiungeva 77 anni per gli uomini e 83 anni per le donne.

Conseguentemente si è modificata la composizione per età della

popolazione, che ha visto aumentare il numero degli anziani e diminuire

quello dei giovani.

Gli abitanti con più di 60 anni rappresentano il 25,2% del totale, mentre

quelli al di sotto dei 15 anni appena il 14,2%.

L’ indice di vecchiaia, ovvero il rapporto tra coloro che hanno un’età

superiore ai 65 anni e i minori di 15 anni, è aumentato considerevolmente:

nel 1981 era pari a 61,7%, nel 2005 è salita al 137,7%.

La composizione della popolazione per età è un dato importante, perché ha

notevoli influenze sull’ economie del Paese.

Una popolazione giovane, infatti, presenta bisogni di vario genere, come

assistenza pediatrica, scuole e spazi per lo sport e il divertimento, oltre a

rappresentare un potenziale di forza lavoro.

Viceversa, l’ invecchiamento della popolazione determina altri problemi:

innanzitutto una riduzione della popolazione attiva e l’ aumento delle

persone pensionate; inoltre, crea bisogni diversi come l’ assistenza, case

di riposo e vacanze invernali e al mare.

Come conseguenza dell’ invecchiamento della popolazione le economie

dovranno dedicare una quota maggiore del prodotto per sostenere una

popolazione anziana relativamente più numerosa. Sotto un sistema

pensionistico pubblico a ripartizione, indicizzato ai salari reali e

finanziato attraverso contributi previdenziali, le conseguenze del baby

boom e il successivo crollo delle nascite (baby bust) ricadono interamente

sulle coorti più piccole della generazione del baby bust. 5

Tratterò ora le conseguenze economiche di questo fenomeno sociale, e

l’impatto che ha avuto sul sistema pensionistico italiano.

LA CRISI DEL SISITEMA PENSIONISTICO

ITALIANO

Dalla metà degli anni ’70 il sistema previdenziale italiano entra in una fase

di progressivo disavanzo.

A causa delle generose politiche pensionistiche e della progressiva

espansione del welfare state, il rapporto tra prestazioni previdenziali e

contributi è salito da un valore vicino al 100% (1976) e quindi di

sostanziale equilibrio tra entrate e uscite, al 135% del 1986.

Nell’ arco di 30 anni la spesa per pensioni è cresciuta incessantemente:

da un livello del 5% del PIL nel 1960 è passata, di decennio in decennio, al

7,4, al 10,2 e infine al 12,8% del 1990.

La differenza tra pensioni e contributi doveva quindi essere coperta da

un crescente intervento dello Stato pari a, nel 1990, 50 mila miliardi di

lire in un anno, quasi la metà di tutta l’ Irpef incassata.

Tale onere, inoltre, andava ad affiancarsi ai forti squilibri già esistenti

nelle altre voci di spesa, come la sanità, l’ istruzione, le imprese pubbliche,

e agli alti tassi di interesse che colpivano il debito pubblico, aggravando

ulteriormente la situazione finanziaria dello Stato.

L’ adesione al Trattato di Maastricht nel 1992 e l’accettazione dei

parametri economici per la partecipazione alla moneta unica ha reso

necessario un forte contenimento del disavanzo previdenziale, imponendo

maggiori contributi, riduzione dei trattamenti, blocco delle pensioni,

riforma del sistema, affinché il rapporto disavanzo pubblico/PIL potesse

diminuire da oltre il 10% dei primi anni ’90 al 3%, e rispettare, così,

quanto previsto dal Trattato stesso.

L’ intervento sulle pensioni fu, dunque, determinante per il riequilibrio dei

conti pubblici e la partecipazione dell’ Italia all’ UEM: per poter andare

subito in Europa gli italiani hanno dovuto non andare subito in pensione. 6

LA RIFORMA

All’ inizio degli anni ’90, quindi, il sistema della previdenza pubblica andava

riformato. In particolare, era necessario applicare criteri di

proporzionalità tra contributi e pensioni, senza perdere, però, il consenso

dell’ ultima generazione che aveva pagato le pensioni ai precedenti

lavoratori e non aveva più la possibilità di godere di un uguale

trattamento.

Tale riforma in un paese democratico come l’ Italia richiedeva, secondo gli

studiosi, due condizioni indispensabili: innanzitutto dei tempi lunghi

affinché il passaggio potesse essere graduato e mantenere, così, il

consenso dei lavoratori, evitando di disinnescare la “bomba demografica”

innescando una “bomba sociale”; inoltre dovevano essere predisposti nuovi

strumenti previdenziali, complementari rispetto alla pensione pubblica,

capaci di ridurre se non annullare gli effetti del taglio dei benefici

pensionistici.

Sono stati necessari tre anni e tre governi (Amato, Ciampi e Dini) per dar

forma e attuazione, tra il 1992 e il 1995, al nuovo sistema pensionistico.

I TRE PILASTRI DELLA RIFORMA PREVIDENZIALE

Visti questi interventi restrittivi e tenendo presenti le esperienze dei

Paesi più evoluti, la riforma previdenziale ha disegnato la nuova pensione

come somma di tre componenti distinte, tre pilastri su cui si poggia il

nuovo trattamento pensionistico:

1. La pensione pubblica, frutto dell’ Assicurazione Generale

Obbligatoria per coloro che hanno lavorato per un certo numero di

anni (pensione di anzianità), o che hanno raggiunto una certa età

(pensione di vecchiaia), o che sono inabili al lavoro (pensione di

invalidità), erogata in generale dall’ Inps secondo le nuove regole di

calcolo; 7

2. la pensione complementare, ricavata dalla partecipazione ai fondi

pensione, in regime di capitalizzazione effettiva, con investimento

dei versamenti in attività del mercato finanziario;

3. la pensione integrativa individuale, frutto dei risparmi aggiuntivi

stabiliti dai singoli cittadini per un investimento espressamente

finalizzato alla pensione, come ad esempio i Contratti di

Assicurazione sulla vita con finalità previdenziali o i Fondi Comuni d’

investimento.

I PILASTRO:

Per quanto riguarda il primo pilastro, sono stati effettuati interventi

restrittivi riguardanti diversi aspetti:

elevamento da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 anni per le

donne dell’ età pensionabile dei lavoratori dipendenti;

un maggior requisito contributivo minimo;

• il ricalcalo della retribuzione pensionabile come media delle

retribuzioni passate prendendo in considerazione l’ intera vita

lavorativa dell’ assicurato;

minori diritti i integrazione al trattamento minimo;

• restrizioni sulle pensioni d’ anzianità;

• progressiva parità tra dipendenti pubblici e privati;

• indicizzazione delle pensioni al costo della vita (e non alle

retribuzioni).

II PILASTRO:

Nel nuovo regime il trattamento pensionistico non si esaurisce con la

pensione pubblica. Il secondo pilastro del sistema è costituito dalla

pensione complementare, che rappresenta la vera novità introdotta dalla

riforma del 1992.

La novità del secondo pilastro, come spesso succede, è un ritorno all’

antico. Si abbandona la logica del regime a ripartizione per rimettere in

funzione un vero e proprio regime a capitalizzazione. 8

Al centro di tale pilastro è il fondo pensione, un soggetto relativamente

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