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La vita
1.
Luigi Pirandello nacque nel 1867 ad Agrigento (chiamata Girgenti fino al 1927)
in una villa paterna detta “Il Caos”(assumendo spesso il nome della villa e
definendosi “figlio del caos”), da Stefano Pirandello –garibaldino durante la
spedizione dei “mille”- e da Caterina Ricci Gramitto –di famiglia
tradizionalmente antiborbonica-.
Nel 1880 si trasferì a Palermo dove frequentò gli studi liceali e dove la famiglia
si era trasferita dopo un dissesto finanziario.
Dopo il liceo si iscrisse contemporaneamente sia alla facoltà di legge che alla
facoltà di lettere a Palermo e nel 1887 si trasferì alla facoltà di lettere a Roma,
dalla quale fu costretto ad allontanarsi dopo un diverbio con il preside.
Si iscrisse allora all’università di Bonn dove si laureò nel 1891; in questa città,
nel 1890, conobbe ad una festa in maschera Jenny Shultz-Lander (alla quale poi
dedicò il volume di poesie intitolato “Pasqua di Gea”), una ragazza di cui si
innamorò e che rivestirà una parte importante nella sua vita in quanto gli
rimarrà per sempre dentro l’amarezza di un amore non realizzato.
Nel 1891, anno della sua laurea, si trasferì a Roma ottenendo dal padre un
assegno mensile. Nel 1892 ebbe i primi contatti con il mondo letterario grazie a
Luigi Capuana. Cercò di superare le difficoltà economiche attraverso la
collaborazione con varie riviste (ad esempio “Marzocco” e “Nuova antologia”)
Nel 1894 si sposò con Maria Antonietta Portulano, figlia di un socio del padre
(era in realtà un matrimonio combinato), e l’anno seguente nacque il primo
figlio stefano.
Nel 1897 ottenne l’insegnamento presso l’Istituto Superiore di Magistero a
Roma.
Nel 1897 e nel 1899 nascono i figli Rosalia (Lietta) e Fausto.
L’allagamento della zolfara del padre (1903), nella quale lo scrittore aveva
investito i propri averi e la dote della moglie, lo fece precipitare in un
gravissimo dissesto finanziario. La Portulano entrò in depressione fino ad
essere ricoverata in una casa di cura per malattie mentali, dove sarebbe
rimasta fino alla morte.
Pirandello, con il successo de “Il fu Mattia Pascal”, collaborò con il “Corriere
della sera”. Scriveva intanto “L’Umorismo” ed “Arte e Scienza”, che gli
favorirono il ruolo di Prof. Universitario di lingua italiana, stilistica e
precettistica.
Con gli anni della guerra passò dalla parola scritta alla parola recitata. 3
Anno triste fu il 1915, sia per l’entrata in guerra dell’Italia, sia per il figlio
Stefano che partì volontario per il fronte, dove venne fatto poi prigioniero, sia
per la morte della madre.
Dal 1925 al 1928 fu direttore artistico del Teatro D’Arte a Roma, anni nei quali
si distingueva l’attrice Marta Abba, cui lo scrittore si sarebbe legato vedendola
come musa ispiratrice. Al teatro consegnò i capolavori: “Sei personaggi in cerca
d’autore”, “Enrico IV”, ed ebbe successo anche a New York, Tokyo e Buenos
Aires.
Nel 1926 pubblicò il romanzo “ Uno, nessuno e centomila”, qualche anno dopo
ricevette a Stoccolma il Premio Nobel per la Letteratura e nel 1936, dopo due
anni dal premio, morì a Roma, lasciando incompiuta “I giganti della montagna”.
Le sue ceneri, come aveva scritto nel suo testamento, vennero sepolte sotto il
pino della villa del “caos”.
I temi dell’arte Pirandelliana
2.
Il punto di partenza per la comprensione dello scrittore è la poetica (perché
ruota sul concetto di umorismo) e l’estetica (perché fondata sull’origine
irrazionale dell’opera d’arte).
Dalla fusione di questi due concetti hanno origine i temi dell’arte Pirandelliana,
che sono:
- La denuncia della coscienza smarrita dell’uomo moderno, vittima di
lacerazione e conflitti irrisolti;
- Lo sdoppiamento dell’ ”io”, con la creazione all’interno di sé di
personalità multiple e contrastanti (es: “Io e l’ombra mia”);
- La dialettica tra finzione e realtà, tra essere ed apparire;
- Il tema della pazzia, emblemizzato nella grandiosa figura di Enrico IV
(non è difficile accomunare Enrico IV alla moglie di Pirandello);
- Il difficile rapporto con la vita;
- L’irrisolto conflitto tra la vita e la forma e la ricerca della vita
potenziale (es: “La Carriola”);
- La caduta di ogni realtà oggettiva, la vuota astrazione delle parole,
l’incomunicabilità, il relativismo (es: “La composizione e
scomposizione dell’io”);
- surreali;
La presenza di dimensioni
Le novelle per un anno
3.
Pirandello divise la sua vasta produzione di novelle in quindici libri: voleva
scrivere 365 novelle, ma ne scrisse solo 250.
Ne è fuoriuscito un frammentato serbatoio di casi umani, situazioni paradossali.
Le novelle, focalizzate su un’umanità contadina e popolare siciliana, si aprono
ad un arco di scrittura quarantennale.,
I temi sono:
- Il tema del caso della vita come “grande pupazzata”;
- La falsità dei rapporti sociali e la crudeltà delle convenzioni;
- Un destino violento che infrange le illusioni umane;
- Il vano tentativo di ribellione alle ingiustizie di una società ipocrita; 4
- La pena di esistere.
Pirandello Romanziere
4.
A differenza delle novelle, il romanzo appare più analitico. A monte rimane
sempre l’umorismo dello scrittore e la disgregazione del personaggio.
Il primo romanzo, “Marta Jola”, fu pubblicato con il nome “L’esclusa”. La
vicenda siciliana tratta la storia di una donna accusata ingiustamente di
adulterio dal marito, e poi riammessa in casa quando l’adulterio era stato
realmente consumato.
Pirandello è interessato all’ottusità provinciale. “Il Turno” è basato sulla
comicità paesana e con “Il fu Mattia Pascal” si supera il naturalismo e si
libera l’umorismo.
“I vecchi e i giovani” è di tema storico sui giovani che colpirono la Sicilia.
Mettendo a fuoco le vicende della nobile famiglia di Girgenti, i Laurentano,
Pirandello mette a confronto la generazione dei vecchi e dei giovani. Don
Cosmo Laurentano guarda i fatti della vita con “un cannocchiale rivoltato”.
“Si gira” ha un impianto diaristico, in cui la voce narrante coincide con il
protagonista.
Con “Uno, nessuno e centomila” Pirandello affronta l’incomunicabilità,
l’astrazione delle parole, la nullificazione dell’io, il relativismo e la mancanza
della verità oggettiva.
La stagione teatrale e il successo internazionale
5.
Il teatro pirandelliano, a differenza di quello dannunziano, ebbe un gran
successo sia in Italia sia all’estero e le sue opere furono rappresentate anche
durante la vita dell’autore.
Soltanto intorno al 1910 Pirandello si decise ad affrontare anche le scene, pur
avendo scritto fin dall'adolescenza testi teatrali, ma l'anno decisivo per la
notorietà fu il 1921, quando, per la sua audacia sperimentale, ottenne a
Milano un clamoroso successo, che proseguì subito dopo in America.
I principi fondamentali del teatro pirandelliano sono:
· Autonomia del personaggio rispetto all’autore.
· Dissacrare il momento artistico mediante l’arte stessa.
Pirandello mette, infatti, al centro della scena i personaggi, mentre l’intreccio
diventa secondario; non si limita a rappresentare una scena, ma contesta il
teatro attraverso il teatro ponendo l’accento sull’elemento artificioso
(mostrando, ad esempio, la scena), sulla maschera e l’invito agli spettatori di
diffidare di ciò che vedono (v. “Sei personaggi in cerca d’autore”). Questa
tecnica in letteratura è definita costruzione an en abîme (in abisso).
“Sei personaggi in cerca d’autore” fa parte della trilogia definita “Teatro nel
Pirandello vuole dare agli spettatori l’idea che siano essi stessi gli
teatro” (
attori, così il teatro è realtà e la finzione è ciò che c’è attorno oltre a
.),
“Ciascuno a modo suo” e “Questa sera si recita a soggetto”. Con questa trilogia
5
Pirandello raggiunge gli obiettivi teorici che si era preposto: l’autonomia dei
personaggi è spinta al massimo, l’autore non c’è e di conseguenza non c’è
nemmeno un significato della scena, ma tanti significati quanti sono i
personaggi. La novità di “Sei personaggi in cerca d’autore” sta nel modo in cui
Pirandello immagina il dramma, organizzato in tre piani in conflitto tra loro:
· I fatti accaduti in passato.
· I personaggi presenti che interpretano in modi diversi i fatti passati.
· La storia interpretata dagli attori.
Le prime opere teatrali di Pirandello (La morsa, Lumie in Sicilia) rientrano
ancora nell’ambito del teatro veristico-naturalistico, ruotante sull’adulterio,
sulle oppressioni della famiglia e sui problemi economici. Ad esse si affianca
una produzione dialettale, poi riproposta in lingua (Liolà, Pensaci, Giacomino!, Il
berretto a sonagli).
Fra il 1917 e il 1918 vanno in scena tre commedie finalizzate a mettere in crisi
il mondo borghese: “Così è(se vi pare)”, “Il piacere dell’onestà”, “Il giuoco delle
parti”.
Queste opere sono esempio di funzione dell’umorismo, con il grottesco della
rappresentazione.
“Maschere nude” è l’esplosione di tutte le contraddizioni che lacerano il
personaggio. Di un anno dopo è “Enrico IV”, momento di passaggio dal
personaggio umoristico al personaggio tragico.
Le sue opere furono e sono poste tuttora in scena a Parigi, Atene, Londra e New
York. Il linguaggio pirandelliano
6.
Il linguaggio pirandelliano è antiestetizzante e antieroico e portato al
particolare concreto. Per Pirandello il linguaggio è espressione diretta dei
sentimenti del personaggio. Diverse le tecniche narrative: vi troviamo la
presenza diffusa del personaggio che si narra e del monologo interiore (Il fu
Mattia Pascal, Uno nessuno e centomila, La carriola).
Le scelte stilistiche sono molteplici: il vivace, il sentimentalistico, l’elegiaco, il
pensoso-sospensivo, il surrealistico, il caricaturale.
Concetto di umorismo
7.
“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non
si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente
imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere.
Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che
una vecchia signora rispettabile signora dovrebbe essere.
Posso così arrestarmi a questa impressione comica. Ma se 6
ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che
quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a
pararsi così, come un pappagallo. […] Ecco che io non
posso più ridere come prima, perché appunto la riflessione
mi ha fatto andare oltre a quel primo avvertimento: da
quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a
questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza
tra comico e umoristico.”
Da L’Umorismo
Pirandello pone una differenza fondamentale tra l’opera d’arte e quella
umoristica.
Nell’opera d’arte artistica cerca di armonizzare tutte quante le parti, e
mentre lo fa, sotto la spinta dell’ispirazione, la coscienza dell’artista tace.
L’umorista, invece, nel momento in cui si accinge a fare la sua opera, ha
vicino a sé una coscienza vigile, che giudica la sua opera momento per
momento.
Il comico si pone ad un livello di conoscenza epidermica e superficiale del
reale, scatena un riso immediato e incontrollato; il sentimento del contrario,
invece, si pone ad un livello di conoscenza ben più profondo ed incisivo e
porta alla somposizione di ciò che appare compatto ed omogeneo.
Il sentimento del contrario ha il compito di agire in profondità sull’ “io”,
mettendone in evidenza tutte le spaccature, le contraddizioni e, agendo
come una sorta di forza centrifuga, lo sdoppia e lo scompone radicalmente.
L’umorismo pirandelliano, quindi, si presenta come l’amara miscela del
comico e del tragico, ovvero come tragicomico.
Uno, nessuno e centomila (1926)
I . Mia moglie e il mio naso.
"Che fai?" mia moglie mi domandò, vedendomi
insolitamente indugiare davanti allo specchio.
"Niente," le risposi, "mi guardo qua, dentro il naso, in
questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino."
Mia moglie sorrise e disse:
"Credevo ti guardassi da che parte ti pende." 7
Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la
coda:
"Mi pende? A me? Il naso?"