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Tesina su: IL SUICIDIO Andreella Giulia 5°G

INGLESE: In 1941, after a further mental collapse, Virgina Woolf filled the pockets of her overcoat

with stones and drowned herself in the river Ouse. Water was an important symbol for her: it

represented on one hand harmony and feminity, on the other hand the possibility of the resolution of

intolerable conflicts in death. She had already tried to commit suicide for example in 1913 after a

second depression, in spite of the fact she had been married to Leonard Woolf for one year. Her first

nervous breakdown had occurred in 1895 at the age of 13 when her mother had died . In 1904 the

father died too and Virginia had her most alarming collapse. Her depressive periods were also

influenced by sexual abuse she and her sister Vanessa were subjected to by their half-brothers

George and Gerald Duckworth. The Second World War increased her fear : in the streets she saw

the disintegration of her world. The Woolfs escaped in Sussex, but, obsessed by the fear of madness,

Virginia decided to put an end to her life. The life of Virginia was difficult and full of mourning

(mother, father and two brothers), to worsen the situation there was her illness that marked all her

“Mrs. Dalloway”, there are references to mental

literary production. In her writing, in particular in

insanity. In fact Septimus Warren Smith , like Virginia, suffers from hallucinations, insomnia,

headaches and has mental disorder: he is a shell-shocked veteran of the war and at the end of the

story, in a fit of madness, he kills himself jumping out of the window of his room. For Septimus

reality and imagination are mixed and he cannot distinguish them. He dies to escape from the past,

from Evan's death, because he feels himself guilty for the friend's death; he also dies in order to

escape from being crushed by the forces of conventionality. In the book there is criticism to the

society, that did not support the people who had mental problems caused by the war. Septimus had

p

been rescribed a period of rest and isolation in a nursing house but he did not want to go there. He

was scared by the doctors because he thought they did not understand him and they treated him like

a simple clinical case.

PERCHE' TESINA SUL SUICIDIO: Sulla Repubblica del 2 Aprile c'era la recensione di un libro:

“La parola fine. Diario di un suicidio” di Roberta Tatafiore, giornalista, sociologa, scrittrice e,

soprattutto, militante dei diritti civili delle donne e delle prostitute. Ho notato diverse analogie con

la vita di Virginia Woolf, come la morte del padre quando lei era in giovane età, che la segna in

modo particolare, e il fatto di avere sempre vissuto quelle che Roberta chiamava “fantasie

mortifere”; inoltre entrambe erano attive nel movimento femminista. Ciò che ma ha colpito è che la

Tatafiore aveva deciso di suicidarsi ma prima di farlo aveva avuto bisogno di raccontare la

preparazione del gesto che voleva compiere. Il suo non è quindi stato un gesto estremo ma un atto

meditato. Per tre mesi ha combattuto con l'idea della morte tanto da aver curato la sua fine nei

minimi particolari. Ha deciso il dove (un albergo di Roma, lasciando casa sua pulita e in ordine) e il

come (un cocktail di farmaci), ha condiviso l'attesa del gesto con un'amica perché secondo quello

che ha scritto nel diario le sarebbe piaciuto morire avendo vicino delle persone care. E' uno dei rari

casi in cui chi si uccide spiega in modo dettagliato ed esauriente i pensieri che lo portano all'estremo

gesto. Di Maio nel suo libro “imitando Didone” dice che generalmente le persone che intendono

suicidarsi, pur mandando dei segnali, non sono capiti. In questo caso sappiamo cosa passava per la

mente del suicida. Questo libro non è un'opera letteraria di fantasia ma la realtà che man mano si era

sviluppata nella testa dell'autrice e che portò a compimento. Generalmente le opere letterarie di

fantasia vengono scritte imitando la realtà, lo scrittore inventa un mondo possibile dotato di

coerenza interna, con lo scopo di far giungere il suo personaggio la dove egli vuole (al suicidio in

questo caso). Difficilmente chi si suicida lascia scritti così complessi come quello lasciatoci da

Roberta Tatafiore.

ITALIANO: Di Maio inoltre elenca tutta una serie di motivazioni che portano al suicidio e che lui

chiama “fattori influenzanti”; tra questi troviamo i traumi infantili, riscontrati sia in Virginia Woolf

sia in Roberta Tatafiore. Altre cause sono gli ostacoli nelle relazioni d'amore e fattori politici;

proprio questi si possono notare nei due romanzi epistolari di Goethe e Foscolo, rispettivamente ne

“I dolori del giovane Werther” e nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”.

In essi si possono riscontrare diverse analogie, a cominciare dalla trama, che segue lo stesso

intreccio e la stessa conclusione: il suicidio dei due protagonisti. I due protagonisti rappresentano in

qualche modo il prototipo del personaggio romantico, con l'esaltazione della libertà e del

sentimento sulla ragione, che dà luogo al conflitto individuo-realtà esterna. Tema centrale in

entrambe le opere è però l'amore inappagato: i due protagonisti si innamorano perdutamente di una

ragazza, e vengono catturati da una passione che sconvolge nel profondo i loro animi. Questo

idillio, tuttavia, è destinato a infrangersi poiché l’amata è irraggiungibile: Lotte è già sposata con un

altro uomo, Albert, mentre Teresa è promessa dal padre a Odoardo, figlio di una ricca famiglia

aristocratica, e pur amando Jacopo deve rinunciarvi a causa della sua condizione di esiliato,

piegandosi così alle imposizioni di un matrimonio combinato, dettato dalle ingiuste leggi della

società. L’amore quindi non si può realizzare perché non può essere ricambiato: è una passione a

senso unico, e la consapevolezza di questa situazione getta i protagonisti nel baratro della

disperazione. Il dolore non si attenua né con il tempo né con la lontananza, anzi aumenta sempre

più, anche perché non vi è possibile soluzione. Oltre alla delusione amorosa nell'Ortis si aggiunge

anche la delusione politica: Jacopo infatti vede Napoleone un traditore, poiché cede la Repubblica

veneta all'Austria col trattato di Campoformio. Lo sconforto porta i due protagonisti all'unica via

rimasta per sfuggire a questi tormenti: il suicidio. Non si tratta di un’idea improvvisa, bensì di una

decisione lungamente meditata, come inevitabile conclusione di una vita vista unicamente come

dolore e impotenza. Il pensiero della morte, tuttavia, è concepito dai due personaggi in modo

differente: in Ortis è quasi dolce assuefazione e condurrà il protagonista ad un suicidio considerato

come un approdo sereno, mentre invece in Werther è appunto di rottura totale, poiché predomina

l’esasperazione anche nella scena finale. Al sereno paesaggio primaverile rievocato da Jacopo

nell’ultima lettera, al pensiero finale rivolto a Dio, con la Bibbia posata sul tavolino e alla sepoltura

alleviata dal conforto dell’amico, si contrappone la morte tempestosa di Werther, che vaga sui

monti, portato poi alla sepoltura senza nemmeno l’accompagnamento di un sacerdote.

ad evidenziare i “fattori influenzanti”, parla anche di “fattori

FILOSOFIA: Il libro di De Maio oltre

predisponenti” (l'isolamento, le malattie mentali, le difficoltà economiche, le droghe) e di “fattori

precipitanti” (il lutto, la perdita, le malattie fisiche, la vecchiaia) che caratterizzano la vita del

suicida. Inoltre presenta anche l'interrogativo che da sempre si pone rispetto al fatto che un suicidio

sia un atto di coraggio (vedi Seneca) oppure un'espressione di viltà. Il problema di fondo è sempre

quello: assecondare la vita comunque (vedi caso Englaro) o anticiparne volontariamente la

conclusione (vedi Roberta Tatafiore). A questo proposito Schopenhauer avrebbe da dire la sua, però

prima bisogna un po' spiegare la sua filosofia di pensiero: secondo Schopenhauer l'uomo è

rappresentazione fenomenica, cioè come ciascuno lo vede dall'esterno, ed essenza profonda, cioè

presenta una forza interiore che lo induce alla vita, la VOLONTA' DI VIVERE, che è infinita ed è

presente in ogni essere della natura, ma l'uomo è l'unico ad esserne consapevole. Nel singolo però la

volontà è finita e limitata; l'individuo è quindi mosso da un desiderio continuo, ma raggiunge

sempre un perenne stato di insoddisfazione. Quando, infatti, soddisfiamo un desiderio, si consegue

uno stato di piacere, che però non è altro che momentanea cessazione del dolore. E, siccome la

volontà non può mai soddisfare pienamente se stessa perché altrimenti cesserebbe di volere, si

presenterà davanti a noi un nuovo desiderio, una nuova tensione, e quindi un nuovo dolore. Se,

però, una volta soddisfatto un desiderio non ne subentra subito un altro, allora sorge la noia, il più

terribile dei mali. L’atteggiamento pessimistico di fondo che caratterizza la filosofia di

Schopenhauer, lo porta a vedere la vita come priva di senso. L'unico modo per sottrarsi al dolore

allora potrebbe essere il suicidio, ma Schopenhauer lo rifiuta e lo condanna per due motivi:

un atto di forte affermazione della volontà stessa in quanto il suicida “vuole la vita ed è

-Perché è che gli sono toccate”, per cui anziché negare la volontà egli nega

solo malcontento delle condizioni

piuttosto la vita.

-Perché il suicidio sopprime unicamente l'individuo, ossia UNA SOLA manifestazione fenomenica

della Volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendo rinasce in mille altre forme.

Il filosofo riconosce tre motivazioni del suicidio:

-Chi è oppresso dal peso della vita.

-Chi vorrebbe e afferma la vita, ma ne disprezza i tormenti.

-Chi soprattutto non riesce a tollerare più a lungo il duro destino.

Per questo afferma che non si deve sperare una liberazione che venga dalla morte e la salvezza non

Il suicidio ci appare già da questo come un’azione inutile e quindi stolta. Il

può venire dal suicidio.

suicida non rinuncia in alcun modo alla volontà di vivere, ma soltanto alla vita, distruggendone il

singolo fenomeno.

La motivazione addotta dalla Tatafiore si discosta da quelle espresse dal filosofo tedesco; per lei il

suicidio non è semplicemente volontà di morire ma un eccesso di voglia di vivere contrapposta alla

mancanza di possibilità di esercitarla.

Foscolo vedeva il suicidio in un modo ancora diverso: egli lo considerava uno strumento di libertà,

di ribellione contro il meccanicismo della natura in cui l’uomo ha il ruolo di misero frammento

destinato a morire come ogni altra parte della materia che forma il cosmo; ma è allo stesso tempo la

presa di coscienza di un fallimento, come lo dimostra nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”

FINALE: Per Di Maio invece le motivazioni del suicidio sono complesse e ogni sucida va rispettato

per la scelta che ha compiuto. Dal mio punto di vista l'atto di per sé è un atto di coraggio poiché la

persona deve avere una grande forza di volontà per giungere effettivamente a togliersi la vita, ma lo

vedo anche come atto di viltà, perché l'individuo in questo modo fugge dai problemi senza invece

affrontarli come dovrebbe, perché sa che per superarli magari la strada è lunga e in salita; ma gli

ostacoli che ci si presentano davanti sono per me un modo come un altro per mettere alla prova le

nostre capacità e renderci più forti.

CONCLUSIONE: Da “the Hours”, lettera d'addio di Virginia a Leonard

“Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un

altro di quei terribili momenti e io questa volta non mi riprenderò. Comincio a sentire voci e non

riesco a concentrarmi. Quindi faccio quella che mi sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato

la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto quello che un uomo poteva essere. So

che ti sto rovinando la vita, so che senza di me potresti lavorare. E lo farai. Lo so. Vedi, non riesco

neanche a scrivere degnamente queste righe. Voglio dirti che devo a te tutta la felicità della mia vita.

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