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Tesina sul Teatro
Si nota come questo tipo di situazioni siano difficili da inscenare e gli studiosi si sono quindi chiesti
se le tragedie fossero state pensate per essere recitate o meno. Si crede che, proprio per la crudezza
di alcune scene e in particolar modo per una certa letterarietà in cui prevale l'aspetto morale sulla
vicenda drammatica, i drammi senecani fossero destinati esclusivamente alla lettura o alle
pubbliche recitationes e non alla rappresentazione teatrale vera e propria, anche perché molto
probabilmente così si sarebbero focalizzati sull'aspetto recitativo e "scenografico" a discapito
dell'intento filosofico-moralistico.
Notiamo allora come il problema dell'influenza dell'atto recitativo sul messaggio del testo scritto,
fosse, anche se indirettamente, già presente fin dalla latinità.
La "Commedia dell'Arte" e il teatro dell'attore
Andando avanti con i secoli per arrivare a fine Rinascimento possiamo notare una prevalenza del
teatro dello scrittore, o per meglio dire come, durante gli eventi spettacolari di quel periodo, il teatro
recitato tendeva a mettere maggiormente in luce l'opera dello scrittore che non il lavoro dell'attore il
quale molto spesso era dilettante e questo permetteva quindi una maggiore attenzione da parte del
pubblico su ciò che andava a recitare (il testo, le parole) e non sul modo in cui lo faceva.
Ma nel 1500 abbiamo un cambiamento in tutta questa struttura teatrale dovuto al fatto che in questo
periodo andava sempre più affermandosi la "Commedia dell'Arte", con la quale i ruoli vengono
ribaltati e il primato spetterà alla drammaturgia d'attore, un modo di recitare che risulta autonomo,
in parte o del tutto, dal testo scritto ponendo in rilievo la bravura e la maestria degli attori. I comici
dell'arte non si limitano dunque a recitare "bene" copioni anche di scarso valore, essi creano
veramente la propria parte e lo spettacolo intero sul palcoscenico. Fu proprio per questo motivo che
venne anche denominata "commedia all'improvviso".
Il termine "Commedia dell'Arte" ha bisogno però di spiegazioni, soffermiamoci quindi a delineare
quelli che sono i suoi caratteri principali. La "Commedia dell'Arte" nasce verso la metà del 1500 in
ambienti di corte e culturalmente elevati, per svilupparsi poi per tutto l'arco del '600 ed esaurirsi a
metà del '700.
In questo caso il termine "Arte" non possiede l'accezione che diamo noi oggi, ma sta a significare
"attività artigiana", poiché gli attori che recitavano erano considerati a tutti gli effetti come tali dal
momento che essi creavano un qualcosa, il recitare era considerato quindi come una professione al
pari di tutte le altre.
La "Commedia dell'Arte" venne conosciuta in tutta Italia (e si diffuse poi anche in Europa) perché
le compagnie di attori si spostavano, viaggiavano fermandosi poi nelle piazze dei paesi cercando di
guadagnare qualcosa improvvisando ogni volta un nuovo spettacolo. Anche qui bisogna specificare
il significato del termine: improvvisare non vuol dire che gli attori salissero sul palco non avendo la
benchè minima idea di cosa andare a recitare inventandosi ogni volta le battute e la trama della
commedia. Gli attori infatti avevano dei canovacci fissi che davano le "linee guida" delle varie
commedie e allo stesso modo avevano delle battute prefissate da adattarsi alle varie situazioni che
potevano essere rappresentate in un canovaccio.
Nella "commedia" inoltre erano presenti dei personaggi, detti anche "maschere", fissi che
rappresentavano i vari livelli della scala sociali. A noi sono rimasti solo quelli più importanti che
sono:
ARLECCHINO, è la tipica maschera veneziana nonostante egli sia bergamasco, alla fine infatti
finisce per parlare veneziano. Egli è un sognatore, è fine ed è complementare di Brighella.
BRIGHELLA, anche lui bergamasco che, come Arlecchino, finisce per parlare veneziano. Lui
ed Arlecchino sono complementari, infatti Brighella, al contrario dell'amico, è più concreto e
sua unica preoccupazione è poter mettere qualcosa dentro allo stomaco.
BALANZONE, dottore in legge, è bolognese.
PANTALONE, è un mercante veneziano, molto avido e che fa di tutto per spendere il meno
possibile.
COLOMBINA, è la moglie di Pantalone
PULCINELLA, è la tipica maschera napoletana e rappresenta la critica al potere politico
IL CAPITANO, che rappresenta il controllo della legge.
Questi personaggi venivano anche denominati "maschere", proprio perché una loro caratteristica era
la recitazione con le maschere a mezzo volto, la mimica facciale quindi era decisamente importante
dal momento che, parlando in dialetto, spesso non era comprensibile ciò che dicevano, perciò per
sopperire a questa mancanza di comprensione essi si facevano capire tramite i movimenti della
faccia e anche del resto del corpo.
Ricapitolando, in questo periodo si afferma la "Commedia dell'Arte" nella quale il fulcro di tutto era
l'attore e la sua recitazione "improvvisata" che gli permetteva di riarrangiare ogni sera nuove
commedie. Ma tutto questo meccanismo non è completo senza il "lazzo". I lazzi sono scherzi,
arguzie, giochi di parole e la loro efficacia è strettamente legata al gesto. Ora, a differenza di ciò che
riguarda le parole, ci rimane ben poco di quei repertori di gesti che tanto dovettero risultare
importanti nella riuscita di uno spettacolo. Questo anche perché come sappiamo l'arte del recitare è
volatile, non può essere fissata. Quello che a noi rimane sono i testi, i copioni, ma non gli spettacoli
con i gesti e il modo di recitare degli attori. In ogni caso sono arrivati fino a noi, se non esempi di
lazzi gestuali, almeno degli scritti di lazzi vebali:
Lazzo dell'O
Il lazzo dell'O è quando Coviello dimanda a Pulcinella come ha nome la sua innamorata; Pulcinellla
che cominci per O, e l'indovini. Coviello dirà: <<Orsola, Olimpia, Orcana>>. Poi Pulcinella dice
che si chiama Rosetta. Coviello che comincia per R e non per O; Pulcinella: <<E io voglio
cominciare dall'O, tu che vuoi?>>.
Lazzo della scarpa
E' quando vogliono portare carcerato Pulcinella; lui dice volersi legare una scarpa e, chinandosi,
prende li due sbirri per li piedi e li fa cadere, e lui via.
(riportato in R.Tessari, Commedia dell'Arte, cit., pp. 91-92)
Questa fu la struttura della "Commedia dell'Arte" che fece conoscere in tutta Europa i comici
italiani. La riforma Goldoniana
Ma lentamente questa struttura iniziò a sfaldarsi poiché, come Goldoni noterà, dopo la splendida
stagione vissuta precedentemente, la Commedia dell'Arte era in decadenza e mostrava segni di
involuzione ed inaridimento nella ripetizione ormai stanca di certi schemi. Goldoni infatti nei
confronti di questo tipo di teatro che si era venuto a creare, assunse atteggiamenti fortemente
polemici proprio a causa di quella volgarità buffonesca a cui era scaduta la comicità, di quella
rigidezza stereotipata a cui si erano ridotti i tipi umani rappresentati dalle maschere, della ripetitività
della recitazione degli attori che riproducevano sempre gli stessi lazzi, le stesse azioni mimiche e le
stesse battute convenzionali, perfettamente prevedibili dal pubblico, della costruzione incoerente e
senza un ordine. Tuttavia la critica di Goldoni non era tanto su queste degenerazioni, quanto sulla
Commedia dell'Arte in sé, sul suo impianto stesso, sulla visione del reale che esso supponeva. La
"riforma" che egli fece non era quindi solo la riforma di un genere letterario, ma un'operazione che
mirava ad incidere soprattutto sullo spettacolo, nei suoi rapporti con la vita sociale. Goldoni non si
era basato su modelli libreschi per questa riforma del teatro, poiché i due libri su cui egli aveva
studiato erano stati il "Mondo" e il "Teatro", ossia la realtà vissuta e la scena viva, lo spettacolo. In
questo modo Goldoni sintetizza perfettamente le due direttrici fondamentali della sua riforma: da un
lato vuole produrre testi che piacciano al pubblico, tenendo presente lo specifico linguaggio dello
spettacolo, dall'altro egli aspira ad una commedia che sia "verisimile", che rifletta realisticamente la
società contemporanea, i caratteri umani che vi si muovono, i problemi che vi si agitano.
Si capisce quindi come l'improvvisazione della vecchia Commedia dell'Arte non potesse essere più
applicabile alla riforma che Goldoni proponeva, poiché non avrebbe potuto rendere possibile quella
verisimiglianza che si proponeva. Proprio per questo motivo si rendeva necessaria l'introduzione di
un testo scritto, di un copione, nel quale fossero definite le parti che ogni attore sarebbe andato a
recitare.
Lentamente la riforma venne applicata e si arrivò all'eliminazione delle maschere della Commedia
dell'arte. Il pubblico gradualmente si abituò a veder rappresentati in scena aspetti e problemi della
sua vita quotidiana, addirittura figure caratteristiche della realtà cittadina, facilmente riconoscibili.
Era avvenuto così un mutamento profondo in quella che era stata fino ad allora la struttura del
teatro: si stava passando dal teatro d'attore al teatro d'autore. (G. Baldi, S. Giusso, M.
Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo-Percorsi e strumenti, Dal Barocco al
Romanticismo, Paravia, Milano, 2002.)
Il grande attore "mattatore"
Abbiamo visto come dopo la riforma goldoniana si fosse instaurato un teatro in cui il testo scritto
aveva una grande importanza poiché grazie al copione l'attore sapeva perfettamente cosa dire senza
dover "improvvisare" come aveva fatto per tutta la vecchia Commedia dell'Arte. Successivamente
però verso la metà dell'ottocento/inizio novecento, nonostante il copione fosse rimasto un elemento
importante per l'attore, abbiamo un ritorno al teatro del grande attore, dell'attore mattatore in cui
appunto l'attore interpretando il personaggio di un testo cerca di porre in evidenza i propri pensieri, i
propri modi d'agire e non quelli del personaggio stesso. E' l'attore stesso che crea un personaggio,
tanto che qualcuno proprio per far risaltare il suo personaggio caratteristico adatta i copioni originali
al suo modo di recitare e a ciò che vuole far trasparire, eliminando in questo modo la volontà
dell'autore e del suo testo. Un esempio di questo ci è dato da Ermete Zacconi, uno dei grandi attori
di inizio Novecento assieme ad Eleonora Duse, nel testo di Ibsen "Spettri". Il testo originale è ricco
e complesso, ma Zacconi tende a semplificarlo a favore della sua poetica d'attore, tanto da rendere
poco plausibile la storia. Egli infatti opera una ridefinizione dei personaggi schiacciando e
appiattendo quelli minori, come era prevedibile in un teatro fondato sull'assoluta centralità
dell'attore protagonista. E' qui riportata la scena finale dove si nota chiaramente l'intento di far
spiccare il personaggio di Osvald sopprimendo relativamente quello della madre:
Ritorno al teatro d'autore: Pirandello
Si è notato come in questo periodo l'attore mattatore fosse il fulcro del teatro d'inizio novecento. Ma
poco dopo assistiamo ad un nuovo ed ulteriore rovesciamento dele parti: da che il grande attore con
i suoi grandi personaggi facevano il grande teatro si arriverà a dare una nuova dignità letteraria e
teatrale ai testi, che d'ora in poi verranno considerati la vera opera d'arte in teatro. Molti attori e
critici di questo periodo, come per esempio Marco Praga, esprimono la loro idea sul fato che
considerino "l'Autore di una razza più elevata dell'Attore. Anche se l'attore è Zacconi e se l'autore è
XY. Per me", continua Praga, "gli architetti valgono più dei calzolai. Ci fu un Ronchetti, milanese,
calzolaio di Napoleone, che pare avesse un'abilità da sbalordire; gli hanno dedicato una piccola
piazza. E ci sono degli architetti i quali tirano su delle case in istile floreale che, quando non
rovinano, danno il mal di pancia. Non importa. Gli architetti sono di una razza più elevata dei
calzolai. Chi crea è di una razza superiore a chi eseguisce." ( Carteggio Marco Praga-Sabatino
Lopez, a cura di G Lopez, in <<Il dramma>>, dicembre 1958, p.83)