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2
Introduzione
2
L’incognita come presenza oscura nell’Universo: i buchi neri
3
Lo studio di funzione: un metodo per svelare le incognite
matematiche 6
L’incognita dell’identità: Pirandello e l’inconoscibilità del reale
9
La poesia in relazione all’incognita dell’io: Eugenio Montale
12
I precursori della crisi dell’io: Schopenhauer e Kierkegaard
13 3
La fine di ogni certezza: Nietzsche e la morte di Dio
14
Il labirinto della psiche umana: Freud e l’incognita
dell’inconscio 16
L’incognita sta nel visibile: Renè Magritte
18
Bibliografia
20
La mia passione verso la continua scoperta mi ha permesso di
approfondire l’ambito dell’ignoto, sia dal punto di vista scientifico,
sia dal punto di vista umanistico ed è nato così questo mio percorso
tematico. 4
Le incognite sono un tratto fondamentale della vita dell’uomo:
l’uomo dà senso alla vita perché ricerca costantemente ciò che non
gli è dato conoscere, ciò che va
oltre i suoi limiti.
Siamo circondati dalle incognite:
partendo da un certo istante, è per noi
incognito ciò che potrebbe
accadere nell’istante successivo e
così via.
E proprio nel non poter prevedere
risiede, secondo me, il fascino
delle incognite; il difetto dell’uomo di
non poter conoscere tutto è allo
stesso tempo il suo più grande privilegio, è ciò che lo spinge ad
andare oltre.
Chi sostiene che la conoscenza totale di tutto (futuro compreso),
sarebbe un dono grandissimo, sbaglia: senza l’incognita si
perderebbe il gusto di vivere giorno per giorno. La vita è anche non
sapere che cosa potrà capitare domani, tra un’ora, tra due
secondi… Il fascino della scoperta è più intrigante in confronto al
piatto e banale orizzonte delle certezze: per questo la vita e il
mondo devono rimanere in funzione delle incognite. Ho deciso
quindi di trattare l’argomento partendo dalle incognite più grandi,
riguardanti l’Universo, fino ad arrivare alle incognite riguardanti un
granello di sabbia nell’Universo, quale l’uomo. 5
Il termine “black hole ”, ossia buco nero, è stato coniato dal fisico John
Wheeler nel 1969, ma l’intuizione che
potessero esistere corpi di densità e massa
sufficientemente grande da poter attirare
persino i raggi di luce, risale addirittura alla
fine del ‘700, da parte del francese Pier
Simon De Laplace e dell’inglese J. Mitchell.
Mitchell ipotizzò l’esistenza di “dark stars”,
ossia di stelle nere, nelle quali la velocità di
fuga potesse essere superiore alla velocità
della luce.
Soltanto però agli inizi del ‘900 fu possibile definire questi corpi.
I buchi neri rappresentano lo stadio finale dell'evoluzione di alcune stelle.
Verso la fine del proprio ciclo vitale, dopo che l’idrogeno si trasforma in elio, nel
nucleo della stella si arrestano le reazioni di fusione nucleare. Questo provoca
un mutamento della stella poiché in essa, che si origina grazie all’equilibrio
della forza gravitazionale e della pressione generata dalle reazioni nucleari,
prevale la forza gravitazionale che causa la contrazione della massa stellare
verso il suo centro.
La contrazione determina l’aumento della densità e della temperatura tanto
che s’innescano nuove reazioni di fusione nucleare e l’elio si trasforma in altri
elementi (dal litio fino all’ossigeno e al silicio).
A questo punto il suo destino è dettato dalla
sua massa:
le stelle più piccole (di dimensioni simili a
quelle del Sole) si evolvono diventando
nane bianche: si contraggono sempre di più,
aumentando quindi la loro temperatura.
(S’ipotizza poi che pian piano si spengano,
diventando nane nere);
le stelle con massa superiore rispetto a
quella del Sole da 3 a 10 volte possono
terminare con un collasso gravitazionale di
grosse proporzioni tanto da provocare un 6
enorme rilascio di energia che causa a sua volta l’esplosione definitiva della
stella: la supernova.
Ora, una parte del materiale rilasciato viene lanciata nello spazio mentre
l’altra parte riprende a contrarsi, gli elettroni e i protoni si fondono, dando
origine a una stella di neutroni.
le stelle con massa superiore di 10
volte o più quella del Sole si
trasformano in supernove, ma il
materiale rimasto si contrae
sempre di più e la densità arriva a
livelli inimmaginabili. La forza
gravitazionale diviene altissima
tanto che nulla si può allontanare da
questo corpo, che viene chiamato
appunto buco nero.
I buchi neri sono definiti come dei corpi celesti estremamente densi e dotati
per questo di un’altissima forza gravitazionale, che non permette
l’allontanamento di nessuna entità da esso.
A causa delle loro caratteristiche, i buchi
neri non possono essere osservati
direttamente, ma possono essere scoperti
a causa degli effetti di attrazione
gravitazionale che esercitano nei confronti
della materia vicina.
Ogni corpo celeste la cui gravità non è trascurabile è caratterizzato da una sua
velocità di fuga tanto maggiore quanto è maggiore la sua massa e minore è il
suo raggio. La velocità di fuga è dunque la velocità che un corpo qualsiasi
deve raggiungere (o superare) per sfuggire dall’attrazione gravitazionale di un
corpo astronomico.
Essa è definita dalla formula: 7
√ 2 GM
=
V f R
Dove: 2
N ∙ m
−11
G è la costante gravitazionale e vale ,
6,67 ∙ 10 2
Kg
M è la massa del corpo,
R è la distanza in cui si vuole calcolare la velocità di fuga.
I buchi neri sono oggetti così compatti che la loro velocità di fuga è pari o
superiore a quella della luce, c = 300000 chilometri al secondo. Dal momento
che nulla in natura può superare tale velocità, questo significa che niente può
abbandonare un buco nero, luce compresa.
Poiché neanche la luce riesce a fuggire da quest'orizzonte, l'oggetto celeste
risulta invisibile: la sua presenza può essere attestata solo indirettamente.
Un’altra caratteristica dei buchi neri è il cosiddetto orizzonte degli eventi, detto
anche “punto di non ritorno”, una superficie ideale che circonda l'oggetto.
Qualunque cosa oltrepassi questo limite, posto a una distanza dal centro del
buco nero, pari al Raggio di Schwarzschild, non può più uscirne o trasmettere
segnali all’esterno.
Il Raggio di Schwarzschild è definito dalla formula:
2 GM
=
R s 2
c
Dove: 2
N ∙m
G è la costante gravitazionale e vale −11
6,67 ∙
10 2
Kg
M è la massa del corpo,
C è la velocità della luce
Il caso dei buchi neri è paradigmatico perché possiamo
immaginarli come oggetti la cui forza di gravità è elevatissima,
ricadendo così nella “regione di competenza” della Relatività, ma
che contemporaneamente diventano così piccoli da richiedere per
alcuni aspetti un trattamento basato sui principi della Meccanica
Quantistica. L’incognita nasce dal fatto che le due teorie si basano
su presupposti non compatibili tra loro e quindi risultano inconciliabili. 8
studio di funzione
Per s’intende quell’insieme di procedimenti che hanno lo
scopo di analizzare una qualsiasi funzione in modo tale da poterne
(
y=f x)
poi tracciare il grafico.
1. Si determina il dominio o insieme di definizione o esistenza, dopo aver
classificato la funzione:
funzioni fratte
Le non esistono se il denominatore è nullo. Quindi se
( )
g x
( )=
f x ( )
; allora h x ≠ 0 ;
( )
h x √
funzioni irrazionali 2
Le di ordine pari non esistono
( )=¿
f x (x)
g
se ;
g( x)< 0
funzioni logaritmiche y=log x
Le esistono purchè
a>0 ;
a
funzioni esponenziali
Le esistono purchè ;
x a>0
y=a
funzioni goniometriche:
Le
seno e coseno esistono per tutti i numeri reali;
► { π }
+
la tangente e la secante esistono tranne per ;
kπ
► 2 { }
la cotangente e la cosecante esistono tranne per ;
k π
► −1
l’arcoseno e l’arcocoseno esistono per .
≤ x ≤ 1
►
2. Si determinano eventuali simmetrie e periodicità:
Se la funzione è pari, quindi allora la funzione è
( )=f (−x )
f x ,
simmetrica rispetto all’asse y;
Se la funzione è dispari, quindi , allora la funzione è
( )=−f
(
f x x)
simmetrica all’origine degli assi;
Se la funzione è periodica di periodo T, basterà studiarla
nell’intervallo di ampiezza T.
3. Si determinano eventuali intersezioni con gli assi cartesiani; 9
4. Si studia il segno della funzione, risolvendo per determinare
(
f x)>0,
per quali valori la funzione risulta positiva;
5. Si cercano eventuali asintoti:
( )
lim f x
se calcolando il otteniamo un numero finito , allora è
l
x →∞
presente un asintoto orizzontale di equazione y=l ; ( )
lim f x
se esistono punti di discontinuità , calcoliamo il e se
c x→ c
otteniamo allora è presente un asintoto verticale di equazione
∞
;
x=c
per gli asintoti obliqui si calcola il coefficiente angolare,
(
f x) , e se , si procede a calcolare il termine noto,
m≠ 0
m=lim x
x→ ∞ [ ]
( )−mx
q=lim f x .
x→∞ ' '
( ) ( )=0
6. Si calcola la derivata prima e si risolve l’equazione , per
f x f x
determinare i punti stazionari. Si studia quindi il segno della derivata
prima per controllare per quali valori la funzione risulta crescente o
decrescente. In questo modo si determinano i punti di massimo o
minimo relativo. ' '
7. Si calcola infine la derivata seconda , se ne studia il segno in
(
f x)
modo tale da determinare i valori in cui volge concavità verso il basso o
verso l’alto, deducendo quindi i punti di flesso.
N.B.: per il calcolo dei massimi, dei minimi e dei flessi si può ricorrere anche
al metodo delle derivate successive.
Seguendo scrupolosamente questa serie di procedure, si arriva a svelare le
incognite e ciò ci permette di tracciare quindi il grafico della funzione.
Esempi di studio di funzione: 10
+1
x
( )=
f x 2 +1
x y x
4 2
( )=x −2
f x x y x
11
I primi decenni del '900 sono contrassegnati da un diffuso senso di crisi, di
vuoto e di precarietà.
Infatti, ciò che caratterizza questo periodo è la perdita dei valori su cui si
fondavano la società e la cultura ottocentesca: si arriva appunto al crollo della
corrente positivista, che riponeva un’ingenua fiducia nel progresso e nelle
possibilità delle scienze sperimentali, esaltate come unico e infallibile
strumento di conoscenza di qualunque aspetto della realtà.
Questa situazione di crisi del movimento positivista, che aveva fornito le
giustificazioni ideologiche a queste certezze, provoca nell'uomo il disfacimento
dei valori e la perdita di punti di riferimento stabili.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria crisi sempre più accentuata
dell'individuo, della sua stessa identità; viene messa in discussione l’idea di
una realtà oggettiva e della sicurezza del rapporto con essa da parte dell’uomo.
A questo punto, l’unica certezza dell’uomo diventa l’impossibilità di conoscere
tutto, di arrivare a una verità assoluta. L’uomo del Novecento fa suo, quindi,
l’insegnamento socratico:
“Io so di non sapere.”
E’ proprio su questi temi che s’incentra la maggior parte della produzione
artistica novecentesca, tra cui anche la produzione di Luigi Pirandello.
La visione del mondo e della vita pirandelliana è inizialmente
prettamente vitalistica: la realtà è tutta vita, è un perpetuo
movimento vitale, un’incessante trasformazione da uno stato
all’altro.
Per Pirandello, però, questo flusso vitale viene spento e
contrastato da qualunque tipo di società organizzata che
impone all’uomo le così dette “forme”, le maschere, cioè tutte
quelle costruzioni fittizie che bloccano il flusso dell’esistenza.
Ma sotto quelle maschere non c’è nessuno; vi è un fluire di stati
incoerenti e in perenne trasformazione.
Ciò porta alla crisi e alla frantumazione dell’io, l’uomo arriva appunto a capire
che non esiste nessuna certezza, tutto è relativo.
Caratteristico della visione pirandelliana è anche il concetto di “relativismo
conoscitivo”, ossia non è possibile conoscere una realtà oggettiva, perché
anche la realtà come l’io è in perpetuo divenire, è multiforme e ognuno ne ha la
sua interpretazione.
Il primo romanzo pirandelliano in cui mette in scena la molteplicità
dell’esistenza è “Il fu Mattia Pascal”, pubblicato a puntate nel 1904 sulla rivista
“La nuova antologia” e poi anche in volume.